Diritti che fanno la differenza
Il centro del dibattito pubblico, tra molti temi sensibili che emergono in questo momento storico oggettivamente straordinario, il disegno di legge Zan riporta l’attenzione sulla questione delle disuguaglianze ancora esistenti nell’effettivo esercizio di alcuni diritti civili fondamentali. La commissione Giustizia del Senato si è espressa giorni fa respingendo la richiesta di una lettura congiunta ad una versione alternativa, da molti definita meramente ostruzionistica, avanzata da Forza Italia e Lega ed il testo del ddl, approvato dalla Camera nel novembre scorso, procede quindi nel suo percorso verso l’esame del Senato.
Con il ddl Zan si intende introdurre una specifica tutela delle vittime di atti discriminatori e violenti per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere o sulla disabilità. Tale tutela si persegue, oltre che con l’istituzione di una giornata nazionale dedicata ad iniziative pubbliche dirette alla prevenzione delle discriminazioni, attraverso la promozione di una cultura del reciproco rispetto, principalmente con l’ampliamento del perimetro applicativo degli attuali articoli 604 bis e 604 ter del c.p., collocati, in virtù del d.lgs. n. 21/2018, nella sezione dedicata ai delitti contro l’eguaglianza.
Nelle condotte discriminatorie considerate rilevanti rientra, ad oggi, ogni azione volta alla esclusione, restrizione o preferenza basata su razza, colore, religione, nazionalità o origine etnica, che abbia lo scopo di ledere il riconoscimento o l’esercizio, in condizioni di parità, dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, in campo politico, economico, sociale e culturale, o in ogni altro settore della vita pubblica.
Alle suddette condotte si andrebbero ad aggiungere le previsioni contenute nel ddl Zan e che rientrano a pieno titolo negli atti incompatibili con i principi di uguaglianza formale e sostanziale, nonché di pari dignità sociale, sanciti dalla Costituzione.
Il ddl in argomento non regolamenta la transizione di genere, non autorizza la gestazione per conto d’altri, non mira a cancellare le questioni ancora aperte in tema di tutela delle donne e dell’infanzia, né contiene norme tese ad introdurre nella società una cosiddetta “ideologia gender”, prevedendo invece interventi contro azioni discriminatorie e violente, essenzialmente attraverso la promozione di una laica cultura del rispetto e dell’inclusione, in attuazione di quanto già espresso dall’art. 3 della Costituzione: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese».
In alcun modo la differenza tra gli esseri umani, su qualsiasi
elemento tale differenza sia basata, può autorizzare atti che
danneggiano, o comunque mettano in pericolo altri esseri umani, anche
attraverso l’incitamento all’odio; così come va considerato che il
rispetto della pari dignità umana non implica affatto una sorta
d’obbligo di adeguamento uniforme del pensiero.
Nel testo del ddl Zan il pluralismo delle idee e la libertà
d’espressione vengono anch’essi tutelati, peraltro rappresentando già
valori costituzionali fondamentali, in un impianto normativo complessivo
che mira però ad ottenere che, nel bilanciamento tra pretese giuridiche
apparentemente contrastanti, la libertà d’espressione non possa
arrivare ad essere utilizzata come legittima giustificazione per atti
offensivi dell’identità personale o più manifestamente violenti.
Il proliferare di commenti sui vari canali mediatici, a favore o contro l’approvazione del ddl Zan, non fa che confermare la necessità di un continuo confronto sui temi dei diritti civili, spesso ritenuti non immediatamente “utili” alla società, soprattutto in periodi storici di grande emergenza e crisi come quello che stiamo vivendo. Tuttavia è dietro l’angolo il rischio dello scontro improduttivo, soprattutto se ci si limita solo alle questioni definitorie sui concetti coinvolti nel testo normativo, perdendo così di vista l’obiettivo del migliore e più efficace perseguimento possibile della identità personale e dei diritti fondamentali che la includono.
L’impresa è complessa e non solo di natura giuridica; la cultura non si cambia per legge, ma tutti potremmo giovarci della promozione di un’umanità permeata di rispetto, di solidarietà e di capacità d’inclusione, anche perché contrastare discriminazioni e violenze di qualsiasi forma, certamente non solo quelle basate sull’orientamento sessuale in senso lato, comporta un maggiore avvicinamento alla meta ideale dell’eguaglianza costituzionale.
Non abbiamo l’obbligo di indossare tutti la stessa giacchetta, né tanto meno l’imposizione di scelte uniformi nella sfera della vita privata, ma sentiamo invece l’esigenza che venga rispettata l’uguale e pari dignità giuridica di ogni essere umano all’interno della collettività, quale base necessaria per la piena realizzazione del singolo individuo, che non ammette alcuna forma di violenza motivata dalla diversità.
Gabriella Milea
Avvocata, esperta di diritto costituzionale
14/5/2021 https://left.it
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