Covid-19 e immunità preesistente. Uno studio di Nature

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La medicalizzazione della società ed un certo spirito psicotico ed ipocondriaco ci hanno fatto dimenticare che abbiamo un sistema immunitario con leggi complesse e precise che non sempre dobbiamo aiutare od “addomesticare”, ma bensì che dobbiamo semplicemente lascia lavorare.

Non si tratta di stravaganti e bizzarre idee, ma bensì un dato di fatto che moltissimi medici ed epidemiologi stanno constatando da molti anni con un incremento spaventoso dell’immunodepressione e dell’ampliamento quasi inquietante di fenomeni come la farmaco-resistenza e l’antibiotico-resistenza, facendole diventare dei veri e propri problemi sanitari legati all’abuso di farmaci ma anche alla nostra alimentazione che dipende sempre di più dal cibo industriale in cui si fa largo uso di antibiotici

Un fenomeno che già Ivan Illich aveva definito con il termine “iatrogenesi clinica”, ovvero come l’applicazione di cure mediche, spesso lungi dal guarire l’individuo dalla malattia, funzionano a loro volta da agenti patogeni.

Ai tempi del Covid-19, sembra addirittura che ci siamo dimenticati del nostro sistema immunitario e della nostra immunità naturale a certe malattie di cui siamo stati affetti o di cui il nostro corpo è riuscito a dare una risposta immunologica senza aiuto medicale.

In un periodo dove si parla solo di vaccini per sconfiggere il Covid, uno studio pubblicato su Nature, ha scoperto da un’indagine clinica che in moltissime persone si sviluppa un’immunità pre-esistente alla Sars Cov-2. Lo studio svolto da scienziati e genetisti indiani e statunitensi, pubblicato a fine giugno 2021 dalla prestigiosa rivista Nature, si intitola “Immunodominant T-cell epitopes from the SARS-CoV-2 spike antigen reveal robust pre-existing T-cell immunity in unexposed individuals”, ovvero “Gli epitopi immunodominanti delle cellule T dell’antigene spike SARS-CoV-2 rivelano una solida immunità delle cellule T preesistente in individui non esposti”.

Il lavoro conferma studi precedenti: molti individui hanno una immunità innata verso Covid 19, dovuta a precedenti contatti con altri virus come il Citomegalovirus e quelli influenzali. Il merito deriva dalle cellule T killer che, per chi viene contagiato, possono fare la differenza tra un’infezione lieve e una grave che richieda cure ospedaliere. A ribadirlo è Annika Karlsson, immunologa del Karolinska Institute di Stoccolma: “Se sono in grado di uccidere le cellule infettate dal virus prima che si diffondano dal tratto respiratorio superiore, ciò influenzerà la tua sensazione di malessere”. Esiste una memoria preesistente di cellule T nel 20-50% che protegge le persone dal Coronavirus. Per lo studio pubblicato su Nature c’è una parte della popolazione destinata a non ammalarsi mai. “I nostri risultati suggeriscono”, spiegano i ricercatori nel nuovo studio, “che è probabile che le cellule T reattive SARS-CoV-2 siano presenti in molti individui a causa della precedente esposizione a virus influenzali e CMV (Citomegalovirus, ndr)”.

Numerose ricerche hanno riportato l’immunità preesistente delle cellule T in donatori non esposti utilizzando pool di peptidi spike e hanno attribuito la risposta alle cellule T che riconoscono epitopi da comuni coronavirus che causano il raffreddore a cui è esposta un’ampia parte della popolazione globale.

In Olanda, infatti, sono stati ritrovati anticorpi per la Sars Cov2 in campioni di sangue raccolto da donatori 10 anni fa. A riportarlo è il direttore dell’istituto di ricerche farmacologiche “Mario Negri” Giuseppe Remuzzi. La notizia è stata riportata da diversi organi d’informazione, anche se poco sul mainstream, e riportano le dichiarazioni del direttore dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche “Mario Negri” Giuseppe Remuzzi, secondo il quale il fatto che alcuni soggetti risultino protetti contro il Covid senza vaccini sarebbe “dovuto al fatto di avere incontrato nella vita un virus simile o che abbia qualche punto di contatto col Coronavirus in passato e che il sistema immunitario riconosce come se fosse il SARS-CoV-2”. Sempre secondo Remuzzi “che questo sia un virus nuovo non c’è certezza: può darsi che fosse con noi da molto prima di quando lo abbiamo conosciuto e che abbia avuto bisogno di adattarsi all’uomo. Recentemente hanno prelevato campioni di sangue in Olanda di donatori di 10 anni fa e alcuni di questi avevano anticorpi contro Covid”.

Ciò che emerge, dunque, è che la risposta precoce elimina il virus e l’importanza degli “epitopi”, ovvero delle entità molecolari più piccole riconoscibili dal nostro sistema immunitario che attivano le cellule T uccidendo il virus, generando a loro volta un’immunità che dura anni se non sempre.

Secondo gli studi queste entità molecolari potrebbero anche essere trasferite nella popolazione priva di questi agenti attivanti. Come fare? “In primo luogo” – spiega il gruppo di scienziati – “robusti epitopi attivanti le cellule T CD8 possono essere formulati come vaccini di seconda generazione per la protezione a breve e lungo termine contro l’infezione virale”.

In più la ricerca afferma che una robusta risposta immunitaria nei pazienti convalescenti, dimostra come questi peptidi siano riconosciuti dai pazienti infetti. In sostanza i pazienti infetti riescono ad “acquisire” gli epitopi che poi attivano le cellule T senza difficoltà e con effetti positivi sull’infezione. “Inoltre, i nostri risultati sollevano la possibilità che molti individui portatori di cellule T con esperienza di antigene contro altri virus possano essere naturalmente protetti contro COVID-19 senza una precedente infezione da SARS-CoV-2”.

Come scrivono i ricercatori: “Nonostante l’immenso carico clinico, mancano vaccini efficaci con benefici terapeutici a lungo termine. La maggior parte delle attuali strategie di vaccinazione impiega la generazione di anticorpi ampiamente neutralizzanti, tuttavia, la risposta anticorpale della mucosa a molti virus respiratori è di breve durata e diminuisce con l’età. Al contrario, diversi studi sui virus respiratori hanno mostrato la presenza di robuste risposte delle cellule CD8-T virus-specifiche che hanno dimostrato di durare per decenni. Pertanto, i progetti di vaccini per i virus respiratori emergenti necessitano di considerazione e inclusione razionale di epitopi CD8 per conferire resistenza a lungo termine”.

Abbiamo quindi altri strumenti per proteggerci dal virus, grazie a questa immunità preesistente o persistente presente in una parte non irrilevante della popolazione.

Come ricorda lo studio pubblicato su Nature, l’identificazione di ulteriori “epitopi” immunodominanti nella SARS-CoV-2 e nei relativi TCR affini (il riarrangiatore genico del recettore delle cellule-T) può diventare un potente strumento di monitoraggio immunitario per valutare l’immunità protettiva contro SARS-CoV-2 nella popolazione e limitare al massimo la diffusione virale nella popolazione globale.

Fonte: “Immunodominant T-cell epitopes from the SARS-CoV-2 spike antigen reveal robust pre-existing T-cell immunity in unexposed individuals” https://www.nature.com/articles/s41598-021-92521-4

Lorenzo Poli

Collaboratore redazionale di Lavoro e Salute

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