“Convergere per insorgere”: un’intervista verso (e oltre) il 22 ottobre
Quello del prossimo 22 ottobre sarà il terzo corteo chiamato dalla convergenza tra GKN e FFF, dopo Roma nel novembre 2021 e Firenze marzo nel 2022. Questo percorso, inoltre, è stato anche il frutto di una riflessione più ampia sui temi e sulle pratiche di lotta passate all’interno di numerosi campeggi estivi ecologisti. Quali avanzamenti politici intravedete in questo nuovo appuntamento?
Innanzitutto vorremmo proprio rimarcare che quest’estate, mentre tra i vari campeggi che menzionate (tra Torino, la Val di Susa, Venezia e altri) prendeva forma l’ipotesi di questo nuovo “passaggio di testimone” su Bologna, tra le cose che più ci aveva convinto ad accettare questa sfida era proprio il fatto che essa si pone il problema di costruire un percorso, una processualità.
Diciamo dunque che in queste settimane verso (e oltre) il 22 ottobre a Bologna e più in generale in Emilia Romagna (la mobilitazione ha infatti carattere regionale), proveremo a sperimentare la proposta di “metodo” che arriva dal “Convergere per Insorgere” e dal “Per questo, per altro, per tutto” che proviene da GKN.
È una scommessa politica che tante reti e realtà si stanno assumendo, dentro un percorso né semplice né scontato e in cui sicuramente ci si esporrà a vari errori e problematicità.
Al contempo, però, la possibilità di una mobilitazione con numeri molto alti e obiettivi chiari e radicali pensiamo possa contribuire a inaugurare una nuova stazione di lotta, conflittualità e movimento nei nostri territori – e non solo.
Nell’assemblea regionale svoltasi il 5 ottobre in università a Bologna erano presenti sindacati di base e percorsi ecologisti, reti transfemministe e collettivi studenteschi, spazi sociali e organizzazioni LGBTQUIAP+, comitati di quartiere e svariate altre organizzazioni e soggetti.
Sicuramente non è facile né scontato produrre nuovi spazi e processualità politiche, ma diciamo che se l’appuntamento bolognese riuscirà potrebbe essere sicuramente un contributo in questa direzione. E, collegandoci a quanto detto all’inizio, vorremmo rimarcare che poco dopo Bologna ci sarà un altro importante momento di convergenza, il 5 novembre a Napoli, che avrà come elemento caratterizzante la questione del reddito e della disoccupazione. Vediamo i due momenti come strettamente intrecciati. E l’augurio è che anche altri territori nei prossimi mesi possano prendere il testimone e rilanciare la sfida.
È probabilmente più un sogno che altro allo stato attuale, ma perché non possiamo pensare che in tutta Italia nei prossimi tempi, magari ogni mese, una diversa città possa fare il suo “Convergere per Insorgere”? Si potrebbe creare un nuovo spazio di agitazione in grado sia di portare in luce i singoli “prevalenti” che ogni territorio vorrebbe portare (e pensiamo che sicuramente dovremmo porci in tempi brevi anche il tema di rilanciare una lotta contro la guerra non lasciandola in mano ai giochi dei partiti), sia di prefigurare uno spazio comune molteplice e articolato.
Bologna e l’Emilia-Romagna sono esempi paradigmatici di un territorio sacrificato ad uno sviluppo estrattivista, avallato da giunte progressiste. Il passante è un esempio recente, ma le trivellazioni in Adriatico e il sistema degli allevamenti intensivi sono altri esempi di più lunga durata. Quanto questo aspetto territoriale ha contato nella scelta del luogo e in che modo questo può intrecciarsi con un orizzonte di mobilitazione più ampio?
Come dite giustamente, all’origine di questa mobilitazione su Bologna sta proprio l’individuazione delle contraddizioni ambientali che marcano in maniera più significativa i nostri territori, e non a caso l’appello uscito in estate che ha aperto il percorso portava le firme di Fridays for Future, della Rete Sovranità Alimentare e dell’Assemblea No Passante. L’allargamento del Passante di mezza a Bologna, ossia un progetto da svariati miliardi di euro che dovrebbe nei prossimi anni allargare fino a 18 corsie all’attuale snodo tangenzial-autostradario che attraversa Bologna, è stato preso come emblema.
