Dialogo con i genitori. Didattica a distanza: a cosa serve?
La drammatica diffusione del coronavirus ha richiesto la chiusura delle scuole per diverse settimane Misura indispensabile, assolutamente straordinaria e prolungata, inaspettata e dal notevole impatto sociale.
Per le famiglie , è sorto il problema della custodia dei figli più piccoli. Per gli studenti la perdita di ore di lezione è consistente. Si è fatto ricorso, quindi, alla didattica a distanza.
La legge 107 ha previsto per tutte le scuole un Piano nazionale per la Scuola Digitale , con indicazioni per l’innovazione tecnologica e la digitalizzazione , la promozione delle competenze negli studenti, predisposizione di attrezzature e software.
In questa situazione di emergenza, docenti e studenti si sono ritrovati a dover sperimentare le varie possibilità offerte dalla tecnologia. Immediatamente si sono scatenate offerte di formazione , corsi, pacchetti, programmi, piattaforme, molte gratuite in questo momento ma destinati ad essere concrete e consistenti possibilità commerciali per i grandi gruppi (Microsoft, Google , Apple ) che tendono a “colonizzare “ e spartirsi istituzioni scolastiche , fornendo magari supporti e consulenze . Non è secondario neanche il problema dei dati personali messi in circolazione attraverso l’uso dei sistemi.
Per tutti, (anche per le famiglie chiamate a seguire i bambini più piccoli nelle lezioni e nei compiti) un brusco sconvolgimento di abitudini; per i docenti, l’improvvisa necessità di preparare videolezioni, connettersi, utilizzare piattaforme, con una certa confusione legata allo stato di necessità, ( obbligo, modalità, gestione del registro elettronico ) e spesso una scarsa padronanza informatica. Un uso diverso della tecnologia, sorprendente anche per gli studenti ,che finora in prevalenza la riservano all’extrascuola . Si pone il problema della valutazione, probabilmente rinviato al rientro a scuola, ed anche di eventuali difficoltà nell’accesso ai dispositivi in famiglie numerose o semplicemente non attrezzate. Con entusiasmo variabile, e su pressioni di varia intensità da dirigenti e USR, gli insegnanti si stanno impegnando nel compito di assicurare parziale svolgimento dei programmi. Si teme anche , come da qualche parte si legge, che l’entusiasmo valichi i confini dell’emergenza e la didattica a distanza diventi prassi, magari per evitare di nominare supplenti sostituendo lezioni frontali con videolezioni da consumare a casa propria.
Ma si è capito subito che la partita non è nella trasmissione dei contenuti. Si tratta di tenere aperti canali di comunicazione emotiva, di alimentare quella comunità che abbiamo scoperto essere importante, insostituibile dalle classi virtuali. Collegarsi in videoconferenza, vedersi e parlarsi attraverso il monitor, diventa, inevitabilmente un modo di condividere parte del proprio privato- la stanza, il gatto che fa capolino, la quotidianità che emerge dai collegamenti . E che , come riportano le varie cronache di vita in epidemia raccontate sui social dagli insegnanti , sembrano abbattere barriere tra i ruoli . Si scopre ,allora, che si ha nostalgia delle interazioni scolastiche, delle dinamiche , anche faticose , che si instaurano.
Complice la clausura imposta dall’epidemia, improvvisamente sembra desiderabile la scuola come luogo di vita, di formazione, di crescita personale. Nella scuola dell’infanzia, dove la didattica è fatta soprattutto di relazioni e attività che richiedono la presenza fisica , lo sguardo, il gioco questo è ancora più vero.
Nella mia classe, noi insegnanti abbiamo deciso di dare un senso diverso alla famigerata e temuta chat di whatsapp dei genitori., utilizzandola per dire ai bambini che non li abbiamo dimenticati, che dobbiamo fare qualche sacrificio e che possono vincere la noia con quello che usiamo di più a scuola: a fantasia, l’immaginazione, la creatività, e che questo periodo di distanza fisica non ci impedisce di essere “noi”. Sarebbe bello che questa esperienza, potenzialmente anche traumatica per i più piccoli e non solo, diventasse occasione di crescita, di recupero del senso del collettivo, della società come luogo, l’unico, in cui gli individui possono vivere.
Loretta Deluca
Insegnante Torino
Collaboratrice redazionale di Lavoro e Salute
Nota pubblicata sul numero di marzo http://www.lavoroesalute.org/
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