Davanti al silenzio di Stato, giustizia per Daniela e il popolo cileno
Daniela Carrasco di 36 anni, artista di strada e madre di due figli, è stata trovata impiccata in un ponte di Santiago del Cile. L’episodio risale al 20 ottobre di quest´anno, nel terzo giorno di proteste che hanno colpito il paese da punta a punta.
Secondo il Servizio Medico Legale, il Pubblico Ministero e l’Istituto Nazionale di Diritti Umani (Indh), si tratta di un suicidio perché dall’autopsia emerge che nel corpo di Daniela non c’erano segni di violenza. Secondo loro la causa della morte è dovuta ad asfissia.
Ma tanto il movimento Ni una menos Chile, come altre organizzazioni popolari, denunciano che “la Mimo”, prima di morire, è stata violentata e torturata da Carabineros che, in seguito al decesso, l’avrebbero appesa a un ponte per farlo apparire un suicidio.
Perché quest’ipotesi potrebbe essere reale?
Innanzitutto, Daniela Carrasco era scomparsa il giorno prima, lo stesso giorno in cui furono dichiarati lo stato d’emergenza e il coprifuoco in alcune città cilene.
Secondo “La Izquierda Diario Chile”, in un articolo del 25 ottobre, l’artista di strada era stata portata via da Carabineros e per circa 24 ore non si era saputo più nulla di lei. Il ritrovamento del suo corpo è avvenuto grazie a un cittadino che, quando l´ha vista appesa al ponte, ha ripreso tutto con il telefonino, dichiarando che nelle vicinanze c’erano dei gruppi delle forze dell’ordine.
Tra l’altro, il ponte in questione si trova nel comune santiaguino di Pedro Aguirre Cerda, un quartiere con una larga tradizione di lotta per il territorio e tra i più poveri della città. Per questo motivo il ritrovamento del corpo di Daniela assume una connotazione altamente simbolica, tanto per il modo che per il luogo.
Il Servizio Medico Legale dipende dallo stato. L’Indh è in crisi e ha perso molta credibilità dopo che il suo presidente Sergio Micco aveva dichiarato in un programma televisivo che in Cile «non si sta assistendo alla violazione sistematica dei diritti umani», in netta contraddizione con le indagini di Amnesty International pubblicate il 21 di novembre.
Nonostante una breve dichiarazione del presidente Piñera – in cui afferma che: «C’è stato un eccessivo uso della forza, ci sono stati abusi e i diritti di tutti non sono stati rispettati» – a un mese dall’inizio delle proteste né il governo né i Carabineros si sono presi le proprie responsabilità politiche davanti alle morti e agli abusi: oltre 2000 feriti, 66 querele per violenza sessuale e più di 20 vittime fatali non bastano per iniziare le indagini per far chiarezza sugli episodi di violenza da parte delle forze di sicurezza statali.
Tra le vittime accertate del conflitto, César Rodrigo Maltea González e German Aburto Aburto sono morti mentre erano sotto la tutela dello stato dopo essere stati arrestati. Mentre che, la prima vittima dopo l’annuncio del cosiddetto “accordo di pace” – stipulato a porte chiuse tra alcuni membri del Congresso senza la presenza di nessun delegato dei movimenti sociali – è stato Abel Acuña che ha perso la vita in Piazza Italia il 15 novembre. Un gruppo di paramedici stava assistendo Abel in seguito a un attacco cardiovascolare. Nello stesso momento i Carabineros hanno lanciato lacrimogeni e acqua dall’idrante, impedendo la rianimazione del giovane di 29 anni.
In un audio filtrato – e riportato dal giornale online “Publimetro” – il direttore generale dei Carabineros Mario Rozas, ha dichiarato ai suoi subalterni che «avete tutto l’appoggio di questo direttore generale. Come lo dimostro? Non licenzierò nessuno per procedimento disciplinare. Nessuno. Non lo farei nemmeno se mi obbligassero».
Bisogna anche considerare che il Cile è un paese “democratico” in cui nessuno ha ancora pagato per i crimini della dittatura e dove ancora oggi governano alcuni politici che avevano giurato fedeltà eterna al dittatore Augusto Pinochet. Tra questi anche l’ex ministro dell’interno Chadwick, responsabile politico dell´assassinio del mapuche Camilo Catrillanca, morto per un proiettile in testa sparato dal carabiniere Carlos Alarcón, il 14 novembre 2018.
Il caso di Daniela Carrasco è simbolico ma non isolato. Dal 18 ottobre in Cile la violenza verso chi manifesta è sistematica, l’unica differenza con il passato è che i cileni continuano a lottare nelle piazze perché non hanno più paura: i protagonisti più giovani delle rivolte non hanno vissuto sulla propria pelle gli anni della dittatura ma conoscono bene cosa significa vivere in un paese dove a 30 anni ti indebiti a vita per poter studiare all’università, dove gli anziani si suicidano per poter arrivare a fine mese o dove le forze statali torturano, violano e uccidono nella totale impunità.
Santiago, 22 novembre 2019
23/11/2019 www.dinamopress.it
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