Covid-19, ecco perché è giusto chiamarla “epidemia colposa”

Già a marzo 2021 un’indagine condotta da Anaao-Assomed, l’associazione dei medici dirigenti, aveva stabilito che, ad ogni posto letto in meno per 1.000 abitanti era associato un aumento del 2% della mortalità legata al Covid nei primi 8 mesi del 2020.

Oggi, secondo uno studio pubblicato a fine agosto 2021 dall’Università di Pavia su Public Health, il 57% dei 106.600 morti in eccesso avuti nel 2020 non è imputabile al Covid-19, ma all’interruzione delle cure ospedaliere, delle visite non urgenti e degli screening. Secondo lo studio infatti nel 2020 abbiamo avuto 1,3 milioni di ricoveri in meno rispetto al 2019 (-17%), di cui circa 620.000 interventi chirurgici saltati, 747.011 ricoveri programmati e 554.123 urgenti. Questo oltretutto è anche quanto emerge dai dati del IV rapporto di Salutequità sulle cure mancate a causa dello stop per la gestione della pandemia Covid. Le aree più coinvolte sono state quelle della chirurgia generale, dell’otorinolaringoiatria e della chirurgia vascolare, la quale ha visto un calo di circa il 20% degli impianti di defibrillatori, dei pacemaker e degli interventi cardiochirurgici maggiori.

I ricoveri di chirurgia oncologica hanno avuto una contrazione del 13%, quelli di radioterapia del 15% e di chemioterapia del 30%. La diminuzione dei ricoveri del tumore della mammella è stata del 30% e quella di tumori al polmone, pancreas e apparato gastrointestinale del 20% per ognuno.

Nel 2020, rispetto al 2019, ci sono state 90 milioni di prestazioni di laboratorio in meno, 8 milioni di prestazioni di riabilitazione in meno e 20 milioni di prestazioni di diagnostica in meno.

Cosa afferma lo studio? Lo scorso anno ci sono state 750.000 morti, un numero superiore di 108.000 rispetto alla media dei decessi tra il 2015 e il 2019. Questo è l’eccesso di mortalità imputabile, secondo lo studio, a solo il 43% alle infezioni da Covid. Anna Odone, docente ordinaria di igiene all’Università di Pavia e coordinatrice dello studio, ha mostrato uno scenario completamente diverso per il 2021: «Da gennaio ad aprile abbiamo avuto 192.000 decessi, quasi 9.000 in più rispetto all’atteso. (…) In questo caso il contributo dei decessi Covid sulla mortalità è stato del 16%, con range regionali che vanno dal 19/20% del Nord al 14/16% del Mezzogiorno» – aggiungendo – «Nell’aumento di mortalità troviamo sia i morti Covid sia quelli non Covid causati anche dalle cure mancate. I decessi dei casi Covid continueranno a calare per diversi motivi (…). Purtroppo le persone più ad alto rischio sono morte nel 2020. Quelle sopravvissute hanno invece avuto il vaccino, che protegge contro la malattia grave e la morte».

Lo studio dell’Università di Pavia afferma con chiarezza che le mancate cure per altre malattie hanno permesso l’aumento di morti non dovute al virus. La gente è morta perché si è ospedalizzato il virus, rendendolo un “virus nosocomiale” e gli ospedali si sono spostanti sull’emergenza Covid tralasciando la cura delle altre malattie. Ma è colpa degli ospedali? Assolutamente no!

La questione è politica. Dall’indagine emerge come quello dei posti letto sia un fattore più determinate rispetto ad altri, come per esempio l’età media della popolazione. L’Italia con 3,1 posti letto ogni 1.000 abitanti ha registrato un +17% di mortalità, mentre la Germania con 8 posti letto ogni 1.000 abitanti ha registrato un aumento della mortalità pari allo 0. Lo stesso vale anche per i posti letto di terapia intensiva in cui l’Italia si piazza agli ultimi posti europei dietro a Germania, Lituania, Austria, Belgio, Slovacchia, Polonia, Ungheria, Slovenia, Repubblica Ceca, Lussemburgo, Grecia, Estonia, Lettonia,

Portogallo, Francia, Olanda, Finlandia e Irlanda. Ma come è stato possibile tutto questo se l’Italia era la perla della sanità pubblica gratuita e di alta qualità? Una spiegazione ci sarebbe: i tagli alla sanità pubblica che hanno facilitato i processi di privatizzazione della sanità e di espropriazione della medicina territoriale.

Nel 1976 l’Italia aveva 10,7 posti letto ogni 1.000 abitanti, ovvero più del triplo rispetto a oggi. Oggi infatti l’Italia ha 2,6 posti in terapia intensiva ogni 1.000 abitanti. Secondo i dati dell’Università di Pavia, se l’Italia avesse mantenuto quei numeri iniziali, anziché tagliarli, si sarebbero potute salvare quasi 20.000 vite su 106.600. Come suggerisce lo studio dell’Università di Pavia si sarebbero potute salvare circa 8.000 vite se i morti per Covid-19 del 2020 sono stati 45.838.