Si tratta infatti di una grande opera che aumenterà il traffico e l’inquinamento. Venduta come un’opera per far risparmiare qualche minuto di traffico per i/le cittadine, in realtà rientra nell’ottica di uno sviluppo logistico del territorio. La Val padana e più in generale la pianura emiliano-romagnola sono infatti da anni al centro di progetti pubblico-privati di sviluppo che puntano tutto su brand come Motor Valley, Packaging Valley, Logistics Valley.
Dal nodo logistico cruciale di Piacenza fino al porto di Ravenna, passando per la proliferazione di magazzini e impianti industriali per tutto il territorio sempre più cementificato, arrivando fino all’ampliamento degli aeroporti per aumentare i flussi turistici, e chiudendo sulle nuove frontiere logistiche aperte dalle piattaforme digitali e da Amazon, la logica delle infrastrutture e della costruzione logistica del territorio si sta velocemente mangiando qualsiasi possibilità di quella che studentesse e studenti di Bologna da un po’ di tempo chiamano la lotta per “una vita bella”.
Il fatto che per la manifestazione del 22 ottobre abbiamo individuato come obiettivo quello di sfilare lungo la tangenziale di Bologna, oggetto del futuro allargamento del Passante, è dunque un modo per portare in rilievo questa serie di contraddizioni. Denunciare questa opera anti-ecologica, il modello di sviluppo che la produce, ma anche alludere attraverso appunto il blocco della tangenziale a pratiche di sciopero sociale e metropolitano.
Nell’appello di convocazione della manifestazione del 22 ottobre, lanciato prima delle elezioni politiche, specificate che l’alternativa non è tra vecchio e nuovo governo, ma tra vecchio e nuovo mondo. Al tempo stesso, la manifestazione del 22 ottobre si confronterà necessariamente con il nuovo scenario politico emerso dalle elezioni. In che modo pensate che la vittoria di una coalizione di centro-destra egemonizzata da un partito come Fratelli d’Italia possa radicalizzare le problematiche che mettete al centro delle vostre rivendicazioni e in che modo credete che questo possa aprire a nuove dinamiche del conflitto sociale?
L’idea iniziale era quella di convocare la manifestazione il 24 settembre, il giorno dopo il Global Strike del 23. Con la caduta del governo Draghi e le elezioni fissate per quella domenica abbiamo deciso di spostare in avanti l’appuntamento di convergenza, consapevoli che cadrà a ridosso dell’instaurarsi del nuovo governo. Da un lato nell’appello iniziale tenevamo appunto a sottolineare l’autonomia di questo percorso dai giochi istituzionali. Dall’altro evidentemente il nuovo governo cambia le partite che si giocano e ci si deve fare i conti.
Anzi, la piazza bolognese potrebbe essere nei fatti un primo appuntamento che vada anche contro il nuovo governo. Al momento tutto sembra far prevedere che il governo Meloni sarà espressione degli interessi di Confindustria, non varierà di molto le linee guida tracciate dal governo Draghi, sosterà il bellicismo NATO, attaccherà il reddito di cittadinanza, si muoverà (probabilmente in modo più subdolo e ideologico che frontale) per comprimere ulteriormente le libertà (pensiamo in particolare al tema dell’aborto e dei diritti LGBTQUIAP+, ma non solo).
Ciò detto, non ci pare proprio che il tema qui sia il “pericolo fascista”. E sinceramente abbiamo anche paura che si possano ripresentare dinamiche in stile “anti-berlusconismo 2.0” o tendenze al “frontismo”. Ci pare piuttosto che con il nuovo governo si pongano da un lato dei terreni irrinunciabili di rifiuto, dei NO collettivi, da porre e sui quali costruire delle barricate sociali.
Pensiamo ad esempio alla legge 194, al reddito di cittadinanza, al ritorno al nucleare… Insomma una serie di terreni sui quali siamo convint che i movimenti possano e saranno in grado di contrapporsi efficacemente laddove arriveranno degli attacchi. D’altro canto, c’è un’evidente necessità di ridare ossigeno e forza a percorsi di lotta usciti un po’ rattrappiti dalla pandemia – su questo lo sciopero climatico del 23 settembre e la giornata internazionale contro l’aborto del 28 settembre sono stati primi indicatori positivi – e di rilanciare nuove lotte e nuovi fronti di conflitto sociale.
La campagna “Noi non paghiamo” che sta crescendo in alcuni territori potrebbe essere una sperimentazione interessante in questo senso, ma certamente ci sono moltissimi altri terreni di possibilità in questa fase. E, come accennavamo prima, indubbiamente è necessario provare a sperimentarsi anche sull’opposizione alla guerra, che nelle prossime settimane potrebbe vedere le piazze muoversi.
