Dalla polizia arrivano segnali allarmanti.
L’Italia deve preoccuparsi? «Sì, anche perché il ministro polarizza le forze dell’ordine»,
Cellulari strappati di mano dalle forze dell’ordine a una ragazza che girava video-sfottò con Matteo Salvini a Salerno. Irruzione degli agenti, poco più in là, in casa di una signora che aveva appeso sul balcone lo striscione “Questa Lega è una vergogna”. E poi quel discusso botta e risposta con Roberto Saviano tramite i profili ufficiali Twitter sulla vicenda della casa assegnata a una famiglia rom a Roma. Giusto per restare ai casi più recenti.
DOMANDA. Come giudica quel tweet in cui la polizia di Stato ha replicato a Saviano scrivendo «che pena leggere commenti affrettati e ingenerosi per dispute politiche o per regolare conti personali»?
RISPOSTA. Seppur nel inguaggio dei social media, non è un tipo di risposta che normalmente una burocrazia dà: entra nel dialogo e nel commento politico.
Sarebbe potuto succedere altrove?
Una reazione così non la potrei immaginare in altri Paesi europei. Un’istituzione che non dovrebbe essere di parte ha utilizzato un linguaggio partigiano, per di più attaccando una persona che è già nel mirino della criminalità organizzata.
C’è da preoccuparsi?
Un po’ sì, perché la polizia di Stato è molto eterogenea, con posizioni diverse anche rispetto alla democrazia. Ci sono forti tendenze corporative e conservatrici. Mentre arrivano indicazioni politiche di intervento duro e di radicalizzazione del conflitto. Sono segnali allarmanti.
Quanto contribuisce il comportamento di Salvini a peggiorare il quadro?
C’è una tendenza di lungo periodo anche pre-Salvini nell’orientare gli interventi della polizia in una direzione rigida e dura e non di dissuasione o di contenimento.
Per esempio?
Anche durante i governi a guida Pd era iniziata una escalation di repressione netta nei confronti di alcuni tipi di azioni di protesta politica o di manifestazioni di solidarietà verso i migranti.
Ma un ministro che indossa la divisa della polizia e presta i vestiti alla fidanzata non si era mai visto.
Sono messaggi. Nel suo stile di comunicazione è un modo per dare sostegno alle ali estreme. Come i discorsi sulla chiusura dei negozi di marijuana legale o nel caso del Congresso della famiglia di Verona: cerca l’appoggio dalle frange radicali. Tipo quando si fa vedere con tifosi violenti di calcio sottoposti a Daspo. Ma è una retorica contraddittoria.
In che senso?
Da un lato si dice «legge e ordine» e dall’altro «legge e odine sono io». Non tutti i tipi di reati vengono stigmatizzati da Salvini. Penso per esempio alla vicenda Siri. O a quando interviene a urne aperte in campagna elettorale. Fa passare un concetto chiaro: faccio quello che voglio al di là delle regole democratiche.
La percezione che ha l’opinione pubblica della polizia è peggiorata?
Già nel passato, a lungo è stata considerata polizia di parte, e anche dal punto di vista politico è stata utilizzata come polizia del re, e non del cittadino.
Poi cosa è accaduto?
Negli Anni 80 e 90 c’è stata una legittimazione democratica e una crescita di fiducia verso la polizia che aveva conquistato un’immagine più congruente col ruolo che doveva assumere.
Ma sono arrivati il G8 di Genova del 2001 e la scuola Diaz.
Anche dopo quei fatti c’era stato un recupero di immagine. Ci fu una riflessione interna sul rischio che un clima di sfiducia poteva avere sul lavoro di tutti i giorni.
E adesso?
Salvini accentua una polarizzazione che dentro la polizia porta acqua al mulino dei sindacati più corporativi. Esistono tante sigle in competizione l’una con l’altra che cercano di avere la meglio anche adoperando un linguaggio radicale per difendere la polizia da qualsiasi tipo di critica.
Con Roberto Maroni al Viminale era diverso?
Pur essendo stato il primo ministro della Lega a capo della polizia, non aveva spinto verso la polarizzazione. Salvini non dice «sono il ministro di tutta la polizia», ma di “quella” polizia. La parte meno convinta del ruolo democratico delle forze dell’ordine e più disposta a seguire le indicazioni politiche del ministero.
intervista a cura di Marcello Pirovano
9/5/2019 www.lettera43.it
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