“Crediamo nell’amore e nei sogni”: una storia d’amore a Gaza messa alla prova dal genocidio israeliano
Mentre riflette su tutto ciò che è andato perduto, la sua casa, la sua clinica, i suoi amici, Abdallah rimane fiducioso nella sua fede nell’amore e nella speranza, per quanto fragili possano sembrare.
Fonte: English version
di Anjuman Rahman – 17 novembre 2024
Immagine di copertina: Il dottor Abdullah Hassan Abdo con la sua fidanzata Reham Habboush, prima della guerra, durante il loro fidanzamento alla Grande Moschea di Omari, uno dei monumenti più antichi e storici di Gaza, che è stato distrutto nell’attuale guerra.
“Io e Reham crediamo nell’amore e nei sogni […] e ci aggrappiamo a loro”, dice dolcemente Abdallah Abdou, come se cercasse di convincere se stesso tanto quanto chiunque altro lo stia ascoltando.
Seduto in un rifugio di fortuna nel sud di Gaza, Abdallah, un dentista di 31 anni, riflette su un futuro che, per ora, resta irraggiungibile. Solo un anno fa, lui e la sua fidanzata, Reham, stavano contando i giorni che mancavano al loro matrimonio. Avevano pianificato attentamente ogni dettaglio: la location, l’abito di lei, il completo di lui, la lista degli invitati. Il 20 ottobre 2023 avrebbe dovuto essere l’inizio della loro vita insieme.
Ma quando le bombe israeliane hanno iniziato a cadere su Gaza, i loro piani sono andati in frantumi. Invece di festeggiare, si sono ritrovati divisi, separati da una guerra che ha squarciato il loro mondo.
Nato e cresciuto nel quartiere di Tel Al-Hawa, incastonato nella parte meridionale di Gaza City, Abdallah ha sempre sentito una responsabilità nei confronti della sua comunità. Dopo aver conseguito una laurea in odontoiatria in Egitto, è tornato a Gaza per aprire una clinica nell’affollato campo profughi di Shati, offrendo cure di alta qualità a prezzi accessibili a persone che fanno fatica ad arrivare a fine mese.
Per sei anni si è dedicato al suo lavoro, risparmiando per costruire un futuro con Reham. Ora, sia la sua clinica che la casa che avevano progettato di condividere sono state ridotte in macerie, lasciando Abdallah sfollato nel sud, separato da Reham, che rimane nel nord.
“La guerra è iniziata nella nostra zona, a Tel Al-Hawa, dove abbiamo costruito con entusiasmo la nostra casa mattone su mattone, mettendo il nostro amore e la nostra speranza in ogni dettaglio e progetto. Ma, in pochi minuti nei primi giorni della guerra, i missili dei carri armati israeliani l’hanno completamente distrutta, anche la mia clinica! I soldati israeliani l’hanno saccheggiata e hanno danneggiato tutta la mia attrezzatura”, ha detto Abdallah.
“Quindi ora è tutto perduto. E dopo aver ricevuto una chiamata dall’IDF che ci minacciava di evacuare la nostra casa, la mia famiglia ha deciso di fuggire a sud, mentre la mia anima gemella, Reham, e la sua famiglia sono rimasti intrappolati a nord”. Da allora non si sono più visti, ha aggiunto. La vita da sfollati ha spogliato anche gli aspetti più semplici della vita quotidiana. Abdallah descrive una routine infinita di difficoltà: ore di attesa per il pane, difficoltà a trovare acqua pulita, ricaricare i loro dispositivi in stazioni solari improvvisate. Razionano la farina scaduta e ora si stanno rifugiando in un asilo infantile, dove condividono uno spazio sovraffollato con altre famiglie sfollate.
Mantenere i contatti con Reham è difficile e spesso straziante. I blackout di comunicazione e la connessione Internet inaffidabile li hanno lasciati isolati e ansiosi, temendo il peggio. “A volte, durante i bombardamenti, cerco di confortarla con le parole, ma è difficile trovare quelle giuste. Anche le parole di conforto sembrano vuote perché devo dirle così spesso”. Quando i bombardamenti si intensificano di notte, la paura e la preoccupazione di Reham aumentano. “Mi dice quanto le manco e quanto vorrebbe essere al mio fianco”, dice. “Nonostante tutto, esprimiamo il nostro amore reciproco, anche se deve avvenire attraverso il dolore e le difficoltà quotidiane che non finiscono mai”.
Inoltre, le risorse sono scarse e i prezzi sono alle stelle. Tuttavia, molti nel sud si considerano “fortunati” rispetto a quelli del nord, dove le condizioni sono ancora più strazianti.
Il cibo è quasi inesistente. “Siamo viziati e fortunati qui rispetto al nord”, osserva. “A volte riesco a fare un pasto semplice qui, magari qualche verdura, e la immagino senza cibo a sufficienza. È un pensiero doloroso”, aggiunge dolcemente.
C’è una “forte probabilità che la carestia sia imminente in aree” della Gaza settentrionale, secondo un comitato di esperti di sicurezza alimentare globale, mentre le forze israeliane proseguono con una grande offensiva nella zona.
“È richiesta un’azione immediata, entro giorni, non settimane, da parte di tutti gli attori che prendono parte direttamente al conflitto o hanno influenza sulla sua condotta, per scongiurare e alleviare questa situazione catastrofica”, ha affermato l’indipendente Famine Review Committee. Ha aggiunto che si potrebbe “presupporre che la fame, la malnutrizione e la mortalità eccessiva dovuta a malnutrizione e malattie, stiano aumentando rapidamente” nella parte settentrionale di Gaza. “La soglia della carestia potrebbe essere già stata superata oppure lo sarà nel prossimo futuro”, ha affermato il Global Hunger Monitor.
L’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari stima che ci siano ancora tra 75.000 e 95.000 persone nel nord di Gaza.
“Nessuno può veramente comprenderlo o aspettarselo: è al di là di qualsiasi cosa avremmo potuto immaginare. Questa guerra è come vivere in un incubo senza fine”, afferma Abdallah. Racconta che, tra le tragedie a cui ha assistito, una risalta nella sua mente: suo cugino, Anas Mahani, è rimasto gravemente ferito quando le schegge di un’esplosione gli hanno penetrato la trachea, la via aerea vitale che trasporta l’aria ai polmoni, lasciandolo con difficoltà a respirare o parlare.
“Per noi giovani la cosa peggiore è l’incertezza. Non sappiamo se sopravviveremo, se rivedremo mai le persone che amiamo. Non ho modo di raggiungere Reham, e lei non ha modo di venire da me. La guerra non ci ha separato solo fisicamente; ha distrutto i nostri sogni. Avevamo iniziato a pianificare il nostro futuro insieme e lei sognava di completare il suo master in business administration. Io speravo di continuare a costruire la mia carriera in odontoiatria, acquisendo esperienza e nuove certificazioni.”
Abdallah fa una pausa, “Ma ora sono senza lavoro fisso da più di un anno”. A Deir Al-Balah non ci sono quasi più cliniche dentistiche e le forniture sono così scarse che anche il volontariato ha i suoi limiti. Tuttavia, dove può, ha trovato uno scopo, unendosi a un piccolo team di volontari che offrono cure dentistiche alle famiglie sfollate. “Con le risorse limitate che abbiamo, abbiamo offerto cure di base come estrazioni, devitalizzazioni per bambini, tutto ciò che potevamo gestire”, spiega. “È un piccolo modo per portare un po’ di speranza e persino un sorriso. Questo è il mio modo di aiutare, il mio modo di restituire”. “Non è come lavorare in una clinica, ma è qualcosa”, dice Abdallah, riuscendo a stento a sorridere. Il lavoro non è facile. I pazienti sono spesso bambini che soffrono di infezioni non curate e a volte non ha altro da offrire che consigli sulla gestione del dolore. Abdallah trova un fragile filo di speranza nel suo lavoro, anche se piange coloro che ha perso. Durante la guerra, ha perso 15 membri della sua famiglia allargata, tra cui la famiglia della moglie di suo fratello, uccisi in un unico attacco aereo. La perdita si estende oltre la famiglia: oltre 60 dentisti, molti dei quali amici intimi, hanno perso la vita. Per Abdallah, ogni vita persa è come un altro pezzo del suo mondo che scivola via. Eppure, continua a offrire le sue cure agli altri, determinato a mantenere viva una parte dei loro sogni condivisi.
“Ho perso 15 membri della mia famiglia in un attimo”, dice Abdallah, con la voce rotta mentre ricorda ogni volto, ogni storia. Alcuni erano bambini che non avevano mai conosciuto una vita al di fuori di Gaza, altri erano anziani che avevano sopportato conflitti passati ma avevano sempre sperato in un futuro migliore. I suoi cugini più giovani sognavano di studiare all’estero; uno zio aveva appena iniziato a espandere la sua piccola attività. Erano persone che, come Abdallah, avevano sogni che andavano oltre i confini del conflitto, eppure sono stati portati via in un istante. Mentre riflette su tutto ciò che è andato perduto, la sua casa, la sua clinica, i suoi amici, Abdallah rimane fiducioso nella sua fede nell’amore e nella speranza, per quanto fragili possano sembrare. Si aggrappa all’idea che, un giorno, lui e Reham saranno riuniti. Insieme, ricostruiranno non solo le loro vite, ma anche quelle della loro comunità, aiutando a guarire le ferite di coloro che sono stati dilaniati da questa guerra senza fine.
Traduzione: Simonetta Lambertini – invictapalestina.org
19/11/2024 https://www.invictapalestina.org
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