In questi ultimi 10 anni ci sono stati tagli alla sanità pubblica per ben 37 miliardi (tra il 2012 e il 2019), portando i nostri governi neoliberisti a chiudere 173 ospedali sul suolo nazionale, ovvero il 15%, passando quindi dai 1.165 del 2010 ai 992 del 2019. Non solo, negli ultimi 10 anni, a causa dei tagli e del blocco del turn over, sono stati tagliati 42.380 professionisti sanitari.

Dati sconcertanti che fanno pensare a come sostanzialmente sia stati possibile che morissero così tante persone. Dati che certificano la crisi strutturale di un sistema sanitario devastato da circa 30 anni di politiche neoliberiste a piccole dosi.

La crisi sanitaria da Covid-19 ha dimostrato inoltre, soprattutto in Lombardia, che un “modello sanitario ospedale-centrico” è fallimentare in quanto non trova più appoggio sulla medicina territoriale e quindi sulla prossimità della cura, limitando le risorse in contrasto alle malattie. Di questo e molto altro, in Lombardia, dobbiamo dire grazie a vent’anni di giunte di destra tra i liberal-conservatori di Forza Italia e leghisti sprovveduti che hanno dovuto compiacere i propri sostenitori di Comunione e Liberazione, famosi per detenere il monopolio della sanità privata lombarda. Formigoni devastò la sanitàpubblica creando una vera e propria competizione con quella privata; mentre Maroni distrusse la medicina territoriale, ovvero un fiore all’occhiello della sanità lombarda che stava resistendo nonostante vent’anni di politiche assurde.

La politica di Maroni venne assolutamente sostenuta e giustificata dall’allora senatore Giorgetti (Lega) che al Meeting di Rimini 2019 di Comunione e Liberazione, disse: “E’ vero, mancheranno 45mila medici di base nei prossimi 5 anni, ma chi va più dal medico di base?”.

Eppure questi medici sarebbero serviti in tempi di epidemia. Stando ai dati ufficiali, il sottodimensionamento dovuto ai tagli degli ultimi anni dell’assistenza territoriale e ai medici di base ha avuto un alto impatto sul numero di morti, tra i più alti al mondo, registrati in Italia. Secondo la Corte dei Conti, il numero dei medici di medicina generale negli ultimi cinque anni è stato tagliato del 3,8%, passando dai 45.878 del 2010 ai 42.428 nel 2019, ovvero -3.450. In Italia il rapporto per 100.000 abitanti dei medici generici è stato di 89,2 contro i 179 dell’Irlanda, i 158,7 dell’Austria, i 157,1 dell’Olanda, i 152,9 della Francia, i 124, 8 della Finlandia, i 114,7 della Svizzera, i 114 del Belgio e i 97,8 della Germania. In tutto ciò più alto rapporto tra medici generici e dimensioni della popolazione, 253 per 100.000 abitanti, è stato registrato in Portogallo: paese noto per aver affrontato molto bene la crisi sanitaria.

Ad oggi sono state tagliate anche le strutture per l’assistenza specialistica ambulatoriale che sono passate dalle 9.635 nel 2010 alle 8.798 attuali. Ancora più marcato il taglio dell’assistenza Territoriale Residenziale che dalle 9.635 strutture presenti nel 2010 siamo passati a 7.683 nel 2019.

Eppure tutto questo non viene detto, mentre i nostri politici si divertono a dire nei talk show che c’è una diminuzione degli studenti di medicina, senza mai aggiungere che i Corsi di Medicina sono purtroppo a numero chiuso. Nonostante ciò, anche un’altra cosa non viene detta: molto medici italiani e formati in Italia trovano fortuna all’estero. Secondo i dati Ocse, in Italia, negli ultimi 8 anni sono stati oltre 9.000 i medici formatisi in Italia che sono stati costretti ad andare a lavorare all’estero soprattutto in Regno Unito, in Germania, in Svizzera e Francia.

La crisi sanitaria da Covid-19, oltre ad essere, come aveva dichiarato Vandana Shiva, “inseparabile dall’emergenza sanitaria dell’estinzione, dall’emergenza sanitaria della perdita di biodiversità e dall’emergenza sanitaria della crisi climatica”, è anche inseparabile dall’espropriazione strutturale del nostro sistema sanitario che dagli anni Novanta procede lento e imperterrito.

Durante il Covid, in Italia è mancato tutto ciò che avrebbe potuto evitare ai malati di finirci. Nonostante il Covid, le altre malattie dovevano essere curate ugualmente. Questo virus non ha vinto da solo, ma è stato aiutato a vincere, attraverso una sanità al collasso a causa di scelte politiche.

