CRONACA DI SINDACALISMO REALE
Mercoledì 25 a Roma si è tenuta un’assemblea promossa e partecipata dal Sindacato è un’altra cosa (CGIL), CUB, USB, Si Cobas, CIB Unicobas, Asbel CNL e USI su rappresentanza sindacale, contrattazione, diritto di sciopero. Così come a Torino e in altre città d’Italia, anche a Roma infatti i sindacati di base e conflittuali stanno provando a procedere uniti per far fronte all’attacco sempre più pesante che la crisi e le politiche di Renzi stanno sferrando ai diritti dei lavoratori, molto spesso purtroppo con l’avvallo e la complicità dei sindacati confederali.
A dare un ulteriore stimolo alla costruzione di questo percorso nella capitale, è stato il protocollo che proprio i sindacati confederali hanno appena firmato al Ministero dei Trasporti, protocollo che li obbliga a non scioperare nel settore dei trasporti in numerose giornate ritenute ‘sensibili’ per lo svolgimento del Giubileo. Qualcosa di simile a quanto visto in occasione dell’EXPO e di pericoloso, dato che potrebbe anticipare misure ancor più repressive, come quella che ormai da Giugno impedisce lo svolgersi di manifestazioni “non di carattere nazionale” nel centro della città e che proprio come protocollo d’intesa partì per poi diventare una direttiva prefettizia. D’altronde di questi tempi abbiamo assistito spesso a casi in cui l’emergenza si è trasformata in norma: si pensi ad esempio al fatto che proprio il Giubileo del 2000 è stata l’occasione che ha dato l’avvio a quel processo di privatizzazione del trasporto pubblico romano iniziato con un singola linea “speciale e temporanea” e che ormai ha raggiunto il 30% del servizio di superficie in virtù dell’appalto alla Roma TPL, i cui lavoratori sono proprio in questi giorni in sciopero, dato che non gli vengono pagati gli stipendi da due mesi! O anche al fatto che sempre il passato Giubileo giustificò il taglio del costo del lavoro nel servizio municipale di raccolta dei rifiuti. Si tratta di precedenti preoccupanti che si sommano alla fase critica che sta vivendo l’economia e la politica capitolina, ormai triplamente commissariata per via delle dimissioni del sindaco, dell’imminente anno Santo e del piano di rientro del debito che impone tagli a servizi e stipendi.
Al di là del piano cittadino, è però la complessiva fase nazionale (ed internazionale) a richiedere salti di qualità nel livello di confronto e nella capacità di individuare terreni concreti di convergenza pratica. Come è stato fatto notare, si può pure essere in grado di vince alcune battaglie, anche significative, ma il problema per chi prova a esprimere le istanze e i bisogni dei lavoratori tutti è l’irresistibile avanzata del fronte padronale, che sembra proprio star vincendo la guerra. L’entrata in vigore del Jobs Act e la relativa abrogazione dell’articolo 18 rappresenta il bottino più ghiotto che i padroni italiani siano riusciti a strappare negli ultimi 40 anni, nonché un vero spartiacque nel rapporto tra capitale e lavoro: il diritto alla reintegra in caso di licenziamento non rappresentava soltanto una fondamentale garanzia per il lavoratore singolo, ma anche per la stessa agibilità sindacale, per la possibilità di portare avanti rivendicazioni di interesse collettivo senza avere paura di ritorsioni. Chiaramente i processi che hanno portato a questa situazione vengono da lontano, tante altre pessime misure peggiorative abbiamo subito negli ultimi anni (dai contratti precari all’accordo sulla rappresentanza, passando per le deroghe in peggio dei ccnl), senza per questo aver mai dovuto demordere. Rimane però la portata anche simbolica dell’evento, che tra l’altro ha scatenato ancor di più gli istinti rapaci dei padroni che ormai parlano senza peli sulla lingua della revisione del diritto di sciopero e della contrattazione collettiva. Anche per questo si sono levate sempre più voci ultimamente che invocavano un ritorno alle radici del movimento sindacale e di classe, non da ultima la stessa FIOM con il suo slogan “Union!”.
Certo, una cosa è indicare e registrare le difficoltà, un’altra cosa è riuscire a trovare un modo per uscirne. Come pure è stato rilevato in un intervento, il fatto che le stesse invocazioni della FIOM non siano riuscite ad andare molto oltre le parole e le manifestazioni (di cui l’ultima è stata, purtroppo, un clamoroso insuccesso) rischia di avere poi effetti controproducenti, alimentando la sfiducia e il cinismo dei lavoratori, che non vedono seguito concreto a dei principi pure giusti. D’altronde anche i sindacati di base hanno difficoltà, come dimostra l’adesione prima dei Cobas ed infine dell’USB all’accordo sulla rappresentanza da loro stessi osteggiato e pesantemente criticato, ma alla fine firmato per ragioni di “necessità”. O com’è altrettanto testimoniato dalla incapacità di far uscire una data unitaria di lotta questo autunno.
