Democrazia, democrazia… Ripasso elementare
“Democrazia, democrazia, quanti crimini si commettono in tuo nome”, bisogna ripetere oggi parafrasando quanto esclamato sulla libertà dalla celebre Madame Roland ai piedi della ghigliottina; e la democrazia, come qualsiasi altra questione umana, presenta una distanza tra principi e obbiettivi che di essa si proclamano e la realtà.
Se qualcuno dubita di quanto sopra, si concentri su ciò che è accaduto negli USA, il Paese dal quale si brandiscono la democrazia e la libertà come parole d’ordine per commettere qualsiasi misfatto al suo interno o all’estero.
Se la democrazia negli USA non fosse profondamente malata, i referenti politici più importanti ora non starebbero parlando delle sue “profonde radici” e del suo “recupero” come di qualcosa di ineluttabile, invece di analizzare le cause per le quali vi sono tanti cittadini estranei alla partecipazione politica, il perché le elezioni in quel Paese sono sempre più una questione di marketing e di denaro, il perché il sistema non è in grado di impedire che un individuo indiscutibilmente malato di egoismo, egolatria, narcisismo, prepotenza e squilibrio emozionale e mentale possa arrivare a svolgere quello che chiamano “il lavoro più importante del mondo”, il perché le soluzioni dei problemi attraverso la violenza sono così spaventosamente frequenti, il perché centinaia e migliaia di persone (non poche delle quali portando armi letali) si sentono in diritto di imporsi fisicamente senza avere un atomo di ragione per il loro comportamento.
Nonostante le molte prove inconfutabili del contrario, non pochi guardano alle formule liberali della democrazia come migliore opzione, come la bacchetta magica che risolverà tutti i problemi; se comparata con la società feudale, la democrazia liberale ha indiscutibilmente raggiunto libertà e diritti prima inesistenti ma, a loro volta, le profonde differenze di classe le impongono limiti tali al pieno esercizio democratico che in termini e modi differenti finiscono per sacrificarlo sul loro altare.
Mentre negli USA Guelfi e Ghibellini si propongono di perdonare ancora una volta la loro democrazia, c’è da chiedersi: non è stato proprio in nome della democrazia che Cuba è stata aggredita costantemente, in tutti i modi possibili, tutti ingiustificati, per più di sessant’anni?
E cos’è la democrazia?
Oggi, nella società dell’informazione e della conoscenza, circolano talmente tanti studi, saggi, definizioni con diversi gradi di rigore nella loro formulazione e nel loro intendimento e, oltre a ciò, migliaia di articoli, note informative, testi nelle reti sociali che trattano in diversi modi il concetto di democrazia, non pochi dei quali continuano a insistere su due o tre stereotipi nel tentativo di naturalizzare un modello riduzionista della sua comprensione, che forse proprio ora sarebbe più importante che mai formarsi un proprio criterio a partire da concetti formulati chiaramente.
Invito coloro che intendono i concetti di democrazia e di libertà in maniera stereotipata a pensare accuratamente a quanto avvenuto negli USA, a quanto avvenuto l’anno scorso in Bolivia, a quanto sta avvenendo in Perù, in Ecuador, in Cile, in Brasile…
Pronunciando il termine democrazia si sta verbalizzando una parola, un significante, il cui riconoscimento e valutazione nella pratica sociale dipendono in primo luogo da ciò che ciascuno si rappresenta quanto al suo significato, da ciò che ciascuno da questa democrazia si aspetta e da ciò che realmente esiste nella società.
E in questa rappresentazione entra in gioco un insieme di fattori di ordine culturale, tradizioni, stereotipi, senso comune, l’esperienza personale, le conoscenze acquisite.
Questo significa che non perché esista dichiarata sulla carta, nella Costituzione dove si codifica un ideale positivo di funzionamento della democrazia, questa sia già assicurata. A ogni passo del divenire sociale, per interpretazioni dissimili, interessi, comportamenti umani, situazioni complesse, questo ideale può essere minacciato; proprio di qui, l’importanza dell’educazione civica, dell’informazione, di una cittadinanza cosciente dei suoi doveri e dei suoi diritti.
In alcune realtà sociostoriche predominano il riconoscimento e la valutazione di un sistema politico come democratico a patto che esistano differenti partiti politici che periodicamente vanno a elezioni, scelgono rappresentanti dei votanti, che esistano tre poteri (legislativo, esecutivo e giudiziario) e che esista la proprietà privata dei mezzi di comunicazione sociale; se si danno queste realtà formali il sistema è per definizione democratico. È il caso del sistema politico statunitense, dove abbiamo visto cos’è successo.
