Denatalità, bonus e il welfare con i se e con i ma

Dopo 18 anni, rieccolo: il bonus bebè. Con un originale scatto creativo la nuova legge di bilancio lo resuscita con la stessa cifra di allora1, mille euro, per una platea più ristretta (famiglie con Isee fino a 40.000 euro). Così viene reiterata una misura senza alcuna informazione sul passato di interventi analoghi: quale aiuto hanno prodotto? quali effetti hanno generato? Nessuno lo sa. Cambia comunque il nome, ora si chiama Carta per i nuovi nati.

Il primo bonus bebè in Italia fu varato nel 2006 dal terzo governo Berlusconi. Era un contributo una tantum per i bambini nati o adottati nel corso di quell’anno. Il presidente del consiglio in quell’occasione scrisse una nota lettera a tutti i nuovi nati. Nella lettera ci si congratulava con i genitori per la nascita del loro figlio e si spiegava l’iniziativa del governo come un sostegno concreto alle famiglie e un incentivo alla natalità in Italia. Alessandro Rosina rispose a quella lettera su Lavoce.info facendo le veci di un bambino neonato qui.

Altri bonus bebè sono stati introdotti, in forme e con criteri diversi, come quello previsto dalla legge di stabilità del 2015 (governo Renzi), che garantiva un contributo mensile alle famiglie con figli fino ai tre anni di età. Negli anni successivi il bonus è stato più volte modificato e prorogato, con cambiamenti nelle soglie di reddito e negli importi. Nel 2018 è stato prorogato solo per il primo anno di vita del bambino. Nel 2019-2020 ne è stata avviata una nuova versione, che estendeva la platea dei beneficiari aumentando gli importi per le famiglie a reddito più basso e mantenendo un sostegno alle famiglie con un Isee fino a 40.000 euro.

L’Assegno unico universale ha riassorbito precedenti misure di sostegno alle famiglie con figli e ci si immaginava, con questo strumento, di avere superato l’epoca degli interventi una tantum. Non è stato così. Aggiungere misure a tempo, sovrapporle, crea una situazione confusa e messaggi incerti, l’esatto contrario di quello che serve per sostenere la natalità.

Nessun bonus bebè è stato valutato nei suoi effetti netti sui tassi di natalità. Stando al calo delle nascite – costante negli ultimi 15 anni – sembra essere stato irrilevante, da questo punto di vista. Senza sarebbe andata peggio? Nessuno può dirlo, proprio perché non abbiamo dati sulle ricadute nette in termini di natalità: che richiede un programma di valutazione controfattuale con gruppi di controllo.

C’è ancora qualcuno che crede nei bonus? Senza andare troppo indietro nel tempo guardiamo alla scorsa legge di bilancio, dove le misure più rilevanti per le famiglie con figli sono state due, due bonus (confermati anche per l’anno prossimo): l’aumento di quello per l’asilo nido, e il cosiddetto “bonus mamme”, ossia la riduzione dei contributi previdenziali per le madri lavoratrici, dipendenti a tempo indeterminato. In entrambi i casi ci si rivolge solo a chi ha già due o più figli. Quante famiglie hanno utilizzato queste misure? Nel caso del bonus nido, ne hanno usufruito meno di un terzo delle famiglie con bambini sotto i tre anni d’età. Al bonus mamme non è andata meglio: sono state 490mila le domande presentate su una platea di circa 800mila, un flop dovuto al taglio del cuneo fiscale, non cumulabile. Quante nuove nascite hanno favorito questi provvedimenti? Non lo sapremo mai.

Secondo l’ultimo report di Istat,uscito la scorsa settimana, il calo delle nascite prosegue anche nel 2024: ci avviamo a fine anno a una riduzione di diecimila nuove nascite rispetto al 2023, che si attesteranno così intorno alle 370mila (il 42% delle quali, per inciso, fuori dal matrimonio). Se non è realistico pensare di invertire una spirale che interessa tutto l’occidente, si può almeno cercare di ridurla, evitandone gli effetti più nefasti, come hanno fatto altri paesi europei. Occorrono misure di peso.

C’è qualche coppia che si sente più invogliata a fare un figlio perché riceverà mille euro? Crederlo è frutto di un misto di ingenuità e demagogia. Per aiutare la natalità serve un ventaglio di interventi diversi, rilevanti, stabili, strutturali: servono per esempio più asili nido, nidi gratis o a costi molto agevolati.

Ogni bonus è un servizio in meno, un servizio che viene sottratto. Servono sostegni continuativi nei mesi, negli anni, servono aiuti in assenza di asili nido, servono congedi parentali più incisivi, e su questo la legge di bilancio fa un passo in avanti, serve un piano casa nazionale, servono contributi continuativi fino alla maggiore età dei figli, come in Francia o in Germania. Da noi prevale la distribuzione di spot qua e là, i requisiti che riducono gli impegni di spesa e la platea. Potremmo chiamarle le misure “con i se e con i ma”: un mese in più di congedo parentale all’80%, ma vale solo per i dipendenti, la sottrazione dell’Assegno unico dal calcolo dell’Isee, ma solo in casi particolari, gli interventi sui nidi e sulle donne lavoratrici, se con almeno due figli. Dentro questo insieme vario di interventi, l’idea che un bonus, tre mesi di retta in un nido comunale, possa cambiare l’andamento delle nascite è destinata a rimanere un’illusione.

Sergio Pasquinelli

29/10/2024 https://www.welforum.it/

0 commenti

Lascia un Commento

Vuoi partecipare alla discussione?
Sentitevi liberi di contribuire!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *