«Così ricordiamo il “partigiano” Orso, mio figlio»
Colpito alle spalle da miliziani jihadisti in un’imboscata nel villaggio di Baghouz, l’ultimo rifugio dei combattenti dello Stato islamico ormai prossimi alla disfatta. Così è stato ucciso il 18 marzo di due anni fa Lorenzo Orsetti mentre combatteva al fianco dei curdi per difendere la rivoluzione del Rojava dalla minaccia dell’Isis. Due giorni dopo, le forze curde sconfissero gli ultimi combattenti jihadisti, mettendo fine all’esperienza dello Stato islamico quale entità territoriale ed issando la loro bandiera proprio sulle rovine di Baghouz.
Orso – come lo chiavano i suoi amici – aveva 33 anni. La decisione di dedicare la propria vita alla difesa della causa curda e le parole riportate nel suo testamento hanno colpito molti, in Italia e all’estero, e dopo due anni il suo ricordo è ancora vivo. Ne parliamo con Alessandro Orsetti, suo padre.
Signor Orsetti, cosa avete organizzato in occasione del 18 marzo?
Quest’anno abbiamo deciso di far uscire un libro con gli scritti che
Lorenzo ci aveva mandato dalla Siria e con le interviste da lui
realizzate quando era in Rojava. Gli amici ci hanno lavorato molto e
abbiamo pubblicato il volume in collaborazione con RedStrar Press. Per
la distribuzione ci affideremo a due canali: le librerie – tramite la
casa editrice – e la vendita militante. Pensiamo che il libro sia un
modo per ricordare Lorenzo e per raccontare meglio chi era, in cosa
credeva, quali erano i suoi valori e anche per seguirlo in un percorso
che va dall’arrivo in Rojava fino alla decisione di rimanere in Siria e
contribuire alla realizzazione del progetto curdo.
La mattina del 18 alle 12 saremo alla Basilica di San Miniato, ma non è
nulla di organizzato. Verrà però anche l’Anpi, dato che Lorenzo ha avuto
il riconoscimento dei partigiani di oggi. La sera alle 21 ci sarà un
altro evento su Facebook e lanceremo la versione digitale del CD
dedicato a Lorenzo.
Com’è nata l’idea di realizzare il libro?
Abbiamo pensato che i messaggi di Lorenzo non potevano andare perduti:
chi li ha letti li ha trovati molto approfonditi e sentiti, per cui
abbiamo pensato di rilanciarli e di portarli alla visione di tutti.
Tanti ci hanno chiesto cosa provava Lorenzo quando era in Rojava, cosa
pensava, cosa ci raccontava. Il modo migliore per rispondere a queste
domande era dar voce direttamente a Lorenzo. Abbiamo anche pensato che
il libro potesse servisse per continuare a perorare la causa per cui si è
battuto, dato che non abbiamo visto grossi passi avanti in questi due
anni. La nostra idea quindi era quella di rilanciare attraverso la
memoria di Lorenzo la lotta dei curdi e l’importanza di scegliere da che
parte stare. Vorremmo però che il libro uscisse dai canali degli
impegnati e arrivasse il più possibile a biblioteche, librerie, scuole e
associazioni. Per questo ci stiamo già organizzando per inviarlo a
tutte le biblioteche comunali toscane.
Anche questa volta i ricavati serviranno a finanziare progetti umanitari?
Sì, tutti i ricavati saranno devoluti a progetti umanitari in Siria.
Questa volta però pensiamo a qualcosa di diverso dal CD Her dem amade
me, che è legato alla realizzazione di un ambulatorio pediatrico.
Come giudica l’atteggiamento dell’Italia nei confronti della “causa curda”?
Abbiamo visto che c’è un interesse ancora forte verso Lorenzo e anche un
grande trasporto emotivo, ma mi dispiace vedere che ciò non basta per
smuovere la situazione attuale: l’Italia non prende posizione, non c’è
stato alcun sostegno per i curdi. Oltre agli attacchi dell’Isis e della
Turchia, nel nord-est della Siria è anche in atto un’opera di
arabizzazione, con il presidente turco Recep Tayyip Erdogan che continua
a trasferire popolazioni arabe culturalmente legate alla Turchia per
emarginare i curdi e costringerli ad andare via. In tempi brevi questi
territori di confine saranno sempre meno dei curdi e diventeranno sempre
più uno Stato cuscinetto fedele alla Turchia di Erdogan.
Secondo Lei perché è così difficile prendere posizione in favore dei curdi?
Prima di tutto perché ci sono interessi economici e non solo. In secondo
luogo, si temono le possibili ritorsioni della Turchia ed inoltre
prevale sempre più l’idea di occuparsi dei problemi interni, mettendo da
parte quell’internazionalismo in cui Lorenzo credeva. Ci stiamo sempre
più rinchiudendo nei nostri territori, nelle nostre città, nei nostri
quartieri. Anche chi è un po’ interessato all’argomento si blocca perché
crede che la causa curda sia una realtà troppo lontana e complicata da
capire.
La pandemia sta contribuendo a questa chiusura sempre
maggiore nei nostri territori. Non trova che le parole di Lorenzo,
l’invito a darsi agli altri, siano allora sempre più attuali?
La risposta della politica alla pandemia si è dimostrata miope: ci si è
occupati solo dei propri territori, ma se il problema non viene
affrontato globalmente non sarà mai davvero risolto. Le parole di
Lorenzo richiamano proprio a quei valori della condivisione che molte
persone in questo momento così particolare hanno ritenuto essere
importanti. Lorenzo ha rinunciato al benessere per andare a condividere
una realtà di guerra, di precarietà e povertà. Credo che la sua figura
abbia davvero colpito tante persone, per questo secondo me Lorenzo può
essere un esempio circa il modo in cui affrontare il mondo e la vita,
soprattutto ora che ci stiamo sempre più chiudendo in noi stessi.
A due anni dalla morte di Lorenzo ha notato un cambio di passo da parte della politica?
Ad oggi nulla è cambiato. Quando Lorenzo morì furono fatte delle promesse che ancora non sono state mantenute. Era stato chiesto di fare una targa, un murales o qualcosa che lo ricordasse ma non siamo arrivati a molto. Ci sono ancora delle trattative in corso, ma nulla di concreto.
19/3/2021 https://left.it
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