Cure primarie. Ora o mai più

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Perché c’è ancora bisogno di scrivere e discutere per convincere dell’importanza delle cure primarie e dell’assistenza territoriale?  In teoria da almeno vent’anni, da quando cioè fu definito il Chronic Care Model, si sono accumulate molte prove sul ruolo essenziale dell’assistenza primaria nel contesto della sanità pubblica. Le cure primarie forniscono un’assistenza appropriata ai bisogni fisici, psicologici e sociali del paziente nel contesto della famiglia. Operano nei confronti degli individui avendo presenti i bisogni e le preoccupazioni della comunità. Aiutano a prevenire le malattie, a ridurre la mortalità e a distribuire equamente la salute nella popolazione, assicurano alle persone un medico di fiducia, punto di entrata nel sistema sanitario e responsabile della loro salute, incluso il coordinamento dell’assistenza al fine di garantire la continuità delle cure. Là dove la diffusione dei medici di famiglia è più capillare si misurano migliori esiti di salute e minori tassi di mortalità per tutte le cause, in particolare per cardiopatie, cancro, ictus e mortalità infantile.

All’interno di questo contesto, il punto forse di maggior forza, soprattutto in riferimento alle patologie croniche e all’invecchiamento della popolazione è l’assistenza focalizzata sulla persona e non sulla malattia: sorprendentemente un riconoscimento inatteso al valore delle cure primarie viene da Atul Gawande, chirurgo statunitense, professore alla Harvard Medical School di Boston in un articolo molto letto dal titolo “Il medico che ti salva la vita”, che attribuisce tale straordinario potere alla figura che nell’immaginario collettivo ne è la più lontana, quella del medico generalista che ha nella sua cassetta degli attrezzi pochi strumenti e poca tecnologia: quel medico che nella gerarchia delle specializzazioni mediche non occupa il gradino più alto.

Nella realtà quotidiana le cure primarie vengono il più delle volte presentate nella loro versione riduttiva come gate-keeping  dell’accesso alle cure secondarie e terziarie. E sempre più spesso si affacciano con forza ipotesi diverse in forte contrasto con la strategia delle cure primarie, ipotesi che vanno piuttosto verso una gestione della sanità, come oggetto del mercato, di tipo privatistico o accreditato o di tipo assicurativo. Eppure molti sono gli effetti collaterali osservati e facilmente prevedibili di questi modelli alternativi:

  • un mercato nell’assistenza sanitaria aumenta la probabilità di iniquità e sfruttamento, con assistenza subottimale sia per i ricchi che per i poveri;
  • la creazione di networks complessi e frammentati di fornitori ostacola i tentativi di monitorare qualità, esiti per i pazienti e altre misure di efficacia;
  • il settore pubblico è progressivamente destabilizzato dato che i fornitori privati offrono paghe più alte e selezionano i casi più semplici, ma contribuiscono poco alla formazione;
  • l’efficienza sotto il profilo della spesa è compromessa dall’aumento dei costi di transazione, con il denaro pubblico che viene dirottato per il profitto, e il settore pubblico deve provvedere al salvataggio quando le cose vanno male.

D’altra parte, l’OCSE  invita a investire nell’assistenza primaria perché migliora la salute, l’alfabetizzazione sanitaria dei cittadini e l’efficienza del sistema e rileva come I sistemi sanitari sappiano ancora poco su come l’assistenza sanitaria primaria contribuisce al miglioramento della salute delle persone e dei servizi e come va incontro alle aspettative e alle esigenze delle persone” e si pubblicano articoli dal titolo “Italiani lenti a cambiare stili di vita scorretti. Boom cronici e non autosufficienti. Spesa destinata ad impennarsi. Cambiare approccio o sarà emergenza”.

È dunque arrivato proprio al momento giusto il libro “Cure primarie e servizi territoriali”, curato da Gavino Maciocco, che presenta con determinazione esempi di buone pratiche, utili a organizzare un efficace sistema di cure primarie. Dopo una prima parte dedicata alle basi teoriche delle cure primarie, affrontando i temi fondativi dalla Dichiarazione di Alma Ata, del contrasto alle disuguaglianze in salute, della epidemia delle malattie croniche, della formazione di medici e infermieri e della valutazione, fornisce nella seconda e terza parte un vero e proprio catalogo di esperienze, italiane ed estere spesso descritte nei dettagli e arricchite da elementi di valutazione.

Nei diversi racconti, scritti con evidente coinvolgimento da chi vive la situazione, vengono sottolineati gli aspetti peculiari, così che dalla lettura dell’insieme si può avere un ventaglio di esempi e di suggerimenti non solo per l’assistenza territoriale, ma in generale per una buona sanità.

