Scuola e adolescenti. Disabilità in costante aumento?

Era ora che una rivista di grande prestigio e diffusione come Tuttoscuola affrontasse uno dei nodi più critici e sconvolgenti del panorama scolastico italiano degli ultimi vent’anni: l’aumento delle neurodiagnosi di disabilità. Siamo su numeri davvero imbarazzanti: 277.840 nell’anno in corso (2021) su una popolazione di 7.407.312, ossia circa il 3,8 per cento degli alunni ha o avrebbe disabilità, finendo sotto il cappello della Legge 104 e pertanto necessita dell’insegnante di sostegno e dell’assistente educativo. Si tratta della legge generale sulla disabilità che si usa anche per gli anziani, una legge che, in caso di basso reddito, dà diritto a un assegno e, nel caso di lavoro dipendente, a tre giorni di assenza dal posto di lavoro.

Chi sono questi alunni con disabilità? Questi 280 mila alunni/e che vivono sotto l’ombrello scolastico della disabilità? L’immaginario va alla carrozzina, l’immaginario va al bambino o ragazzo con grave deficit cognitivo; l’immaginario va – infine – al bambino Down. Dimentichiamocene. Sono in stragrande maggioranza disabilità su neurodiagnosi riguardanti stati emotivi o psicoemotivi e stati comportamentali. Si tratta di sigle che cominciano a entrare nell’immaginario collettivo: ADHD che la vulgata traduce in ipercinetismo; DOP per il disturbo oppositivo provocatorio; specialmente, negli ultimissimi anni, il boom dell’ASD, il cosiddetto spettro autistico, anch’esso su base emotiva e comportamentale. In altre parole, sono bambini, ragazzi, alunni che non si presentano in maniera molto dissimile da tutti gli altri, non hanno subito traumi alla nascita, ma si comportano “male”. Le loro emozioni sono eccessive, hanno reazioni parossistiche, il grado di adesione alla vita scolastica è basso, a volte molto basso. Nel giro di un tempo abbastanza rapido (dieci-quindici anni), nella scuola italiana è scomparso l’alunno cosiddetto “difficile”. Tutti gli insegnanti che hanno lavorato negli anni Settanta-Novanta ne avevano uno in classe: complicato da gestire, che provocava, che non seguiva alla lettera le attività proposte, che disturbava i compagni e che interveniva mentre l’insegnante stava spiegando, o tentava di farlo. Insomma, un soggetto un po’ terribile, