Crescono gli impegni militari dell’Italia, mentre vengono tagliate ancora le spese sociali
Ad agosto il presidente statunitense Donald Trump, ha dichiarato la sua intenzione di chiedere agli alleati della Nato di aumentare le loro truppe in Afghanistan dopo la decisione presa di far arrivare nel paese altri 5mila soldati statunitensi. L’Italia, che vanta già il secondo contingente per numero nella operazione “Resolute Support”, adempiere alle richieste statunitensi significherebbe portare l’attuale contingente militare italiano da 900 ad almeno 1200 soldati e per un tempo indeterminato. Un processo però già in corso. Già a luglio infatti un numero imprecisato di militari americani e italiani, operanti nell’ambito della missione “Resolute Support” (con compiti di addestramento, assistenza e consulenza per le forze di sicurezza afgane), è stato dispiegato nella provincia occidentale di Farah per sostenere le forze locali impegnate contro i talebani. Fonti locali sostengono che si tratta di circa 120 uomini che sosterranno lo sforzo di polizia ed esercito afgani contro i talebani. Questo contingente militare si aggiunge a quello di circa 200 soldati (130 americani e 70 italiani) già inviato a Farah nel gennaio scorso.
Aumentano così le spese destinate alle spedizioni militari e all’impegno militare italiano non solo nei teatri di guerra come l’Afghanistan. Lo scorso gennaio è stato approvato da Palazzo Chigi, nel silenzio generale, il consueto finanziamento alle missioni militari per il 2017. Un capitolo di spesa, peraltro, che lievita rispetto all’anno scorso, come emerge dalla deliberazione del consiglio dei ministri consegnata alle Camere. I conti, sulla base di tale documento, li ha fatti l’Osservatorio sulle spese militari italiane (Mil€x) di Francesco Vignarca ed Enrico Piovesana: rispetto allo scorso anno, dice l’Osservatorio, «emerge un aumento dello stanziamento generale di circa il 7 per cento»: 1,28 miliardi di euro contro gli 1,19 miliardi del 2016. Soldi destinati a finanziare l’impiego di 7.600 uomini, 1.300 mezzi terrestri, 54 mezzi aerei e 13 navali in decine di missioni attive in 22 Paesi, nel Mar Mediterraneo e nell’Oceano Indiano.
Ma anche le previsioni di spesa del Ministero della Difesa sono passate dai 20,3 miliardi del 2017 ai quasi 21 miliardi del 2018, con aumento del 3,4%. A queste vanno aggiunti gli stanziamenti (stabili) del Ministero dello Sviluppo Economico per l’acquisizione di nuovi armamenti, il costo delle missioni militari all’estero sostenuto dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, gli oneri per il personale militare a riposo a carico dell’Inps oltre all’impatto finanziario derivante dai contributi al budget Nato e dalla compartecipazione per i costi delle basi Usa sul territorio nazionale. Vanno sottratti i costi non militari dell’Arma dei Carabinieri (per funzioni di polizia e ordine pubblico ed ora anche per le funzioni di guardia forestale).
Il calcolo conduce ad una spesa militare italiana complessiva in aumento del 4% passando dai 24,1 miliardi del 2017* agli oltre 25 miliardi del 2018, pari all’1,42% del Pil previsionale (nel 2017 la percentuale era l’1,40).
L’aumento più sostanzioso (circa il 15%) riguarda la spesa per nuovi armamenti che si ottiene sommando gli stanziamenti diretti della Difesa con quelli provenienti da fondi del Mise. Secondo i calcoli preliminari dell’Osservatorio MIL€X nel 2018 la tripartizione effettiva della spesa militare (personale, esercizio e investimenti) che, secondo la Riforma Di Paola (dal nome del Capo di Stato Maggiore), dovrebbe tendere ad una suddivisione impostata su 50%-25%-25% ma si attesterà sul 57% per il personale, il 13% per l’esercizio e un complessivo 30% per gli investimenti in armamenti e infrastrutture.
In compenso nell’ultima legislatura (2013-2018) i tagli alla spesa pubblica hanno quasi raggiunto i 30 miliardi di euro nel 2017. La relazione sulla Spending Review, pubblicata a giugno ci dice che tra il 2014 e il 2016 la spesa pubblica è stata tagliata per 3,6 miliardi nel 2014, 18 miliardi nel 2015, 25 miliardi nel 2016 e si punta a 29,9 miliardi per il 2017.
Oltre la metà dei tagli pari a 16,4 miliardi nel 2017 (il 54,1% del totale), è stato a carico delle Regioni e degli Enti locali. Questi ultimi hanno scaricato i tagli subiti direttamente sulle tariffe dei servizi da loro gestiti. tra il 2013 e il 2016, in tre anni, “l’andamento delle tariffe regolamentate a livello locale sono aumentate in misura spesso ingiustificata. Se le bollette dell’acqua/fognatura sono ‘esplose’ del 20% circa, il servizio di raccolta e smaltimento rifiuti è salito dell’8,4%, i trasporti multimodali del 5,5%, l’iscrizione alle scuole secondarie del 5,1%, le mense scolastiche del 4,2%, i biglietti dell’autobus del 3%.
Mentre il governo italiano spedisce ufficialmente o silenziosamente militari e forze speciali nelle missioni all’estero (adesso tocca all’Africa), e aumenta le risorse destinate alle spese militari, l’intero sistema dei servizi sociali è stato trascinato in basso dai tagli e dal degrado. L’unica soluzione proposta è quello di affidarli ai privati e al mercato e di deresponsabilizzare così totalmente le istituzioni pubbliche dai loro doveri verso la società venendo esplicitamente meno al dettato Costituzionale prima dell’introduzione del mefitico art.81. Questo paese ha bisogno di una operazione verità. Portiamola in piazza il 10 novembre con lo sciopero generale e l’11 novembre con la manifestazione nazionale a Roma.
Federico Rucco
2/10/2017 http://contropiano.org
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