Di quale futuro siamo in attesa?

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Dalle notizie di cronaca, alle opinioni sulla sanità pubbica, sui morti sula lavoro, alla politica, alcune considerazioni sulla capacità di districarsi mentalmente e nei comportamenti conseguenti in questa tempesta di sofferenza sociale che azzera il sentire, il dire e il fare della popolazione più esposta alle intemperie della catastrofe politica.
Abbiamo la sensazione, quotidianamente confermata dai fatti, che una diffusa diffidenza, ai limiti del disprezzo, per la verità. La verità offende, ferisce, smentisce, priva l’uono delle illusioni, prende a schiaffi il sogno e lo trasforma nel consueto, orrido risveglio.

Quando si afferma che la verità fa male, si dice, paradossalmente, il vero. Una mediocre bugia è di certo preferibile a una bella verità. Il rapido diffondersi delle fake news e deep fake (per creare falsi video pornografici, per creare fake news, bufale e truffe, per compiere atti di cyberbullismo o altri crimini informatici). Finchè c’è menzogna c’è speranza di creare illusioni per i singoli individui che i social trasformano in collettivi planetari.

Quasi senza accorgercene, siamo entrati nell’era della post verità, in cui è sempre più difficile distinguere il vero dal falso. Siamo portati al disorientamento che ci rende incapaci di distinguere – o per lo meno di provarci – il vero dal falso, il pratico dall’effimero invasi da centinaia di notizie quotidiane, di affermazioni e smentite che ci blocca ogni tentativo di riflessione.

Poveri e collassati dalla distrazione comunicativa

Il collasso dell’attenzione è un problema collettivo che riguarda le condizioni di vita. Condizioni determinate dalla post-verità.

Il termine post-verità si riferisce a una «argomentazione, caratterizzata da un forte appello all’emotività, che basandosi su credenze diffuse e non su fatti verificati tende a essere accettata come veritiera, influenzando l’opinione pubblica» (Treccani).
Sarà possibile riacquistare un minimo di controllo del nostro equilibrio mentale? È ancora possibile riuscire a distinguere il vero dal falso?

La menzogna viene irradiata al pubblico come verità e lo diventa, stante la programmata assenza di contraddittorio permanente, grazie all’arroganza dei poteri politci, economici e militari. E uno spesso velo granitico per far dimenticare – ad esempio – i profitti legati alla sopraffazione degli elementari diritti umani, l’attacco al risparmio degli italiani, lo sfruttamento delle risorse pubbliche per destinarle, anche, al commercio delle armi.

Un velo che maschera la sostanza del reale tale da diventare una patologia della modernità, l’alienazione implicita nella società dello spettacolo in cui la manipolazione e la menzogna oscurano la realtà autentica dei soggetti, vedi le conseguenze catastrofiche della guerra della Nato contro la Russia.

Viviamo, in definitiva, in una società travolta dalle menzogne che, appunto, ripetute h24 diventano verità assolute. Una società nella quale l’impossibilità dell’attenzione è diventata un problema di prim’ordine, una vera e propria patologia. È una forma moderna di guerra di classe unilaterale, condotta da chi detiene le chiavi d l potere, contro i sudditi.

In un Paese come il nostro (il peggiore d’Europa a guardare i dati sulle condizioni di lavoro, di salute, di salari, di libertà sociali e politiche) con un governo sempre più in guerra unilaterale contro la maggioranza della popolazione, assistiamo a un crescente stato di prostrazione, di ansia e di depressione di una grande parte della società che chiude gli occhi e autoreprime la propria propensione alla critica, se non alla ribellione, e paradossalmente offre assist alla malapolitica votando i suoi fustigatori rivelando una vera e propria sudditanza mentale, anche se si trova a votare un corrotto o un malavitoso.

Senza una critica, e una lotta collettiva, per attenzionare le condizioni di vita in questo stato di cose, i problemi quotidiani continueranno a superare di gran lunga le nostre capacità individuali di risposta, trasformandoci in individui sconfitti e rassegnati, lamentosi e vittimisti.

«Libertà è partecipazione», cantava Giorgio Gaber

Ancora una volta, la narrazione in voga è quella della ricerca del consenso partecipativo che però mette a tacere e non tiene in alcun conto l’antagonismo sociale, come se non esistesse: interessante notare che il «modello» utilizzato nel caso delle aree militari si ritrova ripetuto in una serie di altre vicende emerse di recente dall’annuncio di progetti urbanistici legati al Pnrr.

Anche le riforme del welfare sono andate tutte in direzione della privatizzazione. Il sistema pensionistico è stato violentato più volte e si è arrivati a una situazione in cui il 40% dei pensionati ha un reddito inferiore ai 12 mila euro, e dove i lavoratori attuali, assunti dopo il 1996, si troveranno con una pensione ai livelli di povertà.
Lo stesso dicasi della sanità, dove il privato è avanzato impunemente, aiutato dalle scelte governative con la chiusura delle strutture territorialie e degli ospedali, un crimine sociale che sarà portato all’ennesima potenza se verrà approvata la legge sull’Autonomia Differenziata delle Regioni.

Allora la domanda è come intervenire, di come costituire ribellione sociale e radicalità politica capaci di indicare un’alternativa al peggioramento delle condizioni di vita, per ottenere, in primo luogo, dei livelli salariali propedeutici alla ricostruzione dei diritti al lavoro e del lavoro, per elementari diritti sociali e civili.
Quello che è accaduto in Francia negli scorsi mesi, dal movimento contro la riforma delle pensioni, passando per le mobilitazioni per la tutela dei territori e delle risorse, sino alle rivolte delle banlieues, specchio delle nostre degradate periferie .

Cultura di guerra

Un pensiero alternativo, atto a costruire percorsi di praticabilità politica, e sindacale, urgente perché pare inarrestabile l’articolarsi della cultura della guerra in ogni ambito delle nostre vite, a partire dalla formazione nelle scuole ( anche nella scuola primaria per farne dei moderni piccoli Balilla) e nelle università che stanno diventano teatro di educazione alla guerra, tramite laboratori e incontri con le forze armate, tramite un sistema di disciplinamento che vuole sanzionare, attraverso le figure dei presidi e del corpo docenti, chiunque esprima contrarietà e insofferenza nei confronti dell’ingranaggio scolastico. Ovvero repressione culturale, a volte coadiuvata dagli stessi genitori.

Una conformazione sociale alle esigenze del potere. Lo stesso sviluppo tecnologico liberando le possibilità illimitate, in mano a chicchessia, a prescindere dall’età e dalla sua funzione sociale, a coadiutavo la volontà dei poteri, politici e finanziari, mascherandola da libertà di pensiero e di partecipazione ai meccanismi decisionali.

Questo vale in ogni ambiente produttivo e nella vita di tutti i giorni, visto che ogni ambito esistenziale è costantemente messo alla prova perchè servono individui fedeli al pensiero unico, nelle relezioni sociali come sul posto di lavoro.

Cultura individualista

La società nichilista è l’obiettivo razionale del capitale. Vediamo che si sta gonfiando a dismisura l’ego personale nella conformità al sistema attraverso l’accumulazione di merci tramite l’acquisto come mantra di inclusione e parvenza di soggettività, tutto in funzione dell’accumulazione della già spropositata ricchezza di pochi.

In questo contesto anche le diverse forme di disoccupazione prodotte dal capitalismo diventano anche una condizione di esistenza e consolidamento in questo sistema di produzione esasperata da un presunto benessere di massa. I lavoratori disoccupati costituiscono una riserva di manodopera sempre più a disposizione schiavista del capitale, avente sia la funzione di rendere sempre possibile un aumento della produzione, anche, e soprattutto, di tenere bassi i salari, grazie alla concorrenza fra lavoratori occupati e disoccupati (terreno primario di battaglia sul quale prevale sempre l’individualismo), con gli sconfitti che pur di aggrapparsi a qualsiasi lavoro per la sopravvivenza sono disposti ad accettare salari sempre più bassi e condizioni di lavoro che mettono in conto la disabilità da infortunio e la stessa possibilità di morte. Come se all’entrata al lavoro si tirassero dietro una bara.

La presenza della disoccupazione, dunque, è un fatto normale e necessario in un’economia capitalistica, e poggia anche sulla presunta possibilità di governarlo come forza sindacale, nella logica delle forze politiche che articolano un pensiero riformista sempre più incluso nelle trame dei poteri impreditoriali e finanziarti, come è accaduto nel corso della storia degli ultimo quarant’anni in Europa, anche sfruttando i flussi migratori come ulteriore forza lavoro schiavista, in competizione con i lavoratori occidentali.

