Decreto Non autosufficienti: che fare?

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Ci siamo. Proprio in queste settimane dovrebbe andare a compimento l’iter parlamentare del Disegno Di Legge delega al Governo che, tra altri nodi, affronta pure quello annoso della condizione delle persone non autosufficienti. Occorre subito dire che l’attesa di un provvedimento organico, che fosse davvero in grado di dare un chiaro segno nel senso innanzitutto del sacrosanto diritto universale alla salute (nel solo Piemonte circa 30.000 famiglie coinvolte), è stata lunga e venata di molte sofferenze e bisogni insoddisfatti. Se da qui occorre partire, cioè dal fatto che una persona non autosufficiente vive innanzitutto in simbiosi con una patologia di lungo periodo, cronica, ma comunque ascrivibile all’area dell’intervento medico-sanitario, vediamo subito come il testo che va in discussione disconosce in maniera netta questo assunto di partenza. Ancora una volta, una volta di più ciò che viene stabilito dalle leggi, in primis dalla carta costituzionale, viene negato in nome di un continuo slittamento dapprima culturale e poi politico normativo.
Non stupisce che il portato finale di questo provvedimento sia anche il frutto, ahimè avvelenato, di un percorso di preparazione lungo, che ha visto al lavoro tecnici, politici “esperti” nella decostruzione della concezione del diritto alla salute universalmente esigibile. La deriva culturale ha qui un esito finale, ma basta pensare alla denominazione della Legge 328 voluta dalla ministra Livia Turco che di diritti non parlava più e semmai si adagiava su una Realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali; i diritti semplicemente sparivano. Non stupisce che un qualche ruolo Turco l’abbia avuto anche nella proposta in esame, che d’altro canto potrà contare su una ampia disposizione favorevole sia tra le forze politiche, sia tra quelle sindacali, sociali, sino a quelle del settore privato più interessato a fare affari.

Veniamo ai nodi più critici del provvedimento per come è ora.

In primo luogo va registrata la sostanziale abolizione dell’indennità di accompagnamento e l’introduzione di una prestazione universale graduata secondo lo specifico bisogno assistenziale erogabile in servizi o come trasferimento monetario. Si fa un bel passo verso un diritto che è esigibile solo sino a quando i fondi ci sono e viene comunque legato ad una valutazione socio economica dei richiedenti. Si giubila l’indennità INPS che oggi viene data come diritto a solo titolo della minorazione e si va verso una prestazione falsamente universale perché sarà vincolata alla valutazione del bisogno assistenziale, che invece andrebbe definita come tutela della salute e garantita dal servizio sanitario pubblico. Si crea poi l’ennesimo Fondo dedicato, che rappresenterà nei fatti il limite di ferro agli interventi e che ingloberà pure risorse derivanti dalla spesa sanitaria, che, come noto, nel nostro Paese langue.
In secondo luogo emerge con forza l’assenza di una istituzione unica di riferimento, in grado di essere vero centro gestionale delle risorse. Si parla di un coordinamento interministeriale che dovrà occuparsi di tutta la popolazione anziana, coinvolgendo figure istituzionali che francamente hanno davvero poco a che fare con i nodi che dovrebbero essere trattati; insomma una vera e propria garanzia che le scelte risulteranno non adatte ai bisogni in campo in un continuo scivolare verso il basso. Ancora una volta poi la scelta delle denominazioni è rivelatrice della finalità del progetto. Anche qui, come fu per la 328, non si definiscono diritti certi o servizi, ma si istituisce un Sistema Nazionale per la popolazione Anziana non Autosufficiente.

Infine, verrebbe da dire un vero e proprio segno dei tempi, tempi duri che hanno però una radice lontana, emerge il vergognoso riferimento alle risorse disponibili a legislazione vigente. Le risorse per garantire i diritti costituzionalmente sanciti andrebbero trovate all’interno di precise scelte politiche, come ad esempio quella di attivare una fiscalità progressiva. Qui invece si preferisce negare un diritto secondo il pessimo adagio che le risorse sono limitate e con si possono sfondare tetti stabiliti in partenza. Oggi i non autosufficienti hanno bisogno invece di più risorse per un riconoscimento vero della tutela della salute, restando il più possibile a casa loro.

A fronte di questa situazione occorre organizzare una opposizione puntuale al provvedimento, anche se, come si ricordava più sopra, molti saranno i suoi sostenitori. Ci sono milioni di italiani che, qualora passasse questa proposta, vedrebbero, tra l’altro, intaccati in modo significativo i propri risparmi. Forse può essere una buona occasione per provare, in alleanze territoriali con utenti, anziani, famiglie, associazioni ecc. a riprendere una lotta qualificata contro la distruzione del diritto alla salute. Non si tratterebbe di partire astrattamente da principi generali e sacrosanti, come detto sanciti nelle leggi migliori di questo Paese, ma da una condizione materiale e dal rifiuto di sottostare a una situazione di muta fatica e sofferenza quotidiana. Noi cercheremo di fare la nostra parte a iniziare da iniziative territoriali che abbiano il segno di una ricomposizione di soggettività non rassegnate a iniziare dalla valorizzazione del rapporto e del lavoro con CSA e Fondazione di Promozione Sociale da sempre in prima linea su questi temi.

Alberto Deambrogio

Segretario PRC Piemonte

Collaboratore redazionale di lavoro e Salute

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