Dateci patrimoniale e proporzionale e nessuno si farà male

La crisi del Governo giallo-verde è un fatto politicamente e socialmente positivo. Rimuovere Matteo Salvini da ministro dell’Interno e poter prevedere un Governo parlamentare di segno e forze diverse può aprire uno spazio di movimento sul piano politico e sociale. Politico, perché dimostra come l’Italia non sia un Paese riducibile al bipolarismo politico nonostante le semplificazioni autoritarie del maggioritario riproponendo la necessità di una legge elettorale proporzionale (ribadendo altresì la natura parlamentare delle nostre istituzioni). Sociale, perché inserisce una crepa nell’egemonia leghista sul composito corpo elettorale del Movimento 5 Stelle. Sociale culturale e programmatico, perché permette di offrire risposte non securitarie e da capro espiatorio – individuato nel nero islamico – al bisogno reale di protezione e di inclusione sociale di ampi strati del mondo del lavoro e delle classi popolari falcidiate dalla gestione neoliberista della crisi.

A Pd, M5Stelle e Leu la responsabilità sul piano delle forze politiche, alla Cgil ed alle altre forze di rappresentanza sociale e sindacale l’obbligo di segnare il punto sui contenuti programmatici che debbono e possono segnare positivamente la nuova – se nascerà – esperienza di Governo. Un punto che dovrà prevedere una capacità di iniziativa e mobilitazione a livello di massa: sarebbe tragico rinchiudersi in logiche di palazzo e arene giornalistiche e televisive.

Il Segretario Generale Maurizio Landini ha ribadito anche nel Direttivo Nazionale del lunedì 2 settembre la necessità della doppia discontinuitàdal governo giallo-verde e dai governi espressione del PD che hanno tolto l’articolo 18, fatto il Jobs Act e proceduto zelantemente sulla strada di politiche di austerità e di svalorizzazione del lavoro. E questo è il punto di fondo: tenere assieme questione democratica (e degli ordinamenti istituzionali e costituzionali) e questione economico-sociale. Se ci sono i barbari è perché c’è chi ha aperto le porte e lavorato alacremente per la loro vittoria.

La richiesta del proporzionale fa il paio con la posizione presa dalla Cgil a difesa della Costituzione con il NO al referendum confermativo ed dal contrasto all’autonomia differenziata in ogni sua forma, autonomia meglio e più propriamente definibile come la secessione dei ricchi. I Costituenti non misero la legge elettorale in Costituzione perché consideravano consustanziale il principio proporzionale sia con il sistema dei contrappesi dei poteri, sia con il principio di Repubblica democratica fondata sul valore politico del lavoro e dei partiti di massa.

La battaglia per il proporzionale è una battaglia sindacale. Esiste infatti, attualizzando l’orientamento dei Costituenti, un’importante linea di ricerca che mette in connessione assetti istituzionali ed elettorali di tipo maggioritario ed effetti di diseguaglianza sul piano delle politiche sociali ed economiche (si veda come esempio un saggio di Carlo Trigilia, “Tipi di democrazia e modelli di capitalismo”, “Stato e Mercato”, n. 107, 2016).

I sistemi maggioritari non solo disincentivano la partecipazione aumentando il tasso di astensionismo, ma operano una selezione delle istanze sociali rappresentate. Se vogliamo rinvigorire la democrazia costituzionale e ridare centralità al ruolo politico del lavoro, è necessario ribadirlo, la battaglia per il proporzionale è una battaglia sindacale. Ma la battaglia per il ridisegno del sistema della rappresentanza politico-istituzionale è persa senza affiancarla ad una battaglia economica e sociale. Di classe si sarebbe detto un tempo, e forse sarebbe necessario tornare a dire.

Se si vuol ridare valore al lavoro bisogna ridargli potere: sul piano del salario (diretto indiretto e differito) e sul piano della capacità di intervenire nell’organizzazione del lavoro e nella logica e qualità della produzione. La quota di valore prodotto che va al salario è crollata negli anni dell’offensiva neoliberista: non c’è discontinuità se non si riparte da qui. Controffensiva che ha frantumato ed impoverito, precarizzato ed umiliato, il mondo del lavoro. Mondo del lavoro che, se ha mantenuto pur in una dialettica vivace e non sempre pacifica un rapporto con le organizzazioni sindacali confederali, si è giustamente rivoltato contro un’espressione politica di Governo che si autodefiniva di sinistra ma che ne peggiorava condizioni materiali e riconoscimento sociale.

E allora la battaglia per la patrimoniale, possiamo dire la battaglia contro le rendite immobiliari finanziarie e di altra natura, è una battaglia sindacale che assume i toni di una sfida democratica. Rimettendo in discussione la sacralità del profitto e la centralità unilaterale dell’impresa e della sua ideologia totalizzante sulla società. Se non vogliamo farci male, molto male, come nella stagione europea degli anni Venti e Trenta, il binomio della riscossa sia: patrimoniale e proporzionale (con articolo 18 e stato sociale).

Maurizio Brotini

direttivo nazionale Cgil

4/9/2019 https://fortebraccionews.wordpress.com

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