Cuba forma gratis medici stranieri, a patto che tornino a casa ad aiutare i deboli
Joyce Malanda vuole diventare una dottoressa per aiutare le persone nel sud-est di Raleigh dove è cresciuta, in particolare quelle che faticano ad avere accesso alle cure mediche, in un paese, gli Stati Uniti, dove anche il diritto alla salute rimane tale fino a che si è in grado di pagare. Malanda, purtroppo questo lo sa bene: suo padre è morto quando lei aveva solo 9 anni, non avendo i soldi per pagarsi le cure di cui avrebbe avuto bisogno. Per raggiungere il suo obiettivo, Malanda ha scelto quindi di frequentare la facoltà di medicina a Cuba. Quest’inverno diventerà la prima residente della Carolina del Nord a frequentare la Scuola di Medicina dell’America Latina, fuori l’Avana. Nonostante le storiche tensioni tra Washington e l’Avana, più di 200 sono gli americani laureati in medicina a Cuba e 42 sono quelli iscritti al momento. Ajamu Dillahunt, membro di IFCO un organizzazione religiosa, che ha lo scopo di facilitare l’iscrizione per i ragazzi svantaggiati americani nella scuola dell’Avana, ha infatti commentato che la peculiarità della scuola è proprio quella di: « far conoscere la medicina ai ragazzi attraverso una visione che tenga conto anche dei principi di consapevolezza e giustizia sociale». Una rarità, considerando come in molti paesi occidentali le logiche del profitto rendano le cure mediche quasi un bene di lusso, piuttosto che un diritto universale. La scuola di medicina fu aperta nel 1999, su decisione di Fidel Castro, allo scopo di formare studenti stranieri provenienti dai paesi dell’America Latina devastati dagli uragani. L’iscrizione venne poi estesa a studenti anche di altri paesi, inclusi gli Stati Uniti. Tutti gli studenti che frequentano la scuola sono ospiti del governo cubano, che paga le loro tasse scolastiche. L’unica condizione per gli studenti è quella che, una volta terminati gli studi, si impegnino a tornare nei loro paesi d’origine e a praticare la medicina nelle comunità più povere e svantaggiate.
Cuba paese povero di risorse, che ancora si trova sotto embargo economico da parte degli Stati Uniti, nonostante l’Unione Sovietica non esista più da 30 anni, è stata capace negli anni di incrementare numerosi programmi di sviluppo della salute pubblica. Analizzando alcuni dati si può capire come tali programmi abbiano avuto successo. L’aspettativa di vita a Cuba ad esempio è cresciuta raggiungendo gli 80,7 anni per le donne e 76,2 per gli uomini rispetto al 1990 quando si assestava a 76,9 anni per le femmine e 73 per i maschi. Anche la capacità in tutta l’isola di offrire servizi medici efficaci è aumentata passando dal 59,4% del 1990 al 72,6% del 2019. Facendo un paragone con i paesi vicini, possiamo notare che ad esempio, nella Repubblica Dominicana, la capacità di offrire servizi medici essenziali al 2019 si ferma al 52,5%, mentre l’aspettativa di vita ad Haiti, al 2019, si assesta a 66 anni per le femmine e a 63,8 per gli uomini. Altra sostanziale differenza tra questi paesi dei caraibi è che a Cuba la salute è pubblica, ossia completamente gratuita, mentre negli altri due è a pagamento. Paragoni sulla capacità di copertura del sistema sanitario cubano si potrebbero fare anche con paesi di altre zone del mondo.
Secondo l’STC Health Index, un indice che valutando oltre 28 indicatori aiuta a comparare il livello dei sistemi sanitari di diversi paesi del mondo, vediamo che Cuba si classifica al 49° posto. Superando tutti i paesi delle Americhe ad eccezione di Canada e Cile, e facendo meglio anche di molti paesi dell’Europa Orientale. Senza dubbio uno dei maggiori successi del governo cubano è stata la capacità di risposta efficace alla pandemia, come riconosciuto anche dalla prestigiosa rivista medica The Lancet. Cuba infatti è stata capace con le sue sole forze di crearsi un vaccino, il Soberana. Inoltre, non si è mai tirata indietro dal punto di vista della solidarietà, inviando medici ai paesi che ne avevano bisogno, come l’Italia.
Caso più unico che raro quello di Cuba, che è stata in grado di utilizzare lo sviluppo del suo programma di salute pubblica come un vero e proprio mezzo diplomatico, e solidale. Da molti anni infatti i medici cubani sono presenti in diverse zone di conflitto in aiuto alla popolazione locale o come primo soccorso nei paesi colpiti da disastri naturali. I medici cubani del contingente “Henry Reeve” sono stati infatti candidati, con il sostegno di oltre 100 paesi, al premio nobel per la pace per il loro contributo nella lotta al Covid. Sarebbero oltre 3.700 i medici che, raccolti in 46 brigate, hanno portato assistenza in quasi 40 paesi durante i primi mesi della pandemia.
Da oltre mezzo secolo, nonostante le difficoltà economiche, l’embargo e i tentati colpi di stato orditi dagli Usa, Cuba ha messo la formazione e la medicina alla base del proprio sviluppo. Lo storico presidente Fidel Castro non è più al potere da 14 anni ma le sue parole ancora guidano le politiche socialiste di questa piccola isola eretica nel cuore dei Caraibi: «Il nostro Paese non lancia bombe contro gli altri popoli, né manda migliaia di aerei a bombardare città. Il nostro Paese non possiede armi nucleari, né armi chimiche, né armi biologiche. Le decine di migliaia di scienziati cubani sono stati educati all’idea di salvare vite e sarebbe in assoluta contraddizione porli al servizio dello studio per costruire armi o virus letali».
Enrico Phelipon
18/2/2022 https://www.lindipendente.online
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