Sono difficoltà che conosciamo bene, simultaneamente frutto e ingrediente della crisi di coscienza in cui versano i milioni di lavoratori che ancora e sempre più affannosamente cercano soluzioni individuali nel pieno di una crisi economica che li costringe ad accettare le briciole concesse dai padroni. Quel tipo di difficoltà che, come sottolineava un intervento, fanno sì che le organizzazioni sindacali o di solidarietà siano spesso guardate con sospetto e diffidenza e debbano conquistarsi strenuamente la credibilità sul campo. Ma appunto, si tratta anche di conquistarsi questa credibilità giorno per giorno, offrendo prospettive concrete laddove le scorciatoie individuali rivelano tutti i loro limiti: più ci si mostra uniti, coordinati e capaci, più saremo destinati a conquistarci la credibilità che meritiamo. Senza farsi troppo preoccupare dalle false partenze, dall’inadeguatezza delle forme che saremo in grado di darci. Perché tanto gli adatti non esistono: siamo in una fase di transizione in cui tanto del vecchio sta morendo ma il nuovo fatica ancora a nascere. Il nostro compito è sperimentare e aprire quelle strade che un giorno troveranno le forme organizzative in grado interpretare le istanze i bisogni del nostro bastonatissimo proletariato.
Anche perché non dobbiamo rischiare di vedere nei padroni solo il loro strapotere: la stretta sul diritto di sciopero e di agibilità sindacale non è solo frutto della loro forza, ma anche della paura del possibile emergere di nuovi conflitti sul posto di lavoro. D’altronde sanno bene il livello di sacrifici a cui ci stanno costringendo, così come la distanza tra la propaganda che li ha coperti e la realtà: facile infatti parlare di “tutele crescenti” che non esistono, meno facile nasconderne gli effetti reali, i licenziamenti, i riflessi in busta paga. E intanto dilagano segni di instabilità finanziaria ed economica che mostrano il limite della droga monetaria della BCE e del suo quantitative leasing e tanti commentatori borghesi ormai parlano del rischio di risvegliarci bruscamente da questo sonno. Se questo sicuramente non si traduce automaticamente in avanzamenti verso la difesa dei diritti dei lavoratori, come purtroppo stanno dimostrando i venti di guerra che ne sono contemporaneamente prodotto e carburante, tanto basta a turbare i sogni dei padroni e a rendere la situazione quantomeno fluida.
Per questo dobbiamo e possiamo crederci, per questo dobbiamo portare avanti quello che possiamo. Suggerimenti concreti non ne mancano, nonostante la discussione dell’assemblea si sia tenuta volutamente su un piano più generale: dalla costituzione di coordinamenti tra lavoratori e/o delegati sindacali a quella di vere e proprie camere del lavoro, passando per la nascita di casse di resistenza che sostengano gli scioperi. Si tratta di strumenti che abbiamo visto emergere negli ultimi anni in più occasioni, a partire dalle lotte dei facchini della logistica ma anche in contesti avanzatissimi come quello di Livorno e che proviamo a promuovere e portare avanti noi stessi, innanzitutto con la Camera Popolare del Lavoro a Napoli presso il centro sociale Je So Pazz’, oppure a Padova proprio in questi giorni.
Anche a Roma riteniamo siano possibili cose del genere e tentativi come questi non ne mancano (pensiamo sempre alle lotte della logistica o a quelle dei lavoratori capitolini). Si tratta di coltivarli, sostenerli, rafforzarli. Senza volare troppo alto col rischio poi di cadere, ci sembra però molto importante che da questa assemblea, insieme alla proposta di recarsi del prefetto per affermare la propria contrarietà alla moratoria sul diritto di sciopero, sia uscita anche quella di sostenere la campagna referendaria che alcuni sindacati di base e autonomi dei lavoratori dell’ATAC, insieme all’opposizione CGIL, stanno portando avanti per l’abolizione dell’infame accordo che abolisce tante di quelle indennità strappate con anni di lotta. Le stesse ragioni che muovono anche i colleghi della Roma TPL, che dovrebbero e potrebbero essere i primi a ricevere la solidarietà di questo neonato spazio di confronto.
Insomma non mancano le cose da fare, sta a noi prendere il ritmo giusto!
28/11/2105 http://clashcityworkers.org/
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