Da Treviso a Voghera, storia dei sindaci e assessori “sceriffi” italiani
Negli ultimi giorni la figura di Massimo Adriatici, l’assessore alla Sicurezza del comune di Voghera che martedì ha ucciso con un colpo di pistola il 39enne marocchino Youns El Boussettaoui, è balzata agli onori della cronaca non soltanto per aver posto fine alla vita di un uomo con un gesto totalmente insensato, ma anche per il suo passato abbastanza ambiguo. Le cronache delle ultime ore stanno infatti mettendo in luce tutti i tic e le ossessioni di una persona afflitta da una vera e propria paranoia securitaria, sempre pronta a utilizzare il pugno di ferro per proteggere la propria città da un non meglio precisato nemico esterno, reo di minacciare la quiete pubblica e il decoro.
Per fare solo un esempio, ad offrire uno scorcio della bizzarra quotidianità amministrativa di Adriatici è stato Giampiero Santamaria, coordinatore del partito intervistato dal Fatto Quotidiano, che ha raccontato come “il primo atto che ha fatto in comune è stato il Daspo a una persona che chiedeva l’elemosina”. E il ritratto di Adriatici che emerge dalle testimonianze dei cittadini è quello di un amministratore abituato a vestire senza troppi problemi i panni del vigilantes, con un atteggiamento e un linguaggio ben precisi, caratterizzati da una certa enfasi sulla sicurezza, dalla necessità inderogabile di una legittima difesa “senza limiti” e da un ossessione per il buoncostume.
Per comprendere come l’ossessione per il decoro sia diventata un frame narrativo costante nella politica italiana – ma in generale in tutto il mondo occidentale – bisogna fare un passo indietro. La data di nascita delle idee che ispirano la maggior parte delle politiche securitarie contemporanee è il 1 marzo 1982, quando sulla rivista americana The Atlantic esce un articolo destinato destinato a fare scuola: Broken Windows: the police and neighborhood safety. La tesi degli autori, George L. Kelling e James Q. Wilson, è che ci sia un nesso di causalità tra disordine, percezione dell’insicurezza e aumento della criminalità; i “segnali di incuria” come una finestra rotta avrebbero l’effetto di rompere le “barriere collettive” che proteggono la nostra civiltà.
L’articolo di Kelling e Wilson prendeva le mosse da un piano adottato dallo stato del New Jersey nel 1981, denominato Safe and Clean Neighborhoods Program, con cui venivano aumentati i pattugliamenti a piedi delle forze di polizia in 28 città dello Stato. Anche se in seguito si sarebbe scoperto che all’aumento dei pattugliamenti non corrispondeva alcun calo delle attività criminali, per Kelling e Wilson la misura rendeva gli abitanti delle zone pattugliate più sicuri e convinti che una diminuzione dei reati ci fosse effettivamente stata. Anche se i dati empirici la smentivano, la percezione c’era.
Questa tesi avrebbe poi ispirato la dottrina della “tolleranza zero” resa celebre dal sindaco di New York Rudolph Giuliani negli anni Novanta: una linea di assoluta intransigenza verso le trasgressioni minori compiute da quei gruppi sociali percepiti come “fastidiosi”, come i mendicanti e i tossicodipendenti, che dovevano essere costantemente tenuti a bada affinché la quiete della gente “per bene” non venisse disturbata.
In Italia il capostipite di questo filone è stato il sindaco leghista di Treviso, Giancarlo Gentilini, strenuo sostenitore della linea dura sulla sicurezza e fautore della cosiddetta “tolleranza a doppio zero”, nonché uno dei primi amministratori a guadagnarsi l’appellativo di “sceriffo” nel nostro Paese. Nel 1997 Gentilini era salito alla ribalta mediatica per aver disposto la rimozione delle panchine dalla città, colpevoli di “venire utilizzate dagli immigrati”, foraggiare il “bivacco di extracomunitari” e incentivare lo spaccio. Avevano rischiato l’eliminazione anche gli alberi, i cui rami secondo Gentilini “andavano segati” poiché venivano utilizzati dagli stranieri come appoggio per le proprie borse.
Più in generale, durante il suo mandato Gentilini aveva fatto l’impossibile per dipingere la propria città come una sorta di Far West padano messo a repentaglio dalla presenza di pericolosissimi fuorilegge, identificati sempre con gli immigrati. Lo “sceriffo”, rivendicando il titolo di garante supremo del decoro, aveva impostato la propria campagna elettorale quasi interamente sul tema del “degrado morale”, una piaga da estirpare il prima possibile, anche al costo di “tornare ai carri piombati”. Non a caso, poche settimane prima dell’inizio di questa lotta senza quartiere nei confronti delle panchine cattive e degli alberi compiacenti, il sindaco aveva lanciato una campagna per illuminare le mura cittadine poiché lì sotto, celati nel buio, stavano nascosti “ladri, puttane, culattoni e efebi negri e bianchi e loschi figuri che si aggirano di notte e non si vedono”.
A distanza di più di vent’anni da Gentilini, la narrazione leghista in tema di sicurezza e decoro è rimasta praticamente immutata – come dimostra la vasta gamma di operazioni anti-bivacco portate avanti dal partito in diversi comuni da esso amministrati. Qualche esempio: il decreto “Parchi sicuri”, adottato a Ferrara dal vicesindaco Nicola Lodi; l’eliminazione delle panchine dalle piazze di Mortara, realizzata dal sindaco Marco Facchinotti.
Tuttavia, sarebbe un errore pensare che la tolleranza zero abbia ispirato unicamente partiti di destra. Il continuo ricorso alla formula magica “decoro e sicurezza” è una consuetudine ben presente anche nel centrosinistra, come dimostral’ambiguità con cui il sindaco di Firenze Dario Nardella, aveva commentato le proteste organizzate in occasione dell’omicidio di Idy Diene, ambulante senegalese ucciso a colpi di pistola nel 2018. In quell’occasione, di fronte a una protesta frutto della rabbia popolare, il sindaco aveva deciso di concentrarsi sul fatto che i manifestanti avessero rovesciato delle fioriere – riportando al centro la questione del decoro cittadino anche nel caso di un omicidio razzista.
Insomma, date queste premesse, è chiaro che Adriatici e la Lega non si sono inventati proprio nulla. Temi come il “decoro” e la “sicurezza” rappresentano da anni uno dei focus dell’azione politica locale e nazionale su cui tutti i maggiori partiti devono confrontarsi, abbracciandolo in modo più o meno convinto. Le politiche securitarie sono diventate il pilastro portante dell’operato degli amministratori delle nostre città. Come scrive Wolf Bukowski nel suo libro La buona educazione degli oppressi, “le accuse di maleducazione e inciviltà e tutta la politica da pianerottolo si sono fatte politiche di parlamento, e da destra e da sinistra si fa a gara a chi le interpreta con maggior rigore”.
Giuseppe Luca Scaffidi
26/7/2021 http://www.osservatoriorepressione.info
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