Restano fuori da questa rappresentazione importanti fattori agenti nella società, che costituiscono deformazioni strutturali del sistema e rispondono alle relazioni sociali reali, dominanti: i poteri di fatto, la manipolazione mediatica, il clientelismo politico, la corruzione, il burocratismo, i compromessi dietro le quinte, la compravendita di coscienze, il finanziamento delle campagne elettorali in cambio di prebende, la demagogia, i crimini politici, la manipolazione mediatica volta a imporre matrici di opinione che favoriscano interessi corporativi e un lungo eccetera.
Questo concetto di democrazia non include, nonostante la loro importanza e trascendenza, nemmeno altre questioni fondamentali per la sua efficacia e funzionalità sociale: la partecipazione e il protagonismo popolare, la consultazione dei cittadini come componente fondamentale del sistema politico, la trasparenza, la giustizia sociale, l’uguaglianza reale di diritti…
Tutte queste realtà, come sta accadendo ora con le reazioni all’assalto al Capitolio di Washington, passano a essere ridotte a problemi che si riconoscono nelle loro manifestazioni specifiche, particolari, in modo più o meno profondo, si proclama che devono essere risolti, ma senza che siano messi in discussione come difetti cronici e neppure che si tenga conto dei fattori soggiacenti che li interconnettono, né che, quando si arriva al fondo, appaiano gli interessi in disputa e si rivelino i nuclei di potere. In questo modo, si evita totalmente di riconoscere il vuoto della democrazia e le sue correlazioni con la manipolazione della rappresentazione che sopravvive nascosta nella sua purezza impossibile, nella sua pretesa atemporalità.
Il tema di fondo
Il tema di fondo, quando si tratta della democrazia, non si circoscrive semplicemente a una disputa tra migliori auspici o a una questione di norme e procedure stabilite che, tuttavia, possono funzionare più o meno bene; la profondità di una democrazia non si risolve nella sovrastruttura politica di una società, ma nella natura della società stessa, nei suoi fondamenti e norme di interazione, nella struttura sociale e di classe, nella distribuzione reale del potere.
Quando in una società coesistono, in lotta tra loro, da una parte settori ricchi che dominano i meccanismi di riproduzione della vita sociale attraverso la proprietà privata e la sua corrispondente correlazione politica e giuridica e al contempo predominano in maniera schiacciante nel mondo simbolico e, dall’altra, una cittadinanza priva di questi potenti mezzi, esistono di fatto due tipi di cittadini, per quanto si proclami l’uguaglianza politica e si parli di diritti civili.
Quei settori che detengono i poteri di fatto e difendono i loro interessi corporativi, tessono le loro reti economiche, politiche, clientelari, mediatiche, personali, rendendo inevitabile la corruzione della democrazia come governo di tutti, con tutti e per tutti.
Come ogni opera umana, la democrazia è un fatto di ordine culturale, la si costruisce; in qualsiasi sistema politico definito democratico, ripeto, esiste una differenza tra il realmente esistente da una parte e, dall’altra, i principi, la missione e gli obbiettivi che si proclamano rispetto a questa democrazia.
Quando si afferma: governo di tutti, con tutti per tutti, bisogna tenere in conto che in questo tutti vi sono le grandi maggioranze, gli interessi popolari; se questi non sono debitamente rappresentati, non solo nel tessuto giuridico vigente, ma nella politica concreta, nelle azioni, nella distribuzione giusta del potere nella società e nel riconoscimento dei diritti partecipativi al di là del voto, tale democrazia non può essere definita integramente democratica.
Per tale ragione, quando un popolo lavoratore cosciente e organizzato come quello cubano costruisce la sua democrazia, non ci si può aspettare che costruisca la democrazia tipica delle società nelle quali predominano gli interessi degli sfruttatori; costruisce la propria.
Sulla democrazia a Cuba
Con il trionfo della rivoluzione, a Cuba si sono prodotti profondi e rapidi progressi della democrazia al servizio delle grandi maggioranze. Le forme di democrazia diretta hanno operato nella società cubana di allora a tal punto che il popolo condivideva l’idea di quanto fossero innecessarie le elezioni in quel momento storico, non perché queste fossero, di per sé, rifiutate o negative, ma perché non c’era nessuno con il quale disputarle ed erano percepite solo come un ritardo di fronte alla valanga trasformatrice della rivoluzione.
L’acquisizione di potere del popolo lavoratore era rapida, aveva luogo nelle strutture economiche e politiche di tutto il Paese, nella terra, nelle imprese, nella difesa, nell’organizzazione civica, nell’attività artistica e culturale, nello sport, nella scienza, insomma in tutti gli ambiti della vita sociale.
