Corsa agli armamenti: la situazione attuale
Intervento al convegno del 30 settembre 2023, Uscire dal sistema di guerra e costruire una politica di pace. Come invertire la corsa al riarmo, nell’ambito del V Festival della nonviolenza e della resistenza civile, Centro Studi Sereno Regis, Torino
La guerra in Ucraina ha prodotto una forte accelerazione della corsa agli armamenti in Europa. Entro il 2025 i 27 paesi della UE stanzieranno 290 miliardi di euro in spese militari… Nel 2021 i budget per la Difesa ammontavano complessivamente a 214 miliardi di euro. Gli ulteriori 76 miliardi in 4 anni significano +35,5%
A consuntivo 2022 la spesa militare UE ha raggiunto i 245 miliardi di euro, con una crescita del 18% rispetto al 2020. L’Italia con 31,84 miliardi (+10,2%) si piazza al terzo posto dietro la Germania (53 miliardi, +13,3%)) e Francia (51 miliardi, +10,2%).
Altri Stati UE hanno ritmi di crescita delle spese militari ben più impressionanti: la Lituania +60%, la Grecia +52%, la Croazia +45% e la Polonia +38% che con 15,8 miliardi di euro e’ quarta nella UE. Oggi l’Europa e’ l’area mondiale con il maggior incremento delle spese militari.
Non solo la NATO preme sui Governi per allineare i bilanci pubblici a un minimo del 2% del PIL di stanziamenti per la Difesa. Dal 2021, per la prima volta della sua storia, la stessa UE ha messo in piedi finanziamenti diretti all’industria militare:
- 7 miliardi di euro per il Fondo Europeo per la Difesa 2021-2027
- 500 milioni di euro per gli appalti comuni europei nel settore Difesa
- 500 milioni di euro per il supporto alla produzione di munizioni
- 10 miliardi di euro di sostegno militare UE all’Ucraina (nell’ambito di un pacchetto d’aiuti di 70 miliardi di euro)
Non c’è alcun dubbio che siamo di fronte a un’impennata delle politiche di riarmo, in Europa e nel mondo. Al punto che può apparire fisiologico, persino razionale aumentare le spese militari di fronte alla guerra in Ucraina e ai rischi di una terza guerra mondiale.
Attenzione! Per capire che non siamo di fronte a scelte razionali e naturali, occorre fare qualche passo indietro. Torniamo un attimo al 2020 nel pieno della pandemia dovuta al Covid19 e in presenza di una contrazione dell’economia mondiale (- 3,1 per cento del PIL).
Nel 2020 le spese militari nel mondo in dollari Usa (ricalcolate quest’anno a valore costante 2021 dal SIPRI) hanno superato per la prima volta nella storia i 2mila miliardi di dollari. E ciò appare ancora più scandaloso se si pensa che questa espansione delle spese militari è avvenuta durante la pandemia. Nel corso del 2022, anche a causa della guerra in Ucraina, le spese militari nel mondo hanno raggiunto un nuovo record 2.240 miliardi di dollari (+127 miliardi rispetto al 2021), alla luce delle scelte di riarmo decise da molti governi, tra cui quello italiano.
Il grafico mostra l’andamento delle spese militari (a valori costanti 2021) dal 1998 al 2022. Le spese militari cresciute costantemente durante tutto il periodo della Guerra Fredda, avevano raggiunto il picco nel 1998 arrivando intorno ai 1.600 miliardi di dollari. Dopo la caduta del muro di Berlino e, soprattutto, dopo l’implosione della ex-Unione Sovietica e scioglimento del Patto di Varsavia, le spese militari mondiali crollano in pochi anni (dal 1990 al 1996) di circa un terzo, attestandosi poco più sopra di mille miliardi di dollari.
Erano gli anni della speranza che, con la fine della contrapposizione tra blocchi militari, si aprisse una fase di cooperazione internazionale. Si parlava di ‘dividendo della pace’ per l’intera umanità. In pratica la possibilità, dopo tanti anni, di liberarsi dell’incubo di una guerra nucleare e dalla corsa al riarmo, trasferendo ingenti risorse dalla sicurezza militare alla sicurezza alimentare, ambientale e sanitaria.
Questa grande opportunità è stata sprecata in pochi anni e, come potete osservare dal grafico, dalla fine degli anni ’90 le spese militari hanno ripreso a crescere superando nel 2007 il picco che era stato raggiunto durante la Guerra Fredda. Dopo alcuni anni di leggero calo dal 2012 al 2014, dal 2015 c’è stata una crescita progressiva sino a raggiungere i valori attuali.
La tesi che giustifica il riarmo e l’aumento delle spese militari come una necessità per aumentare la nostra sicurezza non ha alcun supporto scientifico sulla base di numeri e fatti. Come possiamo vedere in questi grafici e, soprattutto come milioni di persone vivono sulla loro pelle i conflitti armati, non siamo per nulla più sicuri nonostante si siano destinate (e si destineranno) sempre più risorse ad armarci.
