Digitalizzazione, “routinarietà” e dinamica occupazionale delle professioni in Italia

La progressiva digitalizzazione dei processi produttivi e dei modelli di consumo sta modificando profondamente il funzionamento dei mercati (i.e. si pensi alla fortissima concentrazione in mercati chiave come nel caso dei beni e servizi digitali), contribuendo a generarne di nuovi (anche ampliando o mutando quelli già esistenti, come quello del trasporto privato su gomma, si pensi al caso di Uber), e accelerando il processo di frammentazione del lavoro già in corso da diversi decenni. La crescente digitalizzazione delle principali attività economiche e sociali permette di codificare e programmare, nonché (cosa fino a poco tempo fa impensabile) di guidare, controllare e valutare da remoto cose e persone, grazie dall’uso di sensori e algoritmi dell’Intelligenza Artificiale. La digitalizzazione di uno spazio economico richiede, tuttavia, che siano presenti numerose pre-condizioni. Dal punto di vista della domanda, in un’ottica Keynesiana, è fondamentale che le prospettive economiche delle imprese siano tali da rendere attraente l’investimento in tecnologie digitali. Dal punto di vista dell’offerta è altresì necessario che siano disponibili ed accessibili (tecnicamente ed in termini finanziari) le tecnologie che rendono possibile la digitalizzazione dei processi. Inoltre, affinché un’organizzazione venga digitalizzata, è necessario che le attività da trasformare (economiche e, in particolare, lavorative – manuali o cognitive) siano altamente codificabili e replicabili (i.e. posseggano quella specifica caratteristica che autori come David Autor definiscono ‘routinarietà’) per poterle parcellizzare e quindi digitalizzare.

Nonostante il recente proliferare di contributi empirici (si veda, tra gli altri, Frey, C. B. e Osborne, M. A. (2017). The future of employment: how susceptible are jobs to computerisation?. Technological forecasting and social change, 114, 254-280.) tesi a valutare l’impatto che la digitalizzazione potrebbe avere sul mercato del lavoro e, in particolare, sulla dinamica occupazionale, non vi è, ad oggi, una risposta condivisa circa tale impatto. Collegandosi con quanto già illustrato in articoli precedentemente pubblicati sul Menabò, questa nota propone una sintesi dei risultati di un lavoro empirico finalizzato ad analizzare, introducendo una serie di innovazioni di carattere metodologico, la relazione tra la digitalizzazione e la dinamica occupazionale delle professioni italiane. L’analisi beneficia della ricchezza informativa dell’Indagine Campionaria sulle Professioni(ICP) realizzata, nel 2007 e nel 2012, dall’INAPP e l’ISTAT. La ICP fornisce una vasta quantità di informazioni sulle caratteristiche delle mansioni svolte dalle professioni italiane (informazioni riportate al massimo livello di disaggregazione classificatoria disponibile), sul tipo di dispositivi (inclusi quelli digitali) utilizzati nel luogo di lavoro, sulle competenze di cui sono dotate le stesse professioni. Combinando alcune delle variabili contenute nella ICP, gli autori costruiscono tre diversi indicatori di digitalizzazione concernenti il peso relativo assunto nelle diverse professioni: i) dalle attività digitali (‘digital tasks’) ovvero dalle attività che implichino l’interazione o la modificazione di oggetti e ambienti digitali, ii) dalle competenze digitali (‘digital skills’), in termini di competenze richieste dalla mansione, iii) dall’utilizzo (‘digital use’) di dispositivi digitali. Distanziandosi dalla prospettiva ‘tecnicista’ propria dell’impostazione teorica neoclassica – nella quale la digitalizzazione appare come un mero processo di sostituzione di dispositivi e strumenti ipotizzando diversi gradi di complementarità tra tali strumenti e le competenze dei lavoratori – questo lavoro rende espliciti gli elementi di complessità che caratterizzano il processo di digitalizzazione stesso distinguendo, ad esempio, il mero utilizzo di strumenti digitali dalla capacità di comprenderee di intervenire, grazie alla disponibilità di competenze digitali, nelle diverse fasi del suddetto processo. Il grado di routinarietà delle mansioni svolte è misurato – in linea con la metodologia seguita da Autor e dai successivi contributi – attraverso il Routine Task Index (RTI), calcolato per ciascuna delle professioni italiane coinvolte nell’analisi.

Distinguendo tra tre diverse misure di digitalizzazione – attività digitali svolte, competenze digitali richieste e strumenti digitali utilizzati – mostriamo come i servizi tendano ad essere relativamente più digitalizzati rispetto alle industrie manifatturiere. Tale divario digitale risulta essere particolarmente ampio se si tiene conto dell’uso dei dispositivi digitali e delle attività digitali svolte dal lavoratore. Manifattura e servizi presentano invece livelli simili di competenze digitali (figura 1). Nel settore dei servizi il livello di digitalizzazione risulta particolarmente elevato nelle attività di comunicazione e informazione ed in quelle finanziarie.