La casa della salute di Querceta si distingue principalmente per l’attenzione agli aspetti organizzativi,

la condivisione da parte dei medici di sede e dati, la sanità di iniziativa, l’integrazione con l’ospedale.

Alla Ausl di Parma si è invece puntato sulla presa in carico dei pazienti con patologia cronica, sperimentando il modello del Chronic disease self-management program, basato sul costruire fiducia nel paziente sulla propria capacità di realizzare i comportamenti positivi per la salute (modello del paziente esperto) e cioè l’autogestione della patologia (compliance alla terapia e ai controlli), la relazione continua con il team sanitario, la attuazione di sani e corretti stili di vita e la gestione delle emozioni.

L’esperienza delle microaree di Trieste, sedici piccole frazioni periferiche (da 340 a 2200 abitanti) particolarmente vulnerabili dal punto di vista sanitario e sociale ha l’obiettivo di stimolare la nascita di relazioni di aiuto tra le persone e incentivare una medicina radicata nei luoghi, nelle case, negli habitat sociali della città. Ha inteso favorire la permanenza delle persone al domicilio, basandosi su ampia sinergia tra servizi, e sostenere l’appropriatezza diagnostica e nell’uso dei farmaci. Il progetto ha portato alla riduzione delle disuguaglianze in salute con aumento del mutuo aiuto e di assistenza e aumento dell’adesione ai progetti di prevenzione; ha ridotto i ricoveri urgenti e aumentato quelli programmati.

Nell’ospedale di comunità di Forlimpopoli, struttura sanitaria territoriale intermedia con degenza temporanea a gestione infermieristica, si ricoverano quei pazienti dimissibili dagli ospedali per gli aspetti clinici, ma che rimanevano in ospedale per problemi prevalentemente assistenziali, riabilitativi e sociali. La caratteristica è la forte integrazione multiprofessionale: infermiere case manager, geriatra, fisiatra, MMG, assistente sociale, infermieri, OSS.

La Casa della Carità di Milano è una casa della salute particolare nella quale la salute è veramente intesa in senso globale; è rivolta principalmente a persone in condizioni di grave marginalità alle quali viene offerto, insieme a cure mediche e psichiatriche, aiuto per risolvere situazioni di emergenza abitativa, per trovare un lavoro, tutela legale o un contesto relazionale. L’ambulatorio di strada per migranti a Cagliari e l’attività di salute mentale dell’ex OPG Je so’ pazzo! Sono forme molto coinvolgenti di medicina di prossimità.

Tra le esperienze europee riportate (ma nel libro si parla anche di Palestina, Brasile e Uganda) suggerimenti diversi arrivano dalla Spagna, dall’Olanda, dalla Grecia e dal Portogallo.

A Madrid gli operatori dei centri sanitari comunali per la “strategia quartieri sani” passano dai camici agli stivali intendendo uno spostamento dell’attività da un modello medico-clinico dove prevale la prevenzione individuale a ad un modello dove ci si impegna in un lavoro di comunità.

In Olanda l’integrazione tra servizi avviene attraverso il modello dei bundled payments: l’assicurazione sanitaria negozia una tariffa fissa per paziente affetto da diabete tipo II, BPCO, alto rischio cardiovascolare con un gruppo di cure primarie. Il gruppo coordina le attività di assistenza tra i vari operatori (MMG, laboratori diagnostici…) garantendo erogazione e qualità delle cure e stimolando la collaborazione orizzontale.

Gli ambulatori solidali in Grecia sono stati una delle risposte autorganizzate alla crisi economica e agli aggiustamenti strutturali. Come evoluzione, consolidamento e integrazione di iniziative preesistenti nate a favore di gruppi di popolazione vulnerabile. Offrono medicina generale e farmaci, taluni salute mentale e prevenzione,  cure dentali, vaccinazioni e assistenza sociale.

La politica di maggior successo del servizio nazionale di salute portoghese è l’organizzazione delle cure primarie e il suo cuore sono le unità di salute della famiglia, equipe multidisciplinari (la cui dimensione è subordinata alla popolazione iscritta) di costituzione volontaria e autoorganizzate, suddivise in microequipe per dare risposte differenziate e flessibili ai bisogni della popolazione.

Guido Giustetto

Medico di Medicina Generale; Presidente dell’Ordine dei Medici e Odontoiatri di Torino.

5/6/2019 www.saluteinternazionale.info

Indice, Prefazione e Introduzione [PDF: 240 Kb] del libro di Maciocco G. Cure primarie e servizi territoriali. Roma: Carocci Faber,  2019

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