Cosa è la maialina Gertrude di Elon Musk?
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È lei la protagonista della Neuralink, la startup di Elon Musk nata nel 2017 e specializzata in neuro-tecnologie e intelligenza artificiale per sviluppare interfacce neuronali impiantabili, ha il fine di esplorare il cervello umano e di metterlo in comunicazione con l’intelligenza artificiale. Con un dispositivo ad hoc impiantato nel cervello, i maialini di Musk hanno dato dimostrazione dell’attuale livello di sviluppo della tecnologia di interfaccia neuroni-elettronica. Oggi la maialina Gertrude vive inconsapevolmente, mangia senza avere fame, cammina senza saperlo e vive in assenza di gioia, felicità o piacere.
Elon Musk, figlio di latifondisti bianchi delle miniere di smeraldi che hanno accumulato ricchezze durante l’apartheid in Sudafrica, e patron multimiliardario di Tesla aveva rivelato ad agosto 2020 di aver impiantato un chip nel cervello dei maiali con il fine di entrare nel cervello umano.
Il dispositivo chiamato Link, come ha affermato Musk, ambisce alla sperimentazione su esseri umani che potranno collegarlo a un cellulare al fine di potenziali vantaggi in ambito medico.
Non solo, Elon Musk ha sottolineato come Link potrà permettere di salvare e produrre ricordi offrendo la possibilità di fare il backup dei dati facendone il download verso un nuovo corpo o verso un “corpo robotico”. Rispetto al 2019, quando della tecnologia erano state mostrate solo alcune fotografie e nessuna prova pratica di funzionamento, il design è cambiato. Se prima il sistema di Neuralink consisteva in un impianto esterno da installare dietro l’orecchio, ora invece ha l’aspetto di una monetina che può essere inserita nella scatola cranica.
Se prima la comunicazione con l’esterno era cablata attraverso una porta usb, ora avviene con un sistema wireless basato su tecnologia bluetooth a bassa energia. Da interfacciare con un computer, o anche con uno smartphone. Si tratta di “un fitbit nel cranio” che, nella sostanza, il sistema registra una serie di informazioni associate all’attività cerebrale, che a oggi possono fornire alcune indicazioni di massima su quello che sta accadendo all’interno del cervello. In pratica, un misuratore di performance, un contapassi cerebrale che si applica – per esempio – all’attività sensoriale. Come noto, tecnologie di questo genere esistono dal 2006 in cui un sistema traduce in dati digitali l’attività cerebrale, e quindi fa da interfaccia cervello-macchina.
L’aspetto più interessante del lavoro di Neuralink è la struttura stessa del dispositivo, e in particolare il sistema di 1.024 sottilissimi fili flessibili che raccolgono gli impulsi per poi tradurli in informazioni digitali. Per il momento i fili pescano informazioni dalla corteccia cerebrale, ma l’idea è che in prospettiva possano andare anche più in profondità, attraverso una sorta di micro-tunnel nel cervello.
Questo sperimento è la dimostrazione di come il prossimo ad essere comandato dall’esterno potrà essere l’essere umano. Sebbene sarà una scoperta in medicina, sarà un grande problema qualora verrà usato a scopi commerciali. Qualche mese fa era proprio il Professor Rafael Yuste, neuroscienziato dello YusteLab della Columbia University, ad affermare che studiando la corteccia cerebrale dei topi, la sua equipe è riuscita a decifrare con un laser cosa stavano guardando, ma anche ad inserire nel loro cervello immagini che non c’erano. Risultato? I topi si comportavano come se ci fossero.
Se questi chip venissero venduti nei negozi come cuffie o come caschi, toccherà all’essere umano desiderare qualcosa che non vuole e pensare di provare emozioni che non prova solo perché queste vengono proiettate nel flusso dei nostri neuroni. Rischieremo masse di persone letteralmente telecomandate.
Era lo stesso Rafael Yuste a dire che c’è un progetto di Facebook in cui si vuole eliminare la scrittura in modo che basti solo pensare ad una parola affinchè appaia. Questo, affermava Yuste, “mi preoccupa molto, perché quando si decifra una parola, si decifra il contenuto della mente”.
Oggi è un dovere degli stati di dotarsi di leggi che tutelino i neurodiritti, i diritti del nostro cervello a rimanere tale senza subire manipolazioni e sperimenti, e i beni comuni perché oggi non sono più scontati. C’è il grave rischio, afferma Yuste, che quando un telefono ce lo avremo nel cervello, non penseremo più che le informazioni arrivino dall’esterno, ma saremo convinti che lo sia. Sembra impensabile, ma oggi difendere la nostra biologia, i nostri pensieri, il libero arbitrio e la nostra identità non è più un’ovvietà.
Ci sono in atto delle vere e proprie opere di estrattivismo e imperialismo cognitivo, che vedono i nostri corpi e le nostre menti come nuove colonie da invadere. Gli imperi creano colonie, le colonie racchiudono i beni comuni delle comunità viventi e li trasformano in fonti di materia prima da estrarre per i profitti. Le specie viventi, la Natura, il bioma e il viromo, che sono sempre stati un bene comune, rischiano di diventare proprietà privata.
Esempio lampante è quando, in piena pandemia, il 26 marzo 2020, Microsoft ha ottenuto un brevetto WO 060606 dall’Organizzazione Mondiale della Proprietà Intellettuale (OMPI), il quale dichiarava che “l’attività del corpo umano associata a un compito fornito a un utente può essere utilizzata in un processo di estrazione mineraria di un sistema di crittovalutazione…”.
“L’ attività corporea che Microsoft vuole estrarre comprende le radiazioni emesse dal corpo umano, le attività cerebrali, il flusso di fluidi corporei, il flusso sanguigno, l’attività degli organi, i movimenti del corpo come il movimento degli occhi, il movimento del viso e quello dei muscoli, così come qualsiasi altra attività che può essere percepita e rappresentata da immagini, onde, segnali, testi, numeri, gradi o qualsiasi altra informazione o dato.” – come scrisse Vandana Shiva.
Il corpo dell’essere umano è diventato una miniera da cui estrarre “materie prime”. Questo vuol dire che non saremo “utenti”, ovvero consumatori senza possibilità di scelta nell’impero digitale, ma saremo “utenti” in tutti i campi del reale.
Questa è una grande colonizzazione delle conoscenze, delle menti e dei corpi, peraltro, in mano a colossi multinazionali che vanno da Google a Facebook, da Amazon a Bill Gates, dalla cybersecurity ai think tank a scopi tecnologico-militari.
Mi domanderei inoltre anche dell’eticità, della liceità di queste pratiche e di queste scoperte. “Questa logica lineare ed estrattiva non riesce a vedere le relazioni intime che sostengono la vita nel mondo naturale. È cieca alla diversità, ai cicli di rinnovamento, ai valori del dare e del condividere, al potere e al potenziale dell’auto-organizzazione e della mutualità. È cieca agli sprechi che crea e alla violenza che scatena” – come direbbe Vandana Shiva.
Tutti questi sperimenti sono radicati in una visione del mondo meccanicistica, militaristica, antropocentrica, che considera l’uomo separato e superiore agli altri esseri. Esseri che possiamo possedere, manipolare e controllare. Ed è in questo contesto che trovano spazio la geoingegneria, l’ingegneria genetica, le biotecnologie e tutte quelle discipline conniventi al paradigma tecno-scientifico. Queste sono radicate in un modello economico basato sull’illusione di una crescita senza limiti, della volontà di potenza che viola i confini planetari e distrugge l’integrità degli ecosistemi e delle singole specie.
Sperimenti che sembrerebbero impensabili, assurdi e al “limite dell’umano”. Non a caso fanno riferimento alla corrente di pensiero del transumanesimo, un movimento culturale che sostiene l’uso delle scoperte scientifiche e tecnologiche per aumentare le capacità fisiche e cognitive e migliorare quegli aspetti della condizione umana. Il termine venne coniato nel 1949 dal teologo Pierre Teilhard de Chardin e ripreso nel 1957 dall’amico genetista e biologo Julian Huxley, noto per i suoi studi finalizzati alla rifondazione della teoria genetica all’interno della teoria darwiniana della selezione naturale.
Ma cosa sono i transumanisti oggi? Per dirla con la filosofa Rosy Braidotti, sono “gli ambasciatori del capitalismo avanzato”, di quel capitalismo che trova il suo profitto non più nella merce ma nella vita, nei diritti di proprietà intellettuale, nei brevetti e nei Big Data. Lo stesso capitalismo in crisi congiunturale senza fine che al posto di vedere la manodopera umana come merce, vedrà sempre più l’essere umano come merce da vendere.
Lorenzo Poli
Collaboratore redazionale di Lavoro e Salute
Pubblicato sul numero di febbraio del mensile
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Foto da robotica.news
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