Cosa acceca la protesta israeliana

A Tel Aviv, secondo l’Ansa, nei giorni scorsi erano in 140mila. Da più di sei mesi oltre cento piazze di Israele si riempiono della grande protesta contro la riforma giudiziaria del governo di estrema destra, che ora pare proprio intenzionato a dare un’accelerata al provvedimento alla Knesset. Eppure anche questa volta, mentre l’esercito invadeva il campo profughi di Jenin in Cisgiordania costringendo a fuggire migliaia di persone – rileva con amarezza Orly Noy, giornalista israeliana di Local Call, nota per il suo impegno in B’Tselem e a favore dell’affermazione dei diritti degli Ebrei mizrahim (mediorientali) e dei Palestinesi – i promotori della protesta contro Netanyahu si sono ben guardati dal condannarne l’operato. Anzi, hanno plaudito all’aggressione elogiandone il coraggio. Insieme a una cultura politica in cui il militarismo è profondamente radicato, questo è il frutto di un assurdo egocentrismo, spiega Orly Noy, per il quale Israele è abituato a presentare l’Occupazione dei Territori al mondo come una questione interna israeliana, mentre i suoi cittadini ebrei sono soliti trattarla come una questione di affari esteri, scollegata dalla vita quotidiana, come una guerra in un Paese lontano

Mentre i tamburi dei manifestanti israeliani continuavano a battere a Tel Aviv, all’aeroporto Ben Gurion e in altre località del Paese, la scorsa settimana, l’esercito israeliano ha iniziato una brutale invasione e assalto al campo profughi di Jenin che ha lasciato dietro di sé distruzione, devastazione e sangue.

La vista dei profughi palestinesi che fuggono dalle loro case nell’oscurità, con le mani alzate sopra la testa, non solo evoca ricordi della Nakba. È un promemoria del fatto che l’espropriazione dei palestinesi non è mai finita, che queste stesse famiglie o hanno perso la casa nel 1948 o sono i discendenti di coloro che l’hanno persa. I palestinesi sanno benissimo di trovarsi di fronte a uno Stato belligerante e spietato che, con il pretesto della sicurezza e del vittimismo, non avrà nessuna remora nelle sue azioni: espropriazione, uccisione, pulizia etnica. E forse il peggio deve ancora venire.

3 luglio Jenin. Foto Activestills.org

Israele è abituato a presentare l’Occupazione al mondo come una questione interna israeliana, mentre i suoi cittadini ebrei sono abituati a trattarla come una questione di affari esteri, scollegata dalla vita quotidiana, come una guerra in un Paese lontano. Questo, insieme al militarismo profondamente radicato e alla cieca glorificazione dell’esercito nella società israeliana, significa che non solo le proteste antigovernative non si sono schierate contro l’assalto a Jenin, ma i suoi promotori hanno persino elogiato gli “uomini coraggiosi” che hanno preso parte all’invasione, gli stessi che, tra le altre cose, hanno bombardato il Teatro della Libertà di Jenin (Freedom Theatre), che simboleggia lo spirito umano nell’inferno che Israele ha creato nel campo.

Come al solito, sono stati i cittadini palestinesi di Israele che, insieme a una manciata di attivisti ebrei, hanno immediatamente guidato la protesta contro i crimini dell’esercito a Jenin, affrontando e subendo gravi violenze da parte della polizia. Nel frattempo, si sono sentite anche deboli critiche da parte di alcuni membri della sinistra sionista, che hanno accusato il Primo Ministro Benjamin Netanyahu di aver lanciato un’operazione militare per distogliere l’attenzione e infine mettere a tacere la protesta pubblica contro di lui.

foto di Jenin tratta da un twitt interno a Elecctronic Intifada

Tuttavia non dobbiamo ridurre l’invasione di Jenin a una tattica politica di Netanyahu nei confronti del movimento di protesta. L’oppressione dei palestinesi non è iniziata lo scorso gennaio con l’inizio delle manifestazioni, né finirà quando le manifestazioni cesseranno. I frequenti e letali attacchi a Jenin, così come i puntuali assalti a Gaza, la pulizia etnica in corso nei Territori Occupati, l’incoraggiamento dei Pogrom da parte dei coloni e la repressione dei palestinesi su entrambi i lati della Linea Verde, tutto questo è parte di una più ampia politica israeliana, che è formulata con agghiacciante precisione in quello che il Ministro delle Finanze Bezalel Smotrich chiama il suo Piano decisivo, che mira a sottomettere i palestinesi ed espellere in massa coloro che si rifiutano di farlo.

Coloro che desiderano lottare per una vera democrazia devono abbandonare l’egocentrismo ebraico-israeliano che ci impedisce di aprire gli occhi sui luoghi in cui Israele calpesta non solo l’idea di democrazia, ma l’idea stessa di cosa significhi essere umani, e iniziare la nostra lotta da lì.


Only Noy

10/7/2023 https://comune-info.net

Fonte e versione originale in inglese: +972 Magazine

Traduzione: Beniamino Rocchetto per Invictapalestina.org

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