Crisi ecologica e altermondialismo

Crisi ecologica e cambiamento climatico

La crisi ecologica planetaria ha raggiunto un punto di svolta con il fenomeno del cambiamento climatico. Prima osservazione: la situazione si sta deteriorando molto più velocemente del previsto. L’accumulo di anidride carbonica, l’innalzamento della temperatura, lo scioglimento dei ghiacciai polari e delle “nevi perenni”, la siccità, le alluvioni: tutto precipita e i bilanci degli scienziati, appena l’inchiostro dei documenti si è asciugato, si rivelano troppo ottimisti. Ormai ci stiamo orientando sempre di più verso intervalli maggiori, nelle previsioni per i prossimi dieci, venti, trent’anni. A questo vanno aggiunti alcuni pericoli, ancora poco studiati, ma che rischiano di provocare un salto qualitativo dell’effetto serra oltre che uno slittamento incontrollabile del riscaldamento globale: i 400 miliardi di tonnellate di CO2 attualmente imprigionati nel permagelo (permafrost), la tundra ghiacciata che si estende dal Canada alla Siberia. Se i ghiacciai iniziano a sciogliersi, perché non dovrebbe sciogliersi anche il permagelo? Ci sono pochi scenari peggiori, in cui la temperatura supera i 2 o 3 gradi di aumento: gli scienziati evitano di tracciare un quadro catastrofico, ma conosciamo già i rischi connessi: innalzamento del livello del mare, con inondazioni, non solo di Decca e altre città marittime asiatiche, ma anche di Londra e di New York. Desertificazione della terra, di enormi proporzioni. La mancanza di acqua potabile. Catastrofi “naturali” in serie (uragani, tsunami ecc.). Potremmo allungare l’elenco. A partire da un certo livello della temperatura – sei gradi per esempio – la Terra sarà ancora abitabile per la nostra specie? Sfortunatamente, al momento non abbiamo un pianeta di riserva nell’universo noto agli astronomi. Chi è responsabile di questa situazione, senza precedenti nella storia dell’umanità? È l’uomo, ci dicono gli scienziati. La risposta è corretta, ma un po’ concisa: gli esseri umani vivono sulla Terra da millenni, la concentrazione di CO2 ha iniziato a diventare un pericolo solo pochi decenni fa. Come marxisti, rispondiamo che la colpa è del sistema capitalista, della sua logica assurda e irrazionale di espansione e di accumulazione infinita, del suo produttivismo ossessionato dalla ricerca del profitto.

Lo scioglimento dei ghiacciai artici al Polo Nord sta avvenendo molto più velocemente del previsto. Rischia di avere conseguenze drammatiche: da un lato, un effetto feedback: mentre il ghiaccio riflette, come uno specchio, il calore solare, il mare o la terra lo assorbono, intensificando il cambiamento climatico; dall’altro, il pericolo, a lungo termine, di un innalzamento del livello del mare che sommerge interi paesi (un rischio reale per i Paesi Bassi, secondo un rapporto dell’Unione Europea). Cosa stanno facendo i governi confinanti con la regione, gli Stati Uniti, la Russia e il Canada? Contestano, con spedizioni militari patriottiche, la disposizione delle rispettive zone di sovranità, in vista del futuro sfruttamento del petrolio che attualmente giace sotto i ghiacciai… E che dire del Protocollo di Kyoto, espressione dei governi più “illuminati” (borghesi), dal punto di vista ecologico? Il suo dispositivo centrale, il mercato dei diritti di emissione, si è rivelato un’operazione tragicomica: le quote di emissione distribuite dai “responsabili” sono state così generose che tutti i Paesi hanno chiuso il 2006 con grandi eccedenze dei suddetti diritti di emissione. Risultato: il prezzo di una tonnellata di CO2 è crollato velocemente da 20 euro a meno di un euro… Citiamo anche l’ultima cura miracolosa: sostituire il petrolio – che comunque è destinato a esaurirsi – con gli agrocarburanti. I cereali o il mais, piuttosto che sfamare i popoli affamati del Terzo Mondo, riempiranno i serbatoi delle auto dei paesi ricchi. Secondo l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (fao), i prezzi dei cereali sono già aumentati drammaticamente a causa della forte domanda di agrocarburanti, votando alla fame milioni di persone nei paesi poveri. Per non parlare del fatto che la produzione di questi combustibili, che richiede fertilizzanti, pesticidi, ecc., rischia di produrre tanta CO2 quanto i combustibili fossili.

