Covid, ripresa economica e sicurezza sul lavoro
Tutte le attività economiche sono ripartite seppur alla presenza di SARS-COV-2 ma ciò deve essere attuato nella massima sicurezza. Il rischio di contagio del lavoratore viene definito “generico”, cioè per tale rischio non esistono (ancora) misure preventive ma si deve applicare il principio di precauzione. Se si esclude l’ambiente sanitario per il quale sono indispensabili condizioni organizzative, ambientali, tecniche e culturali specifiche, l’ambiente lavorativo e indoor delle varie strutture economiche e sociali rappresenta una sfida a cui tutti siamo chiamati a concorrere per sconfiggere (diciamo così) l’epidemia.
Una valutazione quali-quantitativa della contaminazione microbiologica non è agevolmente praticabile né esplicitamente richiesta dalla normativa attuale in tema di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro (sempre escludendo quanto adibito a assistenza e cura) ma certamente il datore di lavoro è esplicitamente chiamato in causa per “assicurare condizioni igieniche adeguate e a sottoporre a regolare pulizia gli ambienti di lavoro considerando che le superfici, i pavimenti, i soffitti presentino condizioni raggiungibili dagli strumenti e dai metodi di pulizia e detersione per ottenere adeguate condizioni di igiene” ( art 64 e all IV p1.3).
Devono essere adottate tutte le misure tecniche, organizzative, procedurali finalizzate alla prevenzione e protezione dal rischio biologico ovvero misure igieniche per prevenire e, comunque, minimizzare la propagazione accidentale di un agente biologico nel luogo di lavoro. Come detto per COVID-19 vanno adottate misure di protezione e precauzione. Qualora necessario e tecnicamente realizzabile il datore di lavoro deve verificare la presenza di agenti biologici nei luoghi di lavoro, considerando in particolare l’aria e le superfici di contatto. Il controllo ambientale dei livelli di contaminazione microbiologica è infatti utile quanto quello relativo a sostanze nocive e tossiche al fine di consentire una diminuzione del rischio intervenendo tempestivamente, ma la indisponibilità di valori limite per i biocontaminanti e le complesse e non codificate metodologie di prelievo e analisi impediscono di definire una “soglia di salubrità infettivologica”.
Nel caso di attività con esposizione accidentale o potenziale ( in corso di epidemia da SArS-COV-2 praticamente tutte) alcuni capisaldi cognitivi permettono interventi precisi. In primis è nota la relazione tra aerodispersione e contagio attraverso sistemi di climatizzazione a ricircolo senza opportuno filtraggio. Viene richiesto precipuamente, laddove irrinunciabile il sistema di climatizzazione a ricircolo una adeguata pulizia e decontaminazione dei bocchettoni, delle tubature e un ricambio dei filtri (si rimanda ai documenti ISS per la qualità degli ambienti indoor). Minori problematiche dovrebbe creare il ricambio d’aria a ventilazione dall’esterno ma anche qui i sistemi possono essere differenti e complicati da gestire. Questo comporta controlli tecnici adeguati e istruzioni e protezioni specifiche per il personale addetto.
Un altro aspetto ben noto agli esperti è la relazione tra aerodispersione e sedimentazione dei biocontaminanti ( fall out microbiologico per l’INAIL). In pratic se la contaminazione delle superfici in particolare di quelle di lavoro, avviene per contatto con altri oggetti contaminati , con le mani del lavoratore o con liquidi biologici diretti ( colpo di tosse e starnuto in particolare) la contaminazone da sedimantazione ( sostanzialmente la trasformazione del droplet in droplet nucleo) comporta una contaminazione da dispersione e ricaduta gravitazionale a diffusione imprevedibile essendo prodotta da spostamenti d’aria vari e condizionata da ventilazione dell’ambiente, umidità, temperatura in particolare. In alcuni casi per ambienti particolarmente e intensamente contaminati come i luoghi ospedalieri ad elevata concentrazione di malati o nei mezzi di trasporto per malati COVID diffusori (autoambulanze) la quantità di particelle emesse e di quelle risospese può essere talmente elevata da “saturare” l’ambiente come un gas rispondendo perfino alla legge di Fick.