Numero di conflitti armati nel mondo dal 1946 al 2020
Stati coinvolti da conflitti armati nel 2020
Nel 2021 si sono verificati conflitti armati in almeno 46 Stati: 8 nelle Americhe, 9 in Asia e Oceania, 3 in Europa, 8 in Medio Oriente e Nord Africa (MENA) e 18 nell’Africa sub-sahariana. Come negli anni precedenti, la maggior parte si sono svolti all’interno di un unico paese (intra-statale), tra le forze governative e uno o più gruppi armati non statali (come nella regione del Donbas in Ucraina).
Tre sono stati i principali conflitti armati (con oltre 10.000 morti per conflitti nell’anno): Afghanistan, Yemen e Myanmar. Un totale di 19 sono stati conflitti armati ad alta intensità (con 1.000-9.999 morti legate ai conflitti): Nigeria, Etiopia, Messico, Siria, Repubblica Democratica del Congo, Brasile, Somalia, Iraq, Burkina Faso, Sud Sudan, Mali, Sudan, Repubblica Centrafricana, Niger, Camerun, Pakistan, Colombia, Mozambico e Filippine.
Solo tre conflitti armati sono stati combattuti tra Stati: gli scontri di confine di basso livello tra India e Pakistan; Armenia e Azerbaigian; e Kirghizistan e Tagikistan. Altri due conflitti armati sono stati combattuti tra forze statali e gruppi armati che aspirano a un proprio Stato (tra Israele e palestinesi) o a una confederazione democratica (tra Turchia e curdi).
Il numero totale stimato di vittime legate ai conflitti armati nel 2021 è aumentato a circa 150.000, il 13% in più rispetto al 2020. L’aumento è stato determinato da un aumento significativo delle vittime in Afghanistan, Myanmar e Pakistan, e nell’Africa sub-sahariana (+19%).
Oltre alle vittime, altri impatti dei conflitti armati stanno aumentando di gravità: l’insicurezza alimentare, l’inquinamento ambientale, lo sfollamento delle popolazioni e le violazioni del diritto umanitario internazionale nei loro confronti.
In questo grafico la mappa aggiornata al 2021 dei dieci maggiori paesi da cui provengono i rifugiati. A questi dobbiamo aggiungere l’Ucraina, i cui rifugiati in altri paesi hanno superato i 5 milioni e 100 mila, mentre si calcola che altri 10 milioni sono profughi interni (una percentuale enorme su una popolazione intorno ai 42 milioni) e negli ultimi giorni gli armeni.
Conclusioni
A dispetto del senso comune (che non ha nulla a che fare con il buon senso) – la sicurezza umana decresce al moltiplicarsi delle armi disponibili, in particolare sopra una determinata soglia. I grafici che abbiamo esaminato dimostrano che l’aumento delle spese militari accresce il livello d’insicurezza, non il contrario. L’osservazione empirica dal secondo dopoguerra evidenzia come la politica di riarmo in un paese (e/o in un’alleanza militare) ha sempre generato per reazione un innalzamento delle spese militari nei paesi limitrofi, i quali percepiscono la scelta di riarmo degli altri come una minaccia nei loro confronti. In questo modo si produce un circolo vizioso che influisce negativamente sul livello di sicurezza generale e sulla stabilità internazionale. È la classica ‘corsa agli armamenti’, denunciata da anni da papa Francesco, che non ha mai come sbocco la pace, ma inevitabilmente la guerra.
L’aumento delle spese militari, oltre a ridurre la nostra sicurezza, ci rende tutti più poveri…
Forse non proprio tutti, visto che dalle guerre e dalle politiche di riarmo c’è chi festeggia in borsa, o quando si distribuiscono i dividendi agli azionisti.
Contrariamente alla convinzione diffusa che le spese militari costituiscano uno stimolo allo sviluppo dell’economia, l’aumento delle spese militari sono un freno allo sviluppo e un fattore di declino nel lungo periodo. Diversi studi dimostrano che le risorse destinate all’impegno militare (per non parlare della guerra) sottraggono importanti investimenti sia in campo scolastico ed educativo (oltre che alla sanità pubblica, normalmente sacrificata), sia nella ricerca e sviluppo in ambito civile. Ciò comporta sia una minore accumulazione di capitale umano, sia una riduzione dell’innovazione tecnologica, fattore decisivo per l’incremento della produttività del sistema economico. E, oltre le apparenze, dobbiamo sapere che le spese militari sono intrinsecamente improduttive.
Nonostante la tecnologia incorporata da un sofisticato sistema d’arma (da un carro armato, a un caccia-bombardiere, da un drone a un lancia-missili ecc.), se lo si utilizza in uno scenario di guerra il suo impiego ha una natura solo distruttiva e se, fortunatamente, lo si tiene in deposito usandolo solo ogni tanto per esercitazioni ha una natura improduttiva rappresentando solo un costo. Tutto ciò a differenza di qualsiasi altro bene industriale (da un sistema flessibile di produzione a un robot, da un mezzo di trasporto a un computer, da uno strumento bio-medicale a un nuovo impianto siderurgico ecc.), la cui produzione e il suo utilizzo contribuisce, viceversa, all’innalzamento della produttività di sistema.
Sono tutti buoni motivi, non solo etici ma anche di natura economica e sociale, per continuare a ‘cercare la pace e credere nel disarmo’.
Gianni Alioti
4/10/2023 https://serenoregis.org
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