Democrazia a rischio: la guerra dei media e il ruolo della tecnologia nelle elezioni moderne

La tecnologia ha sempre avuto un’enorme influenza sulle elezioni, in particolare quella che modella lo spazio mediatico: il modo in cui le persone comunicano tra loro, da uno a molti, da uno a uno o divisi tra gruppi di interesse, ecc. Tecnologie come la radio e la televisione sembrano oggi quasi preistoriche, dato che i partiti politici le hanno adottate più di mezzo secolo fa per amplificare le campagne politiche a livello di nazione o addirittura di federazione di Stati. Mentre queste prime tecnologie consentivano per lo più architetture di comunicazione uno-a-molti, nei tempi moderni ci troviamo di fronte a un cambiamento di paradigma: quelle che oggi chiamiamo “social media platforms” consentono comunicazioni molti-a-molti guidate da algoritmi complessi e nascosti, mentre le aziende che le gestiscono continuano a trarre profitto dal posizionamento a pagamento, proprio come accadeva con gli annunci pubblicitari nelle stazioni radiofoniche o televisive.

C’è un’altra differenza da notare quando si confrontano le pubblicità politiche televisive con quelle trasmesse sui social network. In TV tutti possono vedere lo stesso messaggio, ma sui social network può essere mostrato un messaggio specificamente mirato alla persona: su misura per i suoi interessi, il suo stato di famiglia, il suo stile di vita, la sua religione, la sua situazione di salute, ecc. Le “social network platforms” sono tra le tecnologie che possono manipolare le convinzioni della società e la loro interferenza nei processi politici, come le elezioni, potrebbe minare le democrazie, come ha recentemente avvertito il “Joint Research Center” della Commissione Europea nel suo studio “Risks on the horizon”.

Quando le piattaforme non rispettano la deontologia del giornalismo e traggono profitto dalla distribuzione di menzogne, si verificano problemi sistemici come quello di Cambridge Analytica: un’azienda che vende annunci mirati su Facebook a nemici della guerra fredda intenzionati a disturbare l’esito delle elezioni e a destabilizzare i governi di tutto il mondo. Solo un decennio fa le pubblicità raccontavano agli elettori ogni sorta di “fake news” sui candidati e queste pubblicità venivano mostrate solo ad alcune persone per scatenare in loro una reazione. Per esempio, dicendo ai familiari delle vittime del cancro che Hillary Clinton voleva smettere di finanziare la ricerca sul cancro.

Lo straordinario numero di consultazioni elettorali che si svolgeranno nel 2024 a livello globale, tra cui le recenti elezioni in India e in Europa e le imminenti elezioni presidenziali statunitensi, forniscono un punto di riferimento per analizzare queste minacce in azione.

I professori dell’Istituto Universitario Europeo mettono in guardia dalla rapida diffusione dell’intelligenza artificiale generativa, che rende le minacce di interferenze straniere e le operazioni di disinformazione più subdole e dannose per le nostre democrazie. Il numero di violazioni segnalate solo in Europa (e solo nel 2024), denunciato anche dalla Danish Broadcasting Corporation, descrive tattiche consolidate di guerra mediatica da cui la popolazione deve essere protetta.

Durante le recenti elezioni in India, Meta (la società madre di Facebook, WhatsApp e Instagram) si è impegnata pubblicamente a bloccare la diffusione di contenuti manipolativi generati dall’intelligenza artificiale, ma tali contenuti hanno dilagato sui social media e sulle app di messaggistica, secondo un rapporto citato dal Guardian: Meta ha approvato quattordici annunci che istigavano alla violenza etnica durante il periodo di silenzio delle elezioni indiane.

Tra i molti episodi riscontrati durante le elezioni europee c’è l’interessante caso di un’ondata di disinformazione ostile anti-occidentale sui social media durante la campagna elettorale ungherese, per la quale gli analisti che lavorano per il Fondo europeo per i media e l’informazione (EMIF) sulla disinformazione elettorale hanno svelato che una quantità sproporzionata di denaro è stata spesa in annunci sui social media dal partito di ultra-destra Fidesz di Viktor Orban.

