Cosa succede in città? Una riflessione sulla riforma della PA e altri malanni

Questa storia ha molti inizi.

1. Ezio Lucchese, autista dell’ANM di Napoli e compagno dell’USB, è stato aggredito allo stazionamento degli autobus da una persona con forti problemi psichici; alcuni, del cosiddetto popolo di Facebook, hanno scritto che l’aggressione va condannata ma, insomma, sperano che questo episodio aiuti a comprendere che non è più possibile tollerare i fannulloni.

2. La CGIA di Mestre ha pubblicato uno studio secondo il quale, negli anni che vanno dal 1995 al 2015, le file agli sportelli sono raddoppiate, come lunghezza e quindi come tempi di attesa. In questi 20 anni noi contiamo, a spanne, almeno quattro provvedimenti, tra leggi, decreti e accordi contrattuali, presentati come iniziative per il miglioramento della qualità della Pubblica Amministrazione.

3. Tra il 2007 e il 2013 il personale dei Comuni italiani è diminuito di oltre l’11% e l’età media si è alzata; nel 2015 la busta paga media ha perso circa 443 euro rispetto all’anno precedente.
Intanto il blocco della contrattazione nazionale in corso da più di otto anni e giudicato incostituzionale dalla Consulta ha congelato gli stipendi di tutti i dipendenti e si è tradotto in una generalizzata perdita di potere d’acquisto per tutti i dipendenti della pubblica amministrazine. La cui età media intanto si è alzata notevolmente a causa del blocco del turnover.

4. E’ stato approvato il pezzo della riforma della PA targata Marianna Madia che introduce la sospensione dal lavoro entro 48 ore e la chiusura del procedimento disciplinare entro 30 giorni per chi viene colto in flagrante nell’atto di marcare la presenza e uscire, o uscire senza marcare l’uscita. La sanzione è il licenziamento per chi viene riconosciuto colpevole; se dimostri di non aver commesso illeciti, invece, ti trovi comunque con almeno due settimane in cui sei rimasto senza stipendio.

Annodiamo i fili.

La Pubblica Amministrazione è sotto attacco da almeno un quarto di secolo, sempre col pretesto del suo gigantismo, dell’inefficienza, della presenza di “imboscati” raccomandati, legati alle più disparate clientele politiche. Tutto, almeno in parte, vero. (Potremmo parlare a lungo della funzione sociale che ha avuto lo Stato come datore di lavoro collettivo, ma andremmo fuori tema).
A 25 anni, però, sarebbe il caso di fare dei bilanci, e il nostro sarebbe impietoso: restano le clientele e gli imboscati, aumenta l’inefficienza, peggiorano soprattutto la qualità dei servizi, la qualità del lavoro, i ritmi, i livelli salariali. Come al solito, insomma, pagano i lavoratori!
Che cosa è andato storto? Tutto, se si crede alla favoletta delle classi dirigenti che vogliono raddrizzare la macchina statale; nulla, se si comprende che l’intento, al contrario, è proprio quello di distruggerla.
Attaccare la Pubblica Amministrazione non significa solamente costringerci ad attendere di più allo sportello per incontrare un impiegato stressato che magari non riesce a risolvere il nostro problema, ma significa minare alla base le possibilità di intervento dello Stato nella società o, meglio, orientarlo in una direzione sempre più conveniente per i padroni (checchè ne dicano, non si contano gli sgravi, le agevolazioni e le semplificazioni di cui hanno beneficiato negli ultimi decenni).
Peggiorare la qualità dei servizi significa avere scuole che crollano, sanità inefficiente e cara, trasporti pubblici che non funzionano, in parole antiche, ma valide, meno salario indiretto. Ed è da sciocchi ritenere che dietro l’autobus che non passa, ad esempio, ci sia un autista fermo a bere un caffé: gli autisti violano quotidianamente leggi e regolamenti, è vero, ma lo fanno quando salgono alla guida di mezzi vecchi di vent’anni, che non rispettano le più elementari norme di sicurezza. Come loro, la maggior parte dei lavoratori della Pubblica Amministrazione, più anziana e peggio pagata di vent’anni fa, continua a svolgere correttamente il proprio lavoro nonostante, non grazie alle riforme che si sono susseguite.
“E gli imboscati, i fannulloni?” Le riforme non li hanno messi in difficoltà, anzi; il fannullone serve a chi ha interesse ad affossare l’intero sistema, quindi ha continuato e continuerà ad agire indisturbato. Molto spesso poi quello che ci viene presentato come “fannullone” vive sulla propria pelle tutta la frustrazione di non poter determinare il servizio pubblico in cui è impiegato, di non poter eliminare le vere “inefficienze” e gli sprechi di non poter sopperire alla voluta disorganizzazione e ai processi di esternalizzazione, “disaffezionandosi” sempre di più al proprio lavoro.
Tutto questo, però, non lo sappiamo, o facciamo finta di non saperlo: la battaglia che governo e padroni hanno già vinto é quella che ha avuto come premio la forte divisione di classe tra lavoratori del privato – che pagano la crisi in modo diretto, aspro, feroce, senza sconti – e lavoratori del pubblico, identificati come i privilegiati che continuano ad avere un tenore di vita assolutamente ingiustificato, sulle spalle di chi lavora davvero.
Quanto questo sia utile alla nostra controparte e dannoso per noi è fin troppo evidente, ma non lo è altrettanto per la nostra classe: ricostruire l’unità a prescindere dalla categoria e dal datore di lavoro, svelando la natura mistificatrice dell’attacco e la realtà di condizioni di lavoro in continuo peggioramento, nel pubblico come nel privato, è perciò uno dei compiti principali di chi, dalla nostra parte, vuole tornare a vincere.

16/6/2016 http://clashcityworkers.org

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