Ecco perché credo che la Procura di Bergamo abbia fatto benissimo ad aprire un fascicolo-inchiesta per “epidemia colposa” sulla gestione pandemica da Covid, perché le responsabilità sono di stampo politico e causate da scelte che si sono fatte in passato. Il fatto che in Italia non rinnovavano i piani pandemici dal 2006 (come sancisce il dossier OMS scritto da Francesco Zambon), il fatto che lo stesso dossier dell’OMS sia stato ritirato per non fare emergere le responsabilità dell’Italia nell’approccio alla pandemia e per coprire le responsabilità politiche di Ranieri Guerra quando era Direttore Generale del Ministero della Salute, la dice lunga sulla lunga lista di responsabilità politiche.

Per questo la grande propaganda mediatica contro i “no-vax che non si vaccinano”, contro “i no-vax che occupano le terapie intensive”, contro i “no-vax che rubano il posto a chi ne ha più bisogno”, sembra una grande arma di distrazione di massa su cui spostare l’attenzione dell’opinione pubblica o, addirittura, una costruzione di un facile capro espiatorio a cui addossare temporaneamente tutte le colpe.

Per quanto io creda che i brevetti privati sui vaccini debbano essere tolti, che si possa fare ai sensi dell’Art. IX comma 3 e 4 dell’Accordo di Marrakesh che ha costituito l’Omc, che sia giusto chiedere una deroga ai brevetti e agli altri diritti di proprietà intellettuale in relazione a farmaci, vaccini, diagnostici, dispositivi di protezione personale e le altre tecnologie medicali, credo anche che i vaccini non potranno essere la soluzione finale ad un problema che non è emergenziale, ma strutturale. Ad oggi non sono sicuro (non ho certezze, ma mi sono posto il dubbio) che gestire una epidemia solo dal punto di vista epidemiologico e securitario sia la sola ed unica soluzione. La militarizzazione della pandemia e, con l’avvento del Generale Figliuolo, la militarizzazione della salute e dei dati sensibili dei malati non costituivano le uniche. Le alternative c’erano, ci sono state e ci sono, ma appartengono a lunghi processi e a strutture la nostra sanità non possiede. Ora bisogna pensare al dopo quando ci saranno altre epidemie che il nostro sistema sanitario, a causa dei continui tagli, della continua privatizzazione della sanità e della continua espropriazione della medicina territoriale, non riuscirà affrontare.

A quanto pare non riuscirà neanche dopo dal momento che il PNRR di Draghi ha pensato a 30 miliardi per la difesa, riservando solo 9 miliardi alla Sanità. Il problema continua ad essere politico e non solo tecnico, come si è voluto fare con i governi Conte e Draghi.

Questo ci deve far pensare un modello di sanità diversa basata sulla medicina territoriale e sulla prevenzione primaria (questa eterna sconosciuta). Bisogna ritornare a riflettere sulla crisi ecologica da cui tutto è scaturito e bisogna ritornare a parlare di cambiamento strutturale della nostra economia, rivedere il modello di sviluppo e di consumo che oggi è insostenibile, tossico inquinante e che, di conseguenza, incentiva la nascita di zoonosi. Se questa catena tossica e insostenibile della morte non vedrà una fine continueranno ad esserci pandemie di origine zoonotica. Cosa faremo? Al posto di impegnarci per risolvere il problema, produrremo vaccini ancora vaccini d’emergenza pensando che sia ancora la soluzione? Patologie che hanno origine ambientale a causa antropica non possono fermarsi con la vaccinazione. Chi, consultando la letteratura medica, studia demografia sa benissimo che la gente ha iniziato ad ammalarsi di meno di colera e di vaiolo quando è apparsa la “cultura dell’igiene” grazie alla quale la gente ha iniziato a pulirsi le mani, bere acqua pulita e lavarsi con acqua pulita e depurata.

Finché non si farà un discorso di tipo strutturale e si parlerà di questo tema in termini emergenziali non risolveremo il problema; avremo ancora pandemie che il nostro sistema sanitario non riuscirà a reggere, non per colpa dei medici e del personale, ma per colpa della gestione politica degli ultimi 30 anni tra tagli e privatizzazione; e il governo futuro, esattamente come quello di Conte e quello di Draghi, ci farà credere che la sua soluzione emergenziale era “tutto ciò che si poteva fare”, che ha “dato il massimo”, quando in realtà nessuno avrà fatto niente per migliorare la gestione.

Lorenzo Poli

Collaboratore redazionale di Lavoro e Salute

Pubblicato sul numero di settembre 2021

In versione interattiva http://www.blog-lavoroesalute.org/lavoro-e-salute-settembre-2021/

PDF http://PDF http://www.lavoroesalute.org/

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