Detta in maniera un po’ semplicistica, c’è insomma bisogno di provare a sviluppare un forte terreno di rifiuto, di resistenza, di “diritto di veto”, e contemporaneamente una forte spinta in avanti in grado di incanalare le energie politiche compresse da pandemia e guerra e nuovi terreni di mobilitazione istituente.
Lo slogan “fine del mondo, fine del mese: stessa lotta”, presente nelle piazza francesi dei Gilets jaunes e che voi richiamate nell’appello, è probabilmente una delle espressioni più efficaci e rappresentative del tentativo di far convergere lotte di classe e lotte per la giustizia climatica. In Uk, in questo momento, è in corso un ciclo di lotte che sta lavorando nella stessa direzione. Voi avete posto il problema della convergenza come un elemento chiave per le vostre mobilitazioni. Spesso, però, si dà a questa parola un significato piuttosto superficiale. Quale riflessione collettiva state conducendo su questo tema?
Avete perfettamente ragione, vediamo infatti il rischio che il tema della “convergenza” diventi uno slogan vuoto se non fuorviante. In questo appello scritto da vari compagn e realtà, abbiamo proprio pensato di cogliere l’occasione del 22 ottobre per approfondire e discutere il “Che cos’è convergenza”. E vorremmo anche sottolineare che, oltre ai tre momenti che costruirà questo appello attorno agli assi di “guerra”, “riproduzione” e “salario/reddito” il 15, 20 e 21 ottobre, il 23 ottobre ci sarà un’altra giornata a tema ecologia con il “Festival No Passante”.
Il modo più “sciocco” per interpretare la convergenza sarebbe quello di pensarla come una alleanza tra gruppi politici. Non si tratta evidentemente di questo quanto, senza far finta che le realtà politiche non esistano, di immaginare la convergenza come la possibilità di costruire un processo in cui lavoratrici e lavoratori, studenti e precarie, donne, migranti, persone Lgbtqiap+ si possano collegare, in cui percorsi molteplici possano confrontarsi e trasformarsi individuando terreni condivisi di lotta entro i quali dare forza alle proprie istanze oltre agli schemi dati e agli scenari già tracciati.
Vediamo la “convergenza” come una processualità con forme e dinamiche che non sono predeterminate, insistendo sul movimento di composizione di differenze a produrre una forza collettiva. Certamente la convergenza non può essere insomma né l’idea di una omologante “unità” da costruire, né quella di una sommatoria di differenti parti che, dopo il momento della convergenza, tornano ad essere quelle di prima.
Al contempo non è che la “convergenza” sia IL nuovo metodo politico ritrovato. Si tratta di fare delle sperimentazioni, a partire dal fatto che ci pare piuttosto inequivocabile una enorme difficoltà che da anni alle nostre latitudini attanaglia i percorsi di lotta. In questo senso giustamente menzionate i Gilet Jaunes e il Don’t Pay UK, che in qualche misura hanno avuto una capacità “convergente” e insorgente.
Non bisogna nascondersi che in questo momento, alle nostre latitudini, è difficile raffigurare quale potrebbe essere un vettore canalizzante attorno al quale si potranno costruire percorsi ampi. Abbiamo esempi negli ultimi anni, come Ni Una Menos in Argentina o Black Lives Matter negli Stati Uniti, in cui attorno a delle mobilitazioni che avevano una loro “specificità” si è tuttavia prodotta una potente dinamica “convergente”.
Le istanze e le pratiche femministe e nere hanno informato, meticciato, contaminato tanti altri contesti e si sono fatte vettori trainanti di un complessivo percorso di movimento, lotta e contro-potere. Non siamo in grado di prevedere se un qualcosa di analogo potrà prodursi in Italia, se saranno caratteristiche simili, se invece nei prossimi tempi si innescheranno forme più risonanti coi percorsi ad esempio cileni o colombiani di rivolta, o altro ancora.
Ma sicuramente c’è una enorme urgenza di costruire forza sociale e politica per rovesciare un tempo in cui la violenza patriarcale, razzializzante, lo sfruttamento, la crisi ecologica e ora la guerra e il rischio atomico travolgono le nostre vite pezzo dopo pezzo.
12/10/2022 https://www.dinamopress.it
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