Il vissuto mascherato

Viviamo un’epoca oscurantista ma luccicante di un eccesso di informazioni, piena di certezze assolute che si infrangono alla prova dei fatti, in un sistema di dimenticanze e rimozioni. Un’epoca torbida, in cui si accetta a prescindere ciò che nella logicità dei del proprio vissuto dovrebbe essere inaccettabile ma oggi non ci fa neanche inorridire, a meno che non siamo guidati dal sistema di comunicazione su sngoli scandali, veri o presunti, negli spazi di governo pubblico o di gossip sulla vita dorata dei personaggi di corte.

Lo stesso recente lockdown legato alla pandemia, con tutto ciò che ha comportato in termini relazionali ha amplificato la tendenza all’individualismo e all’accettazione del profitto basato sui morti e sull’isolamento irrazionale che poco o nulla ha vauto a che fare con la difesa dal Covid. Questa è la cifra della nostra propagandata civiltà fatta di obbedienza silenziosa anche alle apparenze degli invasivi e infettivi salotti mediatici.

La salute bene primario?

Da almeno quindici anni abbiamo chiari segnali di un progressivo scadimento delle condizioni di salute, anche mentale, nella popolazione generale, in particolare nei giovani, ma non solo.

Stiamo assistendo ad una esplosione della domanda di valutazione ed intervento psicologico, con un andamento che stando ai primi dati è certamente esponenziale, inarrestabile in particolare nella fascia 20/40 anni

Queste situazioni sono nuove? No, sono state scienfificamente costruite dopo la sconfitta del movimento operai e sindacale degli anni 70 (ci siamo dimenticati del porogramma politica della Loggia massonica P2 che ha utilizzato Berlusconi come apripista, pista poi battuta dai governi di centrodestra/leghista centrosinistra fino a portarci oggi a un governo in mano ai neofascisti moderni eredi del ventennio mussoliniano).
Sconfitta ben coadiuvata, dall’inzio degli anni 80 con la sconfitta degli operai di Mirafiori a Torino (con Berlinguer isolato fino alla sua morte), dalle due forze di sinistra riformista come il PSI prima e poi del PCI, fino alla sua eutanasia.

Oggi la bolla creata dai social sostituisce la partecipazione di massa degli anni 70? Pare che molti la pensano così e ai poteri dominanti sta bene, anzi la sostengono come nuova cultura di massa. Poco importa se in questo spazio virtuale si manifesta tuttà l’indignazione contro i loro comportamenti politici e relazionali quotidiani, come poco importa agli stessi idignati social del fatto nuovo che tanti vanno dallo psicologo (quelli che possono permetterselo) a conferma del profondo malessere della nostra società che da almeno trent’anni va ritirandosi da questioni cruciali per
la vita degli individui e le affida alle malfamate istituzioni nella speranza che sia sopravvissuto un briciolo di umanità verso i loro diritti, come spazio residuo della privatizzazione.
E’ quanto troviamo oggi nelle istituzioni scolastiche o sanitarie: non i bisogni delle persone, ma la logica della massimizzazione del profitto e della sorveglianza repressiva, fino ad arrivare a considerare i cittadini dei delinquenti quando protestano.

Rassegnazione o ribellione?

Dobbiamo rassegnarci alla mercificazione delle prestazioni sanitarie e psicologiche, lasciando che ognuno trovi la sua strada, comunque dissestata sulla base di criteri di gravità o di reddito?

La resistenza a queste nuove forme di schiavismo mentale mascherato inizia dal ricominciare a pensare insieme. Per ricostruire e giorno dopo giorno la nostra identità di persone, la nostra autostima basata sui principi della dignità personale, l’unica genitrice di diritti e di doveri, e di solidarietà verso i nostri simili, quelli che stanno peggio e che la propaganda dei potenti ci disegna come brutti, cattivi e ladri del nostro presunto benessere.
Ci dobbiamo ricostruire, ripulendoci dall’egoismo a difesa delle briciole che ci elemosinano, dal qualunquismo che ci hanno spruzzato addosso insegnandoci l’antipolitica per poterla invece fare loro, indisturbati.

Franco Cilenti

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