Figura 1: “Utilizzo di strumenti digitali”, “Attività digitali” e “Competenze digitali” per macrosettore

Il livello di digitalizzazione varia non solo fra macrosettori ma anche per grandi gruppi professionali. Per esplorare questa fonte di eterogeneità nella digitalizzazione, gli autori considerano tre macrogruppi professionali. Il primo gruppo (‘high-skills’) è composto dalle prime tre professioni ISCO, quelle altamente qualificate, ovvero da dirigenti, professionisti associati e tecnici. Il secondo gruppo, definito “medium-skills”, comprende impiegati, addetti alle vendite e artigiani specializzati. Il terzo gruppo, definito ‘low-skills’, include gli operatori di macchine e impianti e coloro che svolgono occupazioni elementari. Le professioni high-skills presentano i punteggi più alti relativamente a tutti e tre gli indicatori digitali, mentre le professioni low-skills risultano essere quelle meno digitalizzate. Il divario digitale tra le professioni è particolarmente rilevante nell’uso dei dispositivi digitali, mentre il gap si riduce con riferimento alle attività e competenze digitali (figura 2).

Figura 2: “Utilizzo di strumenti digitali”, “Attività digitali” e “Competenze digitali” per macro gruppo professionale

Manifattura e servizi, e macrogruppi professionali, differiscono anche per il contenuto di “routinarietà” delle mansioni svolte: nel settore manifatturiero il livello complessivo di routinarietà è superiore (5%) a quello dei servizi. Le professioni ‘low-skills’ sono anche caratterizzate da un maggior contenuto di routinarietà – sia di tipo manuale che cognitivo.

I diversi livelli di digitalizzazione sono legati alle dinamiche dell’occupazione?

La figura 3 permette di esplorare questo aspetto (anche se in modo puramente descrittivo) mostrando i tassi di variazione dell’occupazione nel periodo 2011-2016 nell’industria manifatturiera e nei servizi e secondo il livello di digitalizzazione delle professioni. In questo caso, il livello di digitalizzazione è calcolato sulla base dei quantili della distribuzione dell’indicatore relativo all’utilizzo di strumenti digitali (nel paper, da cui questa nota è tratta, lo stesso esercizio è svolto per gli indicatori di competenze ed attività digitali). Le professioni sono quindi suddivise in tre gruppi principali: ‘Low Digital Use’, corrispondente a quelle professioni il cui punteggio digitale è inferiore al 25% della distribuzione del punteggio digitale; ‘Medium Digital Use’, cioè quelle che si trovano al centro della distribuzione, tra il 25% e il 75%; ‘High Digital Use’, quelle al di sopra del 75%. Nel settore manifatturiero le professioni classificate come ‘Medium Digital Use’ hanno subito forti perdite di posti di lavoro nel periodo 2011-2016, mentre nei settori dei servizi l’occupazione è cresciuta soprattutto tra le professioni meno digitalizzate (oltre il 5%). La forte espansione dei posti di lavoro a bassa digitalizzazione nel settore terziario potrebbe essere collegata alla rapida crescita in Italia dei servizi a basso contenuto innovativo e a basso valore aggiunto.

Figura 3: Variazione dell’occupazione per livello di digitalizzazione (“Uso di strumenti digitali”) e macro settore (2011-16)

Il quadro cambia notevolmente quando si analizza la variazione dell’occupazione rispetto al contenuto digitale delle professioni in termini di competenze digitali. La figura 4 sembra configurare, nel caso dei servizi, un processo di polarizzazione: cresce l’ occupazione dei profili professionali con un alto e con un basso livello di competenze digitali. Nella manifattura, invece, il premio occupazionale si registra esclusivamente per le professioni con un elevato tasso di competenze digitali.

Figura 4: Variazione dell’occupazione per livello di digitalizzazione (“Competenze Digitali”) e macro settore (2011-16)

I risultati di questo lavoro possono quindi essere così sintetizzati:

  1. la routinarietà delle mansioni e la digitalizzazione dei processi produttivi non sembrano procedere in parallelo. Al contrario, appaiono essere legati da un rapporto inverso, e questo può essere spiegato dal fatto che la digitalizzazione è più intensa tra le professioni altamente qualificate, che sono anche quelle meno routinarie;
  2. le relazioni che collegano la digitalizzazione e la routinarietà con le dinamiche dell’occupazione sono complesse e differiscono tra manifattura e servizi. Ciò che emerge chiaramente è che le maggiori opportunità occupazionali si registrano tra le professioni caratterizzate da più elevate competenze digitali (anche se questo vale solo nel settore manifatturiero) mentre le professioni caratterizzate da un alto livello di digitalizzazione e di routinarietà sono più esposte al rischio di ridimensionamento. Entrambi i risultati sono confermati dall’analisi econometrica presentata nel paper. In particolare,le stime econometriche mostrano che le professioni caratterizzate da un uso intenso di strumenti digitali, dall’espletamento prevalente di attività digitali nonché da un forte grado di routinarietà delle mansioni svolte, sono le più penalizzate in termini occupazionali.

Valeria Cirillo, Rinaldo Evangelista, Dario GuarascioMatteo Sostero

20/5/2019 www.eticaeconomia.it

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