Non possono esserci soluzioni compatibili con il regno del capitale. La soluzione è pensare e poi instaurare l’ecosocialismo: una società dove la produzione e il consumo sono democraticamente decisi da tutta la popolazione, secondo criteri sociali ed ecologici che sfuggono alla logica del mercato e del profitto.

Ecologia e altermondialismo

Sì, ci si risponderà, questa utopia è opportuna, ma nel frattempo dovremmo stare a guardare? Certamente no! Dobbiamo lottare per ogni passo avanti, ogni misura normativa, ogni azione in difesa dell’ambiente. Ogni chilometro di autostrada bloccato, ogni misura a favore del trasporto pubblico è importante; non solo perché rallentano la corsa verso il baratro, ma perché consentono alle persone, ai lavoratori, ai singoli di organizzarsi, di lottare e di prendere coscienza delle poste in gioco della lotta, di comprendere, attraverso la loro esperienza collettiva, il fallimento del sistema capitalista e la necessità di un cambiamento di civiltà.

È con questo spirito che le forze più attive dell’ecologia si sono impegnate, sin dall’inizio, nel movimento altermondialista. Questo impegno corrisponde alla consapevolezza che le grandi sfide della crisi ecologica sono globali e che quindi possono essere affrontate solo da un approccio risolutamente cosmopolita, sovranazionale, globale. Il movimento altermondialista è forse il fenomeno più importante di resistenza anti-sistema dell’inizio del xxi secolo. Questa vasta nebulosa, questo sorta di “movimento dei movimenti” che si è manifestato in modo visibile durante i forum sociali, regionali o mondiali e le grandi manifestazioni contro l’Organizzazione mondiale del commercio (omc), il G8 (che è diventato di nuovo G7 nel 2014) o la guerra imperialista in Iraq, questa vasta nebulosa non corrisponde alle solite forme di azione sociale o politica. È una grande rete decentralizzata, diversificata ed eterogenea, che associa sindacati e movimenti contadini, ong e organizzazioni indigene, movimenti di donne e associazioni di ambientalisti, intellettuali e giovani attivisti. Lungi dall’essere una debolezza, questa pluralità è una delle fonti della forza, crescente e in espansione, del movimento.

Si può dire che l’atto di nascita dell’altermondialismo sia stata la grande manifestazione popolare che fece fallire la riunione dell’omc a Seattle nel 1999. La testa visibile di questa lotta fu la sorprendente convergenza di due forze: turtles and teamsters, ambientalisti vestiti da tartarughe (specie in via di estinzione) e sindacalisti del settore dei trasporti. La questione ecologica era quindi presente, sin dall’inizio, al centro delle mobilitazioni contro la globalizzazione capitalista neoliberista. La parola d’ordine centrale del movimento, “il mondo non è una merce”, intende anche l’aria, l’acqua, la terra, in una parola l’ambiente naturale, sempre più sottomesso al controllo del capitale.

Possiamo dire che l’altermondialismo ha tre momenti. In primo luogo, la protesta radicale contro l’ordine esistente delle cose e le sue sinistre istituzioni: il Fondo monetario internazionale, la Banca mondiale, l’omc, il G8 ecc. Poi, una serie di misure concrete, di proposte immediatamente attuabili: la tassazione del capitale finanziario, l’eliminazione del debito del Terzo mondo, la fine delle guerre imperialiste. Infine, l’utopia di un “altro mondo possibile”, fondato su valori comuni come la libertà, la democrazia partecipativa, la giustizia sociale e la difesa dell’ambiente.

La dimensione ecologica è presente in questi tre momenti: essa ispira sia la rivolta contro un sistema che porta l’umanità in un tragico vicolo cieco, sia un insieme di proposte precise – moratoria sugli omc, sviluppo del trasporto pubblico gratuito – nonché l’utopia di una società che vive in armonia con gli ecosistemi, delineata dalle pubblicazioni del movimento. Ciò non significa che non vi siano contraddizioni, derivanti tanto dalla resistenza di settori del sindacalismo alle rivendicazioni ecologiche, percepite come “una minaccia per l’occupazione”, quanto dalla natura limitata e poco “sociale” di certe organizzazioni ecologiste… Ma una delle caratteristiche più positive dei forum sociali e dell’altermondialismo nel suo complesso è la possibilità di incontro, dibattito, dialogo e apprendimento reciproco di diversi tipi di movimenti.

Va aggiunto che lo stesso movimento ambientalista è lungi dall’essere omogeneo: è molto diversificato e abbraccia uno spettro che va dalle ong moderate che praticano lobbying ai movimenti combattivi investiti in un lavoro militante di base; dalla gestione “realistica” dello Stato (a livello locale o nazionale) alle lotte che mettono in discussione la logica del sistema; dalla correzione degli “eccessi” dell’economia di mercato a iniziative di orientamento ecosocialista. Questa eterogeneità caratterizza l’intero movimento altermondialista, anche se predomina una sensibilità anticapitalista, soprattutto in America Latina. Per questo il World Social Forum, prezioso luogo di incontro – come spiega benissimo il nostro amico Chico Whitacker – dove possono attecchire diverse iniziative, non può diventare un movimento socio-politico strutturato, con una “linea” comune, delle risoluzioni adottate dalla maggioranza, ecc.

È importante sottolineare che la presenza dell’ecologia nel “movimento dei movimenti” non è limitata alle organizzazioni ecologiste come Greenpeace o wwf. La problematica ecologica è sempre più presa in considerazione, nell’azione e nella riflessione, da vari movimenti sociali, contadini, autoctoni, femministi, religiosi (teologia della liberazione)…

Un chiaro esempio di questa integrazione “organica” delle questioni ecologiche da parte di altri movimenti sociali è il Movimento Sem Terra (mst) del Brasile, che, con i suoi compagni della rete internazionale Via Campesina, è uno dei pilastri del Forum Sociale Mondiale e del movimento altermondialista. Ostile, sin dalle sue origini, al capitalismo e alla sua espressione rurale, l’agrobusiness, il mst ha sempre più integrato la dimensione ecologica nella sua lotta per una riforma agraria radicale e per un altro modello di agricoltura. Durante la celebrazione del ventesimo anniversario del movimento a Rio, nel 2005, il comunicato degli organizzatori esponeva la loro ambizione per “un mondo egualitario, che socializza la ricchezza materiale e culturale”, un nuovo percorso per la società, “fondato sull’uguaglianza tra gli esseri umani e i principi ecologici”. Questa ambizione ha trovato la sua traduzione pratica nell’azione del mst, spesso al limite della legalità, contro gli ogm. Si tratta di una lotta rivolta sia contro il tentativo delle multinazionali (Monsanto, Syngenta) di controllare totalmente le sementi sottoponendo i contadini al loro dominio, ma anche contro un fattore di inquinamento e contaminazione incontrollabile dei campi. Così, grazie a un’occupazione “selvaggia”, il mst ha ottenuto nel 2006 l’espropriazione di un campo di mais e soia transgenici da Syngenta Seeds nello Stato del Paraná, che è diventato l’accampamento contadino “Free Land”. Da segnalare anche la lotta che oppone il mst alle multinazionali della cellulosa e della carta che moltiplicano, per centinaia di migliaia di ettari, veri e propri “deserti verdi”, foreste di eucalipti in monocoltura che prosciugano tutte le fonti d’acqua e distrugono ogni diversità biologica. Queste lotte sono inseparabili, per i dirigenti e gli attivisti dell’mst, da una prospettiva radicale anticapitalista.

Le cooperative agricole del mst, che sviluppano un’agricoltura biologica attenta alla biodiversità e all’ambiente in generale, costituiscono quindi esempi concreti di una forma alternativa di produzione. Nel luglio 2007, il mst e i suoi partner del movimento Via Campesina hanno organizzato a Curitiba una Giornata dell’agro-ecologia che ha riunito centinaia di delegati, ingegneri agricoli, accademici e teologi della liberazione (Leonardo Boff e Frei Betto in particolare).

Naturalmente, queste esperienze e queste lotte non sono limitate al Brasile, si trovano, in forme diverse, in molti altri paesi, non solo nel Terzo Mondo, e costituiscono una parte significativa dell’arsenale combattivo dell’altermondialismo e della nuova cultura cosmopolita di cui è portatore.

Michel Löwy

27/7/2021 http://effimera.org

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