La normazione tecnica in un contesto di rischio generico è risolta dalle disposizioni generali introdotte nel corso della epidemia da COVID-19 da parte dei numerosi DPCM e documenti scientifici e amministrativi prodotti. Fortunatamente per i lavoratori viene indicata una protezione individuale con mascherina chirurgica, una decontaminazione permanente attraverso il lavaggio delle mani e con la disposizione che impone il distanziamento sociale. Norme anche tecniche più stringenti vengono richieste per le postazioni di lavoro attraverso provvedimenti tecnici ( separatori, impiantistica adeguata di cui abbiamo portato ad esempio quella per i ricambi d’aria) e la disponibilità di dispenser decontaminanti a base di gel o liquidi appositi, o locali per il lavaggio delle mani e con le procedure di adeguata pulizia e sanificazione ambientale.
I livelli di azione esemplificati finora si devono associare a precisi livelli di allerta che, nel caso delle attività lavorative e indoor devono basarsi sul pronto riconoscimento di condizioni di deviazione dallo standard. Questo implica nello standard un controllo/supervisione su siti critici e su percorsi ( ascensori, rampe di scale, break point…) per contrastare assembramenti o comportamenti individuali imprevedibili e rischiosi ( togliersi la mascherina senza rispettare le distanze, non lavarsi le mani …) , supervisionare le pratiche di pulizia e sanificazione ( anche con revisione dei capitolati) e mantenere una costante e adeguata informazione. Per quanto concerne situazioni di allerta queste vanno riferite in particolare alla individuazione o alla autodichiarazione di stato di malessere compatibile con COVID-19. Si rende necessario quindi stabilire adeguati protocollo affidati al nucleo aziendale COVID che, in generale, è rappresentato dagli addetti alla salute del lavoratore e composto anche di personale volontario ( la Croce Rossa ha dato esempio di capacità e presenza anche nei luoghi di lavoro), sapendo identificare personale con sintomi o segni sospetti. In questi casi fortunatamente poco frequenti attualmente, nel sommo rispetto della privacy del lavoratore, la individuazione del personale con sospetto di patologia, la sua immediata sospensione dal lavoro, la ricerca dei contatti stretti e la messa in atto di tutte le procedure identificate da DPCM, raccomandazioni e buone pratiche non può prescindere da una complessa integrazione con le “autorità” sanitarie del territorio che abbiamo visto essere in molti luoghi un anello debole della catena sanitaria.
Ne consegue infine che, allo stato delle cose determinate dai decisori istituzionali, la ripartenza delle attività economiche, socio economiche, scolastiche ecc… costituiscono una sfida alla quale tutti sono indotti a partecipare con modelli organizzativi e di intervento semplici, praticabili, condivisi affinché i danni del post epidemia non siano maggiori di quelli provocati dalla epidemia, non solo sotto l’aspetto sanitario.
Il nostro Paese è forte dal punto di vista culturale e scientifico ma è debole nella organizzazione e applicazione di interventi per le note e numerose cause strutturali, decisionali e amministrative, ma i lavoratori, gli imprenditori, il personale a vario titolo e gli utenti, ognuno per le proprie responsabilità, saranno capaci di un impegno tale da fornire speranze di ricrescita per il futuro?
• Sopravvivenza per lunghi periodi di tempo su superfici ambientali
• Capacità di mantenere la propria virulenza nell’ambiente
• Frequente contaminazione dell’ambiente ospedaliero
• Capacità di colonizzare pazienti (Acitenobacter spp., MRSA, VRE, Clostridium difficile)
• Capacità di colonizzare in via transitoria le mani degli operatori sanitari
• Trasmissione attraverso le mani contaminate degli operatori sanitari
• Bassa dose infettante (Clostridium difficile, norovirus)
• Resistenza ai disinfettanti usati sulle superfici ambientali (Clostridium difficile, norovirus)
BIBLIOGRAFIA
RIVM. Hergebruik FFP2 mondmaskers 2020. Bilthoven: RIVM; 2020. Available from:
Viscusi DJ, Bergman MS, Eimer BC, Shaffer RE. Evaluation of five decontamination methods for filtering facepiece respirators. Ann Occup Hyg. 2009;53(8):815-27.
MacIntyre CR, Chughtai AA. Facemasks for the prevention of infection in healthcare and community settings. BMJ. 2015;350:h694.
Medicine Io. Reusability of facemasks during an influenza pandemic: Facing the flu. Washington, DC: The National Academies Press; 2006.
Roberto Bertucci
Infettivologo
Collaboratore redazionale del mensile Lavoro e Salute www.lavoroesalute.org
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