La rivoluzione socialista cubana, socializzando la proprietà e collocando il potere economico e politico in funzione diretta del beneficio per la società nel suo insieme, eliminò la maggior parte delle differenze di classe e gettò le basi per l’esercizio di una democrazia più piena.
Solo quando la rivoluzione fu sufficientemente consolidata, dopo avere affrontato le continue aggressioni imperialiste, man mano che la grande rivoluzione culturale iniziata con la campagna di alfabetizzazione raggiunse alti livelli di istruzione e educazione delle grandi maggioranze, così messe in condizione di interpretare, comprendere e difendere pienamente i loro diritti, si iniziò a occuparsi dell’istituzionalizzazione del processo rivoluzionario, ma a quel punto con una dimensione e una portata integrali e si riprese la pratica del voto politico, ora dotato di dignità e molto diverso dall’esercizio elettorale prerivoluzionario.
Il voto politico
Il voto politico ha due dimensioni basiche, una procedurale e una funzionale, relativa alla sua finalità sociale, ai suoi risultati.
Dal punto di vista procedurale, vi sono norme di base generali come, per esempio, “un cittadino, un voto”, il suo carattere segreto, le regole per convalidare o annullare il voto, il principio per il quale il voto della maggioranza prevale su quello della minoranza ecc. Ma il conteggio dei voti non sempre significa assegnare l’elezione a chi ottiene una maggiore quantità di voti; negli Stati Uniti, come è risaputo, avere la maggioranza del voto popolare non significa essere eletti. Per tale ragione è riuscito a essere presidente di quel Paese un imprenditore multimilionario, per nulla efficace come imprenditore e totalmente inefficace come politico quale è risultato essere il delirante e assurdo Donald Trump.
Dal punto di vista dei risultati, il voto risponde alla società che lo esercita. Se dietro l’aspetto formale del processo elettivo competono sistemi corporativi che difendono i loro interessi, la faccenda del pieno “governo di tutti, con tutti e per tutti” è di fatto qualcosa di sistemicamente impossibile; ecco perché tali società sono propense alla pratica della demagogia: una cosa è il programma d’azione politica che si proclama nelle contese elettorali e altro ciò che si fa poi.
Il voto, nella Repubblica Socialista di Cuba non decide il programma, decide chi rappresenterà la cittadinanza nei diversi piani e livelli della struttura politica nella realizzazione pratica del programma; il programma è una costruzione e ricostruzione collettiva coordinata dal Partito Comunista di Cuba nel suo ruolo di forza dirigente superiore della società cubana e dello Stato, alla quale partecipa in massa, direttamente e liberamente, la cittadinanza nelle iniziative indette dalle entità organizzate nel Paese.
Per tale ragione, il voto a Cuba si concentra nella scelta dei cittadini e delle cittadine con maggiori meriti e capacità, alla quale hanno dritto tutti gli elettori e risultano completamente superflui la pubblicità, il marketing, la demagogia, la manipolazione mediatica, il clientelismo, la compravendita dei voti e altre deformazioni così frequenti nei sistemi politici di democrazia rappresentativa dei Paesi nei quali domina il sistema capitalista.
Il sistema elettorale cubano può e deve essere migliorato in molti aspetti, ma la blindatura rispetto alle deformazioni della demagogia e del clientelismo è assicurata. La società socialista esige che i suoi rappresentanti politici, i suoi leader, vivano modestamente, senza ostentazioni né privilegi personali o famigliari, che dispongano delle risorse necessarie per svolgere bene il loro lavoro di direzione, che rendano conto della loro attività e che veglino sempre sul benessere collettivo, valori impensabili in una società nella quale predominino la proprietà privata, gli interessi corporativi e profonde disuguaglianze sociali di classe.
La democrazia è una costruzione
Chiaro, che il sistema sia strutturalmente e funzionalmente superiore poiché la sua concezione ed espressione giuridica costituzionale rispondono agli interessi delle grandi maggioranze non significa che la sua efficacia sia garantita. Uno degli ostacoli più comuni è quello dei freni prodotti dalle deformazioni burocratiche che possono manifestarsi e, di fatto, si manifestano in qualsiasi ambito economico, sociale, politico e culturale.
Il burocratismo è inversamente proporzionale alla democrazia. Se c’è un compito politico che oggi risulta di maggiore priorità, è quello di fare in modo che si eliminino tutti gli ostacoli burocratici alla soluzione di continuità richiesta dalle politiche approvate e, contemporaneamente, bisogna ottenere il saldo educativo nella generazione di una nuova mentalità.
