Cure primarie e Salute mentale

Per avere un rapporto positivo con la comunità bisogna aprire cantieri di verifica “popolare” sugli esiti e le prestazioni dei servizi, la loro equità, la loro capacità di ridurre le disuguaglianze. Bisogna avere fiducia nella possibilità di una cooperazione intelligente dal basso che si attiva se si aprono spazi di gestione responsabile dei poteri pubblici.

Il libro di Brambilla e Maciocco “Dalle Case della Salute alle Case della Comunità – La sfida del PNRR per la sanità territoriale” (1) permette di approfondire la relazione tra Cure Primarie e Salute Mentale nel ripensamento dei servizi territoriali. Il libro contiene una serie di stimoli per riflettere sulla ridefinizione della mission e modalità di presa in carico per i bisogni di salute mentale della popolazione, anche sulla base di nuovi modelli di lettura epidemiologica, capaci di restituire la stratificazione dinamica dell’utenza per livelli di rischio clinico e necessità di intensità assistenziale. La sfida è più che mai centrale, vista la proliferazione di discorso e consapevolezza sui disturbi di ansia, depressione e altre condizioni cosiddette “comuni”, che sempre di più interessano una popolazione nuova rispetto a quella tradizionalmente afferente ai centri di salute mentale.

Si può cogliere questa occasione per ridefinire la mission dei servizi di salute mentale in un’ottica di intervento territoriale, pubblico, di iniziativa e di promozione della salute. Nell’attuale configurazione dei servizi di salute mentale, sebbene sulle strutture organizzative ci sia una certa variabilità sul piano nazionale (2), è stabilito che i Centri di Salute Mentale (CSM) siano le strutture territoriali che declinano sul piano locale la totalità delle funzioni in capo ai Dipartimenti di Salute Mentale per il segmento di utenza adulta. Laddove avviene, la compresenza di diverse articolazioni per diverse fasce di utenza non cambia questo principio: la prevenzione, per esempio, è un diritto che spetta alle persone adulte come a quelle adolescenti in egual misura. La questione si può ulteriormente complicare se teniamo anche in considerazione i servizi di psicologia territoriale o di neurologia, come avviene con particolari programmi integrati a Bologna: la prestazione psicologica, o psicoterapeutica, o la valutazione di neurodivergenza, con conseguenti indicazioni di supporti per l’inclusione, non è qualcosa che, in quanto rispondente a una articolazione organizzativa autonoma, spetti ad un definito segmento di utenza.

Luca Negrogno

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14/5/2023

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