Cosa ci raccontano gli alti tassi di abortività delle straniere
Nel corso degli anni, come è noto, il numero di interruzioni volontarie della gravidanza (Ivg) è costantemente diminuito: nel 2014 per la prima volta si sono verificati meno di 100mila casi e nel 2016 (ultimo anno per cui si dispone di dati definitivi) le Ivg sono state 84.926.
Il tasso di abortività, calcolato su mille donne in età feconda (15-49 anni) è tra i livelli più bassi se si considerano i Paesi sviluppati con legislazione simile a quella italiana: già dal 2014 è sceso al di sotto del valore di 7 Ivg ogni mille donne e nel 2016 è stato pari a 6,3.
A partire dal 1995 viene rilevata l’informazione sulla cittadinanza della donna che effettua l’intervento, permettendo di osservare il fenomeno per questo sottogruppo di donne che presenta caratteristiche demografiche diverse rispetto alle italiane e che spesso vivono in condizioni più precarie e fragili.
Il tasso di abortività per cittadinanza, che permette di valutare l’incidenza del fenomeno mettendo in relazione il numero di Ivg con la popolazione esposta, è calcolabile solo per le residenti per le quali è disponibile il dato di popolazione. Naturalmente per confrontabilità è necessario selezionare a numeratore del tasso i soli casi di Ivg effettuati da donne straniere residenti, non considerando quindi una quota dei casi che nel 2016 risulta pari al 9,1% (cui corrispondono 2.239 Ivg)¹.
I tassi per cittadinanza, standardizzati per età, sono stati calcolati per gli anni 2003-2016 distinguendo i paesi di provenienza in Paesi a forte pressione migratoria (PFPM, le aree più povere del mondo)²e Paesi a sviluppo avanzato (PSA).
Appare subito evidente che le donne straniere provenienti dai paesi poveri hanno tassi sensibilmente più elevati delle donne italiane (Figura 1): il rapporto tra i tassi è pari a 5,4 volte nel 2003 e a 2,6 volte nel 2016. Si registra una forte riduzione dei livelli per tutti i gruppi di donne: -63% nei PFPM a fronte del -24% per le italiane. Le Ivg da donne provenienti dai PSA sono molto poche (sono circa 350, lo 0,4% del totale) con tassi soggetti a forti oscillazioni e livelli simili a quelli delle italiane.
Questa tendenza alla riduzione del fenomeno tra le donne straniere, nonché alla riduzione del divario con le donne italiane, può essere un segnale di integrazione da parte delle prime che nel tempo hanno modificato i propri comportamenti relativi alle scelte di procreazione responsabile. Poiché questi tassi fanno riferimento alle sole donne straniere residenti, si può ipotizzare che queste siano sempre più integrate e tendano ad assumere comportamenti simili alle donne italiane e ad avere più conoscenza dell’offerta di servizi sanitari. Da non sottovalutare in questo senso anche tutti gli sforzi fatti in questi anni, specie dai consultori familiari, per aiutare a prevenire le gravidanze indesiderate e il ricorso all’Ivg.
La suddivisione per classi di età mostra che le straniere hanno tassi di abortività più elevati delle italiane di circa tre volte tra i 15 e i 29 anni e di circa il doppio nelle classi meno giovani (Tabella 1). La classe di età maggiormente coinvolta nel fenomeno permane quella di 20-24 anni per le straniere, mentre per le italiane i tassi più alti si osservano tra le donne di 25-34 anni.
Da studi condotti negli anni dall’Istituto Superiore di Sanità e altri enti emerge che il più frequente ricorso all’Ivg da parte delle donne straniere può dipendere da una loro scadente conoscenza della fisiologia della riproduzione e dei metodi per la procreazione responsabile nonché dalle condizioni di vita.
Focus sulle cittadinanze più numerose
Nel 2016 la maggior parte delle donne straniere che vivono in Italia e che hanno fatto ricorso all’Ivg sono di origine rumena (24,9%), cinesi (8,6%), albanesi (8,2%), nigeriane (6,6%) e marocchine (6,4%) (Tabella 2).
Con l’unica eccezione delle donne nigeriane, per tutte le cittadinanze i tassi di abortività hanno subìto un decremento tra il 2003 e il 2016. Per le donne rumene, che nel 2003 presentano tassi standardizzati di abortività volontaria molto elevati (superiori ai 70 casi ogni 1.000 donne residenti), si sono ridotti di oltre l’80% fino ad assestarsi a 14 casi ogni 1.000 donne nel 2016, valore che le donne italiane presentavano a metà degli anni Ottanta. Questa forte riduzione può essere un segnale di integrazione della comunità rumena. Tra le donne cinesi il ricorso all’Ivg si è ridotto del 46%, per le albanesi del 48% e per le marocchine del 49%.
Le nigeriane presentano un andamento peculiare poiché i tassi sono in aumento rispetto al 2003, con forti oscillazioni lungo tutto il periodo 2003-2016 e diventando ormai il paese con il più alto tasso (61,3 per 1000). Inoltre per questo gruppo è elevata la quota di Ivg effettuate da donne non residenti (circa un quarto nel 2016) che non rientrano quindi nel computo del tasso.
Il fenomeno delle Ivg tra le donne straniere resta più consistente tra le donne più giovani (<30 anni) e solo tra le donne albanesi negli ultimi tempi il ricorso all’Ivg si è ‘spostato’ verso età più mature (30-34 anni). Invece tra le donne rumene e le donne nigeriane sono sempre le giovani di 20-24 anni ad avere livelli più elevati. Queste differenze possono essere un segnale di una diversa progettualità migratoria che si può desumere dal motivo per il quale viene richiesto il permesso di soggiorno. Per le donne albanesi e marocchine il motivo principale tra il 2007 e il 2016 risulta essere sempre la famiglia mentre per le donne cinesi la motivazione principale è cambiata passando dal lavoro alla famiglia (in crescita la quota di donne che dichiara lo studio). Si tratta comunque di aspetti che sottintendono una permanenza non di breve periodo e quindi una maggiore propensione ad acquisire la residenza.
Anche per le nigeriane si assiste a una modifica della motivazione principale che passa dall’alternanza famiglia/lavoro a motivi umanitari, legati quindi maggiormente a situazioni di emergenza; una gravidanza inattesa in questa situazione ha certamente più probabilità di terminare in un aborto.
*Le opinioni qui espresse sono quelle degli autori e non coincidono necessariamente con quelle dell’Istituto di appartenenza
per saperne di più
Ministero della Salute (2017), Relazione sulla attuazione della legge contenente norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione della gravidanza. Dati definitivi 2016.
D’Errico A., Loghi M., Spinelli A. (2017), “Abortività volontaria delle donne straniere in Italia”, in Rapporto Osservasalute 2016. Roma: Osservatorio Nazionale sulla Salute nelle Regioni italiane, 294-300.
Spinelli A. et al. (a cura di) (2006), L’interruzione volontaria di gravidanza tra le donne straniere in Italia. Rapporto ISTISAN 06/17.
Note
¹La stessa considerazione deve essere fatta per le donne italiane ma in questo caso la quota di Ivg effettuate da cittadine italiane non residenti è decisamente trascurabile e pari allo 0,1%.
²Sono considerati a forte pressione migratoria i Paesi dell’Europa centro-orientale e Malta, i paesi dell’Africa, dell’Asia (ad eccezione di Corea del Sud, Israele e Giappone), dell’America centro-meridionale e dell’Oceania.
Marzia Loghi, Alessia D’Errico, Angela Spinelli
18/9/2018 www.neodemos.info
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