COP28 tra i peggiori auspici?
Tra un paio di giorni inizieranno i lavori della COP28. Un evento preceduto dai peggiori auspici.
A cominciare dalla scelta della sede, a dir poco anomala: gli incontri si terranno a Dubai negli Emirati Arabi Uniti. Scegliere come sede di un evento dove si dovrebbe parlare di ridurre le emissioni di CO2 uno dei paesi maggiori produttori al mondo di combustibili fossili appare quanto meno strano (per usare un eufemismo). Gli Emirati Arabi Uniti sono uno dei dieci principali produttori di petrolio al mondo. È normale pensare che si potrebbero opporsi ad ogni misura radicale e a iniziative che prevedano il rapido abbandono dei combustibili fossili. L’industria dei combustibili fossili genera enormi ricchezze per un numero relativamente limitato di attori aziendali e stati (e non solo negli EAU) che hanno tutto l’interesse a bloccare una transizione equa verso l’energia rinnovabile e nel silenziare gli oppositori. A presiedere i lavori sarà il sultano Al Jaber. Che, però, è anche amministratore delegato della compagnia petrolifera e del gas di stato negli Emirati Arabi Uniti, Adnoc. Azienda che, negli ultimi anni, ha aumentato la produzione di combustibili fossili. In vista dell’apertura dei lavori, alcune organizzazioni internazionali avevano invitato il sultano a dimettersi da Adnoc, ritenendo che il suo ruolo costituirebbe un palese conflitto di interessi e minaccerebbe il successo della COP28. A pensarci bene, tutto questo non sorprende più di tanto: lo scorso anno, in Egitto, la partecipazione degli influencers ai lavori della COP27 fu così massiccia da destare scandalo.
Non è questo l’unico motivo per cui la COP28 sembra essere partita con il piede sbagliato. Secondo Amnesty International ci sarebbe il rischio che i partecipanti, compresi i difensori dei diritti umani, possano subire attacchi informatici tramite spyware. A lanciare l’allarme è stata la stessa Agnès Callamard, segretaria generale di Amnesty International: “La pessima situazione dei diritti umani degli Emirati Arabi Uniti minaccia la riuscita della Conferenza. L’impegno a consentire che le voci siano ascoltate alla Cop28 è insufficiente e mette in evidenza l’ambiente normalmente restrittivo dei diritti umani degli Emirati Arabi Uniti e i severi limiti imposti ai diritti di libertà di espressione e di riunione pacifica. La chiusura dello spazio civico e la possibilità di spionaggio digitale e sorveglianza tecnologica sono dunque un motivo di preoccupazione”.
Ma non basta. Pochi giorni prima dell’inizio dei lavori della COP28, Oxfam e Stockholm environment institute, hanno pubblicato un rapporto che punta il dito sulle disuguaglianze sociali e sulle responsabilità con le emissioni di CO2. Il rapporto, basato su dati 2019 (gli ultimi disponibili), afferma che l’1% più ricco della popolazione mondiale è responsabile di emissioni di CO2 pari a quelle prodotte da 5 miliardi di persone, ossia due terzi dell’umanità. Secondo le previsioni, le emissioni prodotte da 77 milioni di persone “ricche” potrebbero causare entro il 2030 la morte di 1,3 milioni di persone a causa degli effetti dovuti ai cambiamenti climatici. In termini numerici, l’1% più ricco del pianeta inquinerebbe in media, in un anno, quanto una persona appartenente al restante 99% dell’umanità farebbe in 1.500 anni.
Numeri che, presentati a pochi giorni dall’inizio dei lavori della COP28, versano benzina su quesiti già bollenti riguardanti l’utilità di questi incontri. In queste condizioni, qualsiasi decisione presa alla COP28 potrebbe essere inefficace. I dati delle emissioni degli ultimi anni lo dimostrano: in barba alle belle parole e alle promesse sottoscritte dai leader mondiali nei documenti presentati al termine delle varie Conferenze delle Parti, i risultati non hanno mai avuto risultati concreti. Il motivo potrebbe essere proprio questo: le emissioni dei super-ricchi annullerebbero ogni tentativo di ridurre le emissioni di CO2.
Che senso ha investire miliardi per istallare milioni di turbine eoliche se poi i più ricchi continuano a nascondersi dietro misure discutibili come la compensazione? Che senso ha imporre ai cittadini europei di utilizzare auto completamente elettriche se poi questa elettricità continua ad essere prodotta con centrali elettriche che usano combustibili fossili? Per non parlare del fatto che le emissioni del resto dei paesi del mondo continuano ad essere elevatissime. Anzi, secondo molti starebbero aumentando: sia in Africa che in Asia si produce sempre di più e lo stile di vita sta cambiando diventando sempre più occidentale.
Di questo passo, secondo i ricercatori Oxfam, nel 2030 le emissioni di carbonio dell’1% più ricco saranno 22 volte superiori al livello compatibile con l’obiettivo di contenere l’aumento delle temperature entro 1,5°C, stabilito con l’Accordo di Parigi sul clima. “I super-ricchi stanno saccheggiando e inquinando il pianeta e di questo passo finiranno per distruggerlo, lasciando l’umanità a fare i conti con ondate estreme di calore, inondazioni e siccità sempre più frequenti e devastanti – ha detto Francesco Petrelli, portavoce di Oxfam Italia – Per anni abbiamo lottato per creare le condizioni di una transizione giusta che ponga fine all’era dei combustibili fossili, salvare milioni di vite e il pianeta. Ma raggiungere quest’obiettivo cruciale sarà impossibile se non porremo fine alla crescente concentrazione di reddito e ricchezza”.
Per ottenere risultati concreti sarebbe necessario adottare misure radicali e molto più incisive. Specie nei confronti di quell’1% di popolazione maggiore responsabile delle emissioni di CO2. Ma questo non succederà mai. Tanto meno se a decidere le strategie per ridurre le emissioni di CO2 saranno gli stessi che producono petrolio. Climate-Equality-Executive-Summary_OXFAM.pdf (oxfamitalia.org)
Alessandro Mauceri
27/11/2023 https://www.lospessore.com/
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