Diffamazione, così non va. Il ddl alla Camera tra appelli e bocciature.
Inizia alla Commissione Giustizia della Camera l’esame del disegno di legge sulla diffamazione, già approvato al Senato. Un testo contestato dai giornalisti e da gran parte del mondo dei media. Un Ddl che cancella il carcere per la diffamazione ma prevede pene pecuniarie pesanti, rettifiche da pubblicare senza commenti e senza titolo, l’estensione delle sanzioni anche alle testate on line. Nel complesso, un insieme di norme che sembrano mirate a intimidire i giornalisti e ad imbavagliare I media, soprattutto quelli più poveri. In buona sostanza, una legge che limita la libertà di stampa.
Un appello e centinaia di migliaia di firme per cambiare la legge
Per questo è stato lanciato da diversi soggetti dell’informazione, dell’editoria e del sindacato (Associazione Articolo 21, Associazione Nazionale Stampa Online, Confronti, Federazione Nazionale della Stampa Italiana, Libera Informazione, Libertà e Partecipazione, Ossigeno per l’Informazione, Move On, Valigia Blu, Usigrai) un appello chesi propone di raccogliere centinaia di migliaia di adesioni per fermare e modificare la legge.
Questo il testo dell’appello
“La nuova legge sulla diffamazione è sbagliata. Doveva essere una riforma della legge sulla stampa che eliminando la pena del carcere per i giornalisti, liberava l’informazione dal rischio di sanzioni sproporzionate, a tutela dei diritti fondamentali di cronaca e di critica: il testo licenziato al Senato rischia di ottenere l’effetto opposto, rivelandosi come un maldestro tentativo di limitare la libertà di espressione anche sul web.
La legge sulla diffamazione che potrebbe presto essere approvata, prevede in particolare: sanzioni pecuniarie fino a 50 mila euro che appaiono da un lato inefficaci per i grandi gruppi editoriali e dall’altro potenzialmente devastanti per l’informazione indipendente, in particolare per le piccole testate online. Inoltre, viene pericolosamente ampliata la responsabilità del direttore per omesso controllo, ormai improponibile in via di principio e sicuramente devastante per le testate digitali caratterizzate da un continuo aggiornamento;
un diritto di rettifica immediata e integrale al testo ritenuto lesivo della dignità dall’interessato, senza possibilità di replica o commento né del giornalista né del direttore responsabile, e che invece di una “rettifica”, si configura come un diritto assoluto di replica, assistito da sanzioni pecuniarie in caso di inottemperanza, che prescinde, nei presupposti della richiesta, dalla falsità della notizia o dal carattere diffamatorio dell’informazione;
l’introduzione di una sorta di generico diritto all’oblio che consentirebbe indiscriminate richieste di rimozione di informazioni e notizie dal web se ritenute diffamatorie o contenenti dati personali ipoteticamente trattati in violazione di disposizioni di legge. Previsione questa che non appare limitata alle sole testate giornalistiche registrate ma applicabile a qualsiasi fonte informativa, sia essa un sito generico, un blog, un aggregatore di notizie o un motore di ricerca, e che fa riferimento al trattamento illecito dei dati che è concetto dai confini incerti in particolare nell’ambito del diritto di cronaca e critica e che non ha alcuna attinenza col tema della diffamazione.
Più specificamente, la previsione di un assoluto diritto all’oblio, esercitato senza contraddittorio, è destinato a produrre un infinito contenzioso tutte le volte che, di fronte a richieste ingiustificate, il direttore legittimamente decida di non accoglierle. Ma la nuova norma può anche indurre ad accettare la richiesta solo per sottrarsi proprio ad un contenzioso costoso o ingestibile e, soprattutto, può portare alla decisione di non rendere pubbliche notizie per le quali è probabile la richiesta di cancellazione, con un gravissimo effetto di “spontanea” censura preventiva. I rischi non solo per la libertà d’informazione, ma per la stessa democrazia, sono evidenti”.
