Di tornelli, proibizionismo, far west e orizzonti urbani di reclusione perpetua
In sordina, il governicchio italiano accozzato di fine legislatura, che in realtà dovrebbe solo preoccuparsi della normale amministrazione e di portare il Paese alle elezioni politiche, tra un Sanremo e la telenovela infinita sulla Raggi, sta invece facendo passare provvedimenti di una gravità inaudita. Con un piglio e una sicumera del tutto fuori luogo. Credendo forse di essere tornato, grazie ad un maldestro incantesimo, indietro nel tempo: a Novembre del 1922. Minniti è l’emblema di questa traveggola. Viene da pensare che lo specchio, ogni mattina, gli restituisca di se stesso un déjà-vu della storia, magari approfittando di una vaga e imoperdonabile somiglianza con il noto de-cuius. I tornelli con annessa invasione e cariche della polizia a loro difesa nella prima università della storia occidentale, che anche solo per il suo valore simbolico avrebbe dovuto indurre i tutori dell’ordine a ben altra prudenza; così come l’ignobile decreto del così detto (da Ella) “DASPO urbano”; ci proiettano direttamente nell’America del Far West, con tanto di sindaco sceriffo che decide chi può entrare nel villaggio e chi no più o meno a sua discrezione e chi può attraversare i luoghi della città e chi no sempre a suo insindacabile giudizio.
Siamo arrivati a questo. Da una parte il saloon, i tornelli della biblioteca; dall’altra tanti nuovi sceriffi fuori tempo massimo. Il pretesto è quello di contrastare le epigrafi vandaliche sui muri, vale a dire l’ostinazione di qualcuno a voler continuare ad usare i muri reali anziché quelli di facebook per scriverci sopra le eccedenze inascoltate del suo “Es”. Naturalmente è solo la scusa di facciata e in questo caso la facciata va intesa anche fuor di metafora: la facciata di un edificio, la facciata di un monumento, etc. etc. etc. In realtà si strizza l’occhiolino a quel bisogno vago di sicurezza alimentato ad arte per più di trent’anni dalla peggiore propaganda informativa del secolo, che è riuscita dove persino l’Istituto Luce del ventennio aveva fallito: far passare l’idea che se l’occhio non vede il cuore non duole. Si arriva così al paradosso che se un nuvolo di tossicodipendenti si aggirano intorno ad una biblioteca, il problema lo risolve il tornello che li tiene lontani. I tossicodipendenti, sempre di più in questi tempi di profonda frustrazione sociale, spariscono così come per magia. I bravi studenti possono starsene tranquilli a studiare con la loro tesserina magnetica e poi quando hanno finito ed escono per tornare a casa, patapuffete, per la stessa magia che li aveva fatti scomparire cambiata di senso, ecco che ricompaiono i tossicodipendenti, sparsi ovunque nella città, meno che nell’oasi del numero 36 della prima università del mondo.
Ed ecco che puntuale arriva il DASPO urbano del sempre valido Minniti che istituisce tanti piccoli John Wayne per allontanare i “marginali” (che nel frattempo si moltiplicano anche per il fatto di non essere più potuti entrare nelle biblioteche per provare a cambiare il corso della loro esistenza) anche dal resto della città.
Limitare la libertà personale degli individui per loro è la soluzione. Trovare la formula magica che consenta di far scomparire il disagio. Non vogliono che l’emarginazione attraversi la città. Pretendono che scompaia per incanto. Il disagio c’è, è sempre più diffuso, ma non si deve vedere. L’idea di provare ad eliminare le cause che al disagio conducono è pratica complicata che non sfiora più neppure per incidente le menti di questi nuovi registi del Western all’italiana. Tra poco metteranno cassette di sicurezza al posto delle buche della posta, nelle quali prima di uscire dovremo lasciare tutto il contenuto delle nostre tasche meno la carta di credito, pena una voce diffusa nell’aere che ci ricordi di lasciare gli oggetti metallici nella cassettina. Poi usciremo e andremo da punto a punto dell’urbe passando da tornello a tornello. Da quello del supermercato a quello della banca, da quello della banca a quello dello stadio, da quello dello stadio a quello della posta e ora anche a quello delle biblioteche. Un politico vero si occuperebbe del contrario. Non di come far uscire i tossicodipendenti da una biblioteca, ma di come farceli entrare. Così si risolvono i problemi. Altro che occhio non vede cuore non duole.
Il cuore di una madre che ha un figlio tossicodipendente duole lo stesso, anche se cambia la serratura di casa e non vede più il figlio. Duole perché sa che il figlio continua ad avere quel problema. Sa che la soluzione è risolvere il problema e per provare a risolverlo è intanto importante iniziare a guardarlo. Non scomodo neppure il fatto che per provvedimenti che limitino le libertà personali si era d’accordo fin dai tempi della tripartizione dei poteri come primo fondamento delle moderne democrazie, che fosse necessario un provvedimento del giudice e si avesse diritto ad un avvocato difensore; a me interessa il paradosso. Il rigurgito da marcia su Roma che questi provvedimenti esprimono. La banalità del pensar male, per parafrasare la Arendt, dei così detti politici che siedono con piroette sempre più creative sugli scranni del Governo. Meglio di me su questi fatti avrebbe saputo scrivere Sergio Leone in una nuova saga dal sapore amaro che potrebbe andare sotto il titolo di “C’era una volta l’Italia”.
Caro Minniti, caro prefetto di Bologna e cari tutti, non ve ne abbiate a male se tocca a me ricordarvi un principio incontrovertibile della logica prima ancora che della politica e della sociologia. Al cospetto della sicurezza, questa Dea del ventunesimo secolo che andate disperatamente cercando come fosse Maria per Roma, si giunge percorrendo la strada della giustizia sociale. Non esiste altra via per raggiungerla. Benché puntellate da tornelli e vigilate da sceriffi con relative Colt magnum 45, tutte le altre vie conducono lontano da questa tanto graziosa quanto insignificante signora.
Carmelo Albanese
15/2/2017 www.controlacrisi.org
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