DDL CONCORRENZA QUALCOSA CAMBIA, MA LA LOTTA CONTINUA!
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In queste settimane si è parlato molto, su TV e giornali, del DDL (disegno di legge) sulla concorrenza. Se ne è parlato, però, a senso unico. Si è detto molto, cioè, sul tema delle cosiddette “concessioni balneari”, mentre niente è stato detto, in compenso, su un tema assai più insidioso contenuto nel DDL concorrenza, precisamente all’art. 6, che delega il Governo, entro 6 mesi, ad emanare i decreti legislativi di riordino dei Servizi Pubblici Locali.
I lettori e le lettrici di Lavoro e Salute probabilmente già sanno di cosa si parla, ma forse vale ugualmente la pena di richiamarlo brevemente.
Il cammino del DDL concorrenza inizia il 4 novembre del 2021, a sostegno dell’obiettivo (non è un’esagerazione) della privatizzazione di tutti i servizi pubblici. La nuova normativa prevista dall’art.6 si può riassumere in una frase: il Mercato diventa la norma, la gestione pubblica diventa l’eccezione.
Vi è previsto infatti, che il Comune, se intende adottare la gestione pubblica “in house” di un determinato servizio (in relazione ad appalti per un importo superiore alla soglia comunitaria UE), ha preliminarmente l’obbligo di “giustificarsi” presso l’Antitrust, dichiarando i motivi che lo spingono ad adottare tale scelta.
Inoltre, se il Comune vuole istituire regimi speciali o esclusivi, deve sottostare alla decisione della Corte dei Conti, la quale si deve esprimere in proposito nell’arco di 60 giorni.
E’ poi previsto l’obbligo, sempre nel caso di gestione in house, di sottoporsi al monitoraggio dei costi, al fine (oltre che di garantire la qualità e l’efficienza della gestione del servizio) del “mantenimento degli equilibri di finanza pubblica”.
Altri punti critici, o quantomeno controversi, contenuti nell’art.6 sono: l’individuazione, nell’ambito della competenza esclusiva statale prevista dall’art.117 della Costituzione, delle attività di interesse generale, “nel rispetto della tutela della concorrenza” e adeguandosi alla normativa europea; l’adeguata considerazione delle differenze fra i servizi di interesse economico a rete e gli altri servizi pubblici locali; la separazione, a livello locale, fra le funzioni regolatorie e la gestione diretta dei servizi; l’introduzione di meccanismi “che favoriscano l’aggregazione delle attività e della gestione dei servizi a livello locale” (leggi: favorire lo sviluppo di multiutilities come IREN, ecc.).
Contro tutto ciò si sono sviluppate, nei mesi scorsi, varie mobilitazioni, organizzate da forze associative, sindacali, politiche e di movimento. Una forte azione di pressione è stata esercitata nei confronti di molti Consigli Comunali, anche di grandi città, numerosi dei quali (Roma, Torino, Milano, Trieste, Bologna, Napoli…) hanno infine approvato mozioni e Ordini del Giorno che richiedevano in sostanza, sia pure con diverse accentuazioni, lo stralcio dal DDL concorrenza dell’art.6. Analoga richiesta è stata avanzata da parte di alcuni Consigli Regionali. Lo scorso 14 maggio, con la parola d’ordine “Fermare il DDL concorrenza, difendere acqua, beni comuni, diritti e democrazia”, si è svolta una giornata nazionale, indetta da numerosissime realtà nazionali e locali (ATTAC, ARCI, PRC, Comitati Acqua Pubblica, Comitato per il Ritiro di ogni Autonomia Differenziata…) che ha coinvolto moltissime città (Milano, Catania, Torino, Udine, Pescara, Bologna, Roma, Napoli…) in un ampio percorso di mobilitazione.
A seguito dell’accelerazione impressa da Mario Draghi in persona (che si è detto a sua volta incalzato dall’Unione Europea), in questi giorni il DDL concorrenza è andato al voto, sia al Senato che alla Camera, presentato come “riforma abilitante” per l’attuazione del PNRR.
Prima del voto però, il famigerato art.6 ha subito alcune modifiche.
E’ scomparso l’obbligo, per il Comune, di giustificare la scelta della gestione “in house” presso l’Antitrust. Per ciò che riguarda l’istituzione di regimi speciali o esclusivi, resta l’obbligo per la Corte dei Conti di esprimere il proprio parere entro 60 giorni, ma il Comune può comunque procedere, anche in caso di parere negativo, purché con scelta motivata, da pubblicarsi sul sito internet del Comune; si dovrà tenere conto, inoltre, delle “peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento”. Resta il monitoraggio dei costi, ma non più limitato alla sola gestione in house.
Non si tratta certo dell’auspicato stralcio dell’art.6, ma di una sua parziale, possiamo anche dire significativa, riscrittura.
L’impostazione del DDL concorrenza resta naturalmente strettamente ancorata alla sua impronta di origine liberista, come d’altra parte confermano gli aspetti negativi o controversi di cui si è detto, non modificati dalla riscrittura dell’art.6. Ma, almeno, non è ancora arrivato a definitivo compimento l’ennesimo tentativo di soffocare, fino a sopprimere, la possibilità stessa, per i Comuni, di gestire direttamente i servizi pubblici che essi sono tenuti a fornire alla popolazione.
La mobilitazione, quindi, non si può fermare, anche in vista della discussione relativa ai previsti decreti attuativi, fermo restando che l’obiettivo di fondo resta la conquista di una nuova gestione partecipativa dei beni comuni e dei servizi pubblici, esattamente gli stessi che il DDL concorrenza vorrebbe aggredire: acqua, energia, rifiuti, trasporto pubblico locale, sanità, servizi sociali e culturali…
Nè si può dimenticare il contesto in cui avviene la definizione del DDL concorrenza. Contesto in cui è ben presente la manomissione dell’universalità dei diritti delineata dall’attuazione del progetto di Autonomia Differenziata.
AUTONOMIA DIFFERENZIATA
Progetto sciagurato che, fra le altre cose, andrebbe ad agire negativamente anche sulla possibilità, per i lavoratori e le lavoratrici, di contrattare il miglioramento del loro salario e delle loro condizioni di lavoro, tema quanto mai attuale in questo periodo di “economia di guerra” e di crescita esponenziale dell’inflazione. Ciò avverrebbe, in particolare, in quei settori, come la Scuola e la Sanità, in cui già esiste una contrattazione a livello regionale, che verrebbe resa ancor più diseguale e, appunto, differenziata. Ma l’effetto sarebbe dirompente in senso generale, per tutti i lavoratori e le lavoratrici, perché una accentuata autonomia da parte di Regioni importanti (e tali sono le Regioni che hanno chiesto l’Autonomia Differenziata: Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, cui aspira ad aggiungersi anche il Piemonte) spingerebbe ulteriormente verso il progressivo sgretolamento della stessa struttura del Contratto di Lavoro Nazionale, che già rappresenta un obiettivo primario per gran parte del cosiddetto “mondo imprenditoriale”.
Pensiamo a cosa potrebbe avvenire con l’attuazione dell’Autonomia Differenziata, tenendo conto che fra le 23 materie coinvolte vi sono anche Istruzione, Sanità, Sicurezza sul lavoro, Ambiente. Quale tutela omogenea vi potrebbe essere, a fronte della quotidiana sequela di infortuni e morti sul lavoro? Come garantire l’uguale trattamento del personale della Scuola, su cui già grava il peso di anni di precariato? Come riconoscere equamente l’impegno profuso dal personale sanitario in epoca di emergenza sanitaria? La frantumazione del Contratto Nazionale di Lavoro graverebbe come un macigno su queste esigenze, nel momento in cui è interesse primario dei lavoratori e delle lavoratrici riuscire a contrastare la frammentazione e la precarietà crescenti, dentro un progetto di unità e convergenza.
In sostanza, si tratta della stessa lotta: il principio fondamentale della difesa di Scuola, Sanità, Servizi Pubblici che garantiscano pari diritti e pari tutele su tutto il territorio nazionale è né più né meno lo stesso principio su cui si è basata la conquista del Contratto Nazionale di Lavoro. Che è sotto attacco e che va difesa.
Come ha detto Marco Bersani sullo scorso numero di Lavoro e Salute, se l’Autonomia Differenziata scava un solco fra le Regioni, il DDL concorrenza scava un solco fra le persone all’interno dello stesso territorio.
Chiaramente, anche la mobilitazione contro l’Autonomia Differenziata continua. Importante sarà sostenere, nella prossima fase, le due proposte di legge costituzionale, presentate alla Camera dalle deputate del gruppo ManifestA e al Senato dal sen. De Falco, tese a cancellare l’art.3 dell’art.116 della Costituzione, frutto della riforma del 2001, che sta alla base delle proposte di Autonomia Differenziata e che andrebbero a realizzarsi senza un intervento sostanziale del Parlamento, derivando da semplici intese fra lo Stato e le Regioni interessate.
Insomma, chiedendo scusa per la scarsa fantasia: la lotta continua! A tutto campo.
Fausto Cristofari
Collaboratore redazionale di Lavoro e Salute
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