Nello sviluppo dell’educazione, della formazione culturale e politica della società, il Partito di tutti i Cubani deve svolgere un ruolo fondamentale, non solo promuovendo questi propositi legati al raggiungimento di una cultura generale integrale di tutti i cittadini, ma nell’appoggio al diritto di esprimere il loro pensiero che si arricchisce e si diversifica con l’arricchimento culturale delle individualità e delle minoranze.
Una nuova comunicazione politica
Il compito che si riassume nella parola “ordinamento” ha il proposito di promuovere la necessaria articolazione tra le attività socioeconomica, organizzativa, giuridica, normativa e ideologica per ottenere un funzionamento efficiente del metabolismo socioeconomico del Paese e, con ciò, un Paese migliore.
A questo proposito hanno mirato sia le Linee Guida, sia la Concettualizzazione, il Piano di Sviluppo e la nuova Costituzione della Repubblica; e, come asse trasversale, la necessità di un cambiamento di mentalità. Però, è molto importante definire a cosa dobbiamo riferirci quando parliamo di cambiamento di mentalità; vi saranno, ovviamente, molte definizioni nello sforzo di disambiguare la frase.
Il processo rivoluzionario e la profonda trasformazione che ha sviluppato hanno generato un importante cambiamento nella mentalità della società cubana, insediandovi l’umanesimo, la solidarietà, la giustizia sociale, l’equità, il riconoscimento dei diritti condivisi, il concetto fidelista di essere trattati e di trattare gli altri come esseri umani, l’internazionalismo; questi valori non devono essere cancellati dalla mentalità del Cubano e, per questo, è decisivo non permettere che il mercato imponga la sua gerarchia. Per tale ragione, il necessario cambiamento di mentalità non comporta una comunicazione politica che faccia appello solo ad argomenti economici e trascuri il senso sociale dell’attività umana.
La trasparenza come elemento insostituibile della comunicazione politica è una delle condizioni più importanti per la costruzione di una democrazia stabile e duratura; impiegare questo termine evoca in alcuni ripulsa, data l’esperienza nella scomparsa Unione Sovietica; qui, la vediamo come il diritto che ha tutta la cittadinanza all’informazione verace, opportuna e sufficiente, compresa quella relativa ai differenti punti di vista sulle questioni politiche di interesse comune, nel quadro di quanto stabilito dalla Costituzione. Non si tratta solo di un diritto della cittadinanza, che pure è tale per principio, ma della sua funzionalità, della sua importanza per il divenire democratico e sostenibile della società socialista. La trasparenza comprende un altro fattore, a sua volta fondamentale ed è il riconoscimento del diritto al dissenso, del conflitto e la sua gestione pubblica. La differenza di pensiero è il risultato delle differenti visioni della realtà che hanno le persone e i gruppi sociali.
Dato che non c’è un’unica via per la costruzione sociale di orientamento socialista, le formule dello sviluppo sono molteplici, pertanto la costruzione e la sistematica ricostruzione del consenso risultano essere una conditio sine qua non per progredire uniti e, su questo percorso, non c’è un pensiero unico, anche se esistono un proposito comune e un agire coeso incanalati dall’orientamento socialista della costruzione sociale ancorata alla Costituzione per volontà popolare e per il consenso acquisito.
Ma l’arricchimento della soggettività ha bisogno del confronto di idee e questo del suo spazio nel mondo simbolico, per convertirsi in un fatto condiviso, partecipativo, che dia come risultato un importante flusso di alternative sia per elaborare, modificare o sopprimere politiche, sia per comprenderle e accettarle.
Si tratta, dunque, non solo della pratica tradizionale ed effettiva delle sistematiche consultazioni nazionali sulle principali questioni del Paese: congressi, referendum, appelli, leggi, le cui conclusioni costruiscono linee e norme generali consensuali, ma della necessità di mantenere i temi aperti alle analisi e ai differenti punti di vista; è in questo interscambio che si riaffermano, cambiano e arricchiscono i concetti. Di fatto, questi interscambi non cessano di esistere solo perché non appaiono ampiamente nel mondo simbolico.
Cuba ha necessità di preservare la coesione della nazione, non per un banale nazionalismo, né per sciovinismo, ma per la rilevanza che riveste la preservazione dell’indipendenza, della sovranità nazionale e dell’identità culturale; nella misura in cui la società raggiungerà una qualità della coscienza sociale tale da essere in grado di accettare universalmente il disaccordo nella coscienza della necessità di preservare questi valori, si potrà raggiungere, come ha chiesto il compagno Raúl Castro e come sempre ripetiamo, tutta la democrazia possibile.
Di Darío Machado Rodríguez
Traduzione da https://rebelion.org/
Traduzione per Lavoro e Salute cura di Gorri
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