Cosa resta del Mondiale di calcio
Il campionato di calcio in Qatar si chiude forse peggio di come si è aperto: prima i diritti negati dei lavoratori e ora la corruzione
Si chiude il sipario sul Mondiale 2022 nel Qatar, preceduto e iniziato dalle notizie sulle gravi violazioni dei diritti dei lavoratori che hanno costruito strutture e infrastrutture per il campionato di calcio e quindi da un’ondata – o forse un’ondina – d’indignazione, anche per le più generali violazioni dei diritti umani nel Paese. Dopo lo sdegno il silenzio e l’attenzione dirottata sul calcio giocato e sulla prima squadra africana ad arrivare in semifinale a un Mondiale, il Marocco, altro Paese dove il rispetto dei diritti umani mostra criticità.
Corruzione, altro che Fight impunity
Poi ancora, esplode lo scandalo: la corruzione al Parlamento europeo, per la quale gli italiani tornano a spiccare, e che vede il Qatar elargire borse di denaro per conquistare sponsor del Paese arabo a Bruxelles, perché si spergiuri che quanto a diritti umani è tutto ok. E nel giro di corruzione entra anche il Marocco
Abbiamo raccolto le considerazioni di Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia, che da un decennio si occupa di anno in anno di fare il punto sulla situazione dello sfruttamento dei lavoratori migranti in Qatar: “E adesso capisco perché, nonostante il nostro lavoro, non se ne parlava quasi mai. È perché c’era chi era pagato nel Parlamento europeo affinché non si parlasse o non si parlasse male, ma invece bene dell’andamento complessivo della costruzione degli stadi, dando l’idea di un Paese moderno nel quale tutto andava bene”.
“Poi si è aggiunto un secondo filone – prosegue Noury -. Il Marocco ha usato la benevolenza di alcuni soggetti interni al parlamento europeo per darsi una reputazione di Stato che gestisce bene la situazione sul fronte interno sul tema migranti e ha fatto in modo che non si parlasse del problema decennale del Sahara occidentale. In questo modo è riuscito a sua volta a darsi una ripulita”.
E ancora: “Sembra di capire che il Marocco tenesse le fila con i suoi servizi di sicurezza, mentre il Qatar era la cassa che pagava la corruzione. Una cosa gravissima a cui aggiungo un aspetto che, se Orwell fosse vivo, avrebbe raccontato molto bene, perché un tipico caso di neo-lingua: ong che si chiamano Fight impunity e che fanno esattamente l’opposto, sarebbe da ridere se non fosse drammatico”.
Il cinismo della Fifa
A due giorni dalla finale le dichiarazioni choc del presidente della Fifa, Gianni Infantino, secondo il quale i numeri forniti sui lavoratori migranti morti in Qatar non sono reali e, comunque, il diritto dei tifosi del calcio viene sopra tutto. Netto il giudizio di Noury, per il quale “ancora una volta Infantino ha negato l’evidenza, sono dichiarazioni brutte e ciniche, ma continueremo a chiedergli di rendere conto degli orrori di questo Mondiale e a risarcire per i morti, quelli veri, non quelli che lui dice non veri”.
Il portavoce di Amnesty ricorda di “avere trovato una preoccupante simmetria tra le parole pronunciate poco tempo fa dell’ormai ex vice presidente del Parlamento europeo Eva Kaili, e quelle di Infantino nella conferenza stampa che ha preceduto i Mondiali: hanno usato le stesse identiche parole come se ci fosse uno script che passasse di mano in mano e l’incarico fosse solamente quello di leggerlo”.
Non può finire qui
Spenti i riflettori sul Mondiale, il rischio è che ci si dimentichi in breve delle violazioni denunciate e, allora, cosa resta? Per Noury “resta l’amarezza, per un’occasione abbondantemente e sanguinosamente persa, con tutte le morti di lavoratori migranti”. In sospeso rimane la richiesta di Amnesty alla Fifa di “istituire un fondo di risarcimento di 440 milioni di dollari da destinare ai lavoratori che hanno subito violazioni di diritti umani e ai familiari dei lavoratori morti”.
Ma la Fiifa, riprende Noury, continua a dire “che è una questione che compete ai tribunali del Qatar, i quali hanno risarcito la miseria di 48 mila persone”, infortunati e morti non sono riconosciuti come vittime del lavoro. “La questione che invece inizia oggi è che sei degli otto stadi costruiti nel modo che sappiamo verranno demoliti dagli stessi lavoratori e il rischio è che ci sia un tributo di sangue se non analogo comunque importante e grave”.
Amnesty è però intenzionata a non mollare: “Ci siamo svegliati stamattina – conclude Noury – dicendo che dobbiamo proseguire, perché non è finita ieri con la finale quindi speriamo di andare avanti in buona compagnia”, con chi, dopo la presa di coscienza, non vuole dimenticare.
Simona Ciaramitaro
19/12/2022 https://www.collettiva.it
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