“Primo: tutelare la libertà di espressione e di informazione su ogni medium”
“Una legge che modifica la normativa sulla stampa al tempo del web – continua l’appello – deve avere come primo obiettivo la tutela della libertà di espressione e di informazione su ogni medium: e questo non si ottiene prevedendo nuove responsabilità e strumenti di controllo e rimozione, ma estendendo ai nuovi media le garanzie fondamentali previste dalla Costituzione per la stampa tipografica. La legge sulla diffamazione proposta ha invece il sapore di un inaccettabile “mettetevi in riga”, sotto la minaccia di facili sanzioni, rettifiche e rimozioni, per quei giornalisti coraggiosi, blogger e freelance che difendono il diritto dei cittadini ad essere informati per fare scelte libere e consapevoli.
La mancanza di norme che sanzionino richieste e azioni giudiziarie temerarie o infondate non fa che aggravare un quadro di potenziale pressione sull’informazione che la sola eliminazione del carcere come sanzione non è sufficiente a scongiurare e che anzi con la nuova legge si aggrava. La nuova legge sulla diffamazione è pericolosa per le molte violazioni in essa previste del diritto costituzionale d’informare e di essere informati. Per questo invitiamo tutti i cittadini ad aderire a questo appello, e chiediamo ai parlamentari di non approvare la legge. Ne va della libertà di tutti”.
I punti in discussione alla Camera
In Commissione alla camera saranno affrontate, in primis, alcune delle norme più importanti sulla rettifica, sui blog, sulle querele temerarie, sulle multe sostitutive del carcere ma anche sulle responsabilità dei direttori. Pare, quindi, che i deputati non si limiteranno ad una semplice approvazione del testo votato dal Senato il 29 ottobre 2014. E questo perchè la legge, nata per evitare il carcere ai giornalisti, sostituito con un’ammenda fino a 50 mila euro, si è infatti via via arricchita di articoli e commi che rischiano di indurre al conformismo e all’autocensura gli stessi giornalisti nel timore di rappresaglie legali.
Il governo sembra voler tirare diritto.
“Il 2015 dovrà essere l’anno in cui questo testo si approva una volta per tutte”, ha detto in una intervista a Repubblica il vice ministro della Giustizia, Enrico Costa (Ncd), primo firmatario della legge sulla diffamazione che, a suo parere, “non ha nessun intento punitivo”. “Il punto qualificante della legge – afferma Costa – è il fatto che si cancella il carcere per i giornalisti, che potranno essere puniti solo con una pena pecuniaria. L’istituto della rettifica diventerà una causa di non punibilità. È un classico esempio di giustizia riparatoria. E la rettifica senza commento è il modo individuato dal Parlamento per fare in modo che si concretizzi la causa di non punibilità. Comunque il Senato ha stabilito che non si possano pubblicare le rettifiche documentalmente false”.
Ma Strasburgo e la Corte Europea bacchettano l’Italia.
Il Parlamento italiano deve riprendere il processo di modifica della legge sulla diffamazione in modo da depenalizzare il reato e portare la legislazione in linea con quanto stabilito dagli standard del Consiglio d’Europa. A chiederlo è l’Assemblea parlamentare dell’organizzazione paneuropea nel rapporto sulla protezione della libertà di stampa che verrà discusso e votato a Strasburgo nel corso della sessione plenaria. Nel richiamo all’Italia l’assemblea ricorda che la richiesta di cambiare la legge sulla diffamazione è stata rivolta per la prima volta a Roma in un rapporto votato nel 2007. E specifica che le modifiche devono essere introdotte sulla base di quanto richiesto dalla Commissione di Venezia, l’organo di esperti costituzionali del Consiglio d’Europa, nel dicembre 2013.
In quell’occasione la Commissione di Venezia aveva osservato che “il disegno di legge in discussione in Parlamento rappresenta indubbiamente uno sforzo per migliorare” la legislazione. Ma aveva anche sottolineato la necessità di introdurre ulteriori modifiche, in particolare per rendere “più esplicito il requisito di proporzionalità tra le sanzioni pecuniarie e le condizioni economiche del giornalista come criterio di valutazione dei danni da versare al diffamato”. Da rilevare, infine, che anche per la Corte Europea dei diritti umani la legge italiana rappresenta una violazione dei diritti dei giornalisti.
Cla.Vi.
22/172015 www.globalist.it
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