L’approccio adottato dall’EMIF è particolarmente interessante perché dimostra che “seguire i soldi” è ancora una volta un metodo valido per le indagini sul campo: vale la pena condurre un’analisi tanto più dettagliata quando la spesa per la promozione mirata sui social media è maggiore, come nel caso di Fidesz che ha investito una cifra di circa 4 milioni di euro a fronte di una spesa media di 400.000 euro sostenuta dai principali partiti politici europei.

Oggi la regolamentazione delle campagne politiche in Europa varia da Paese a Paese. Considerando un’emergenza crescente, i politici europei dovrebbero imporre una rendicontazione pubblica delle spese finanziarie dei partiti per le campagne pubblicitarie e i social network dovrebbero aderire alle stesse regole dei media tradizionali nei periodi pre-elettorali.

Le poche società con sede negli Stati Uniti che gestiscono le “social network platforms” tradizionali sono la migliore fonte di dati finanziari sul fenomeno. Devono quindi facilitare la trasparenza finanziaria ed aumentare la loro cooperazione contro gli attacchi di disinformazione, poiché esistono evidenti debolezze nell’attuale strategia di controllo dei contenuti che in alcuni casi arreca anche danni alla libertà di stampa. Dobbiamo tutti tenere presente che, al contrario delle reti televisive nazionali di una volta, queste piattaforme non agiscono per l’interesse pubblico e non hanno nessun legame con le popolazioni che ospitano: seguono una logica unicamente orientata al profitto e basata in larga misura sulla vendita di spazi pubblicitari. Infine dobbiamo prendere atto dei loro tanti tentativi falliti di proteggere la popolazione dal crescente numero di attacchi che configurano la guerra mediatica contemporanea, inclusi tentativi che adoperano intelligenze artificiali che troppo spesso sbagliano nell’etichettare contenuti.

Anche la trasparenza nel finanziamento dei partiti politici è molto importante, in quanto fornisce i pezzi mancanti del puzzle per stabilire la legittimità delle spese. Anche su questo fronte c’è spazio per miglioramenti, combattendo l’assenza sistematica di documentazione delle donazioni private e delle spese per le campagne elettorali in Paesi come l’Ungheria e l’Italia, e per un’armonizzazione generale dei dispositivi normativi sui finanziamenti politici in tutta Europa, nonché della loro supervisione e applicazione. Ciò faciliterebbe l’analisi di aspetti più ampi del sistema politico che determinano o influenzano il funzionamento di determinate regole e aiuterebbe a individuare i potenziali rischi per l’integrità che stanno emergendo.

Mi rammarico della poca consapevolezza del problema in Italia dove giornalisti come Riccardo Luna su Repubblica citano l’allarme dato da Mattarella sulla questione e puntano il dito su colleghi di altre testate giornalistiche, presunti colpevoli di dar spazio alle fake-news, generando quindi un clima divisivo tra professionisti del settore, piuttosto che invocare la cooperazione necessaria a fronteggiare dei veri e propri attacchi tattici sui media.

Il problema non sono di certo le testate giornalistiche, ma le scarse risorse rimaste in mano all’editoria, il crescente bisogno di integrare entrate con pubblicità e l’asservimento ai “social network platforms” stranieri per ottenere più visibilità e lettori. Questo clima non fa che accrescere le vulnerabilità di una categoria che ha sempre pochi mezzi per fronteggiare un campo di guerra mediatica ormai di prima linea e sul quale i metodi di filtraggio, automatico e non, dei contenuti, non faranno altro che diminuire lo spazio del pensiero critico, un bene ormai scarsissimo.

Denis (Jaromil) Roio

Fondazione Dyne.org

Foto di apertura: James Duncan Davidson, Creative Commons BY-NC 3.0

24/6/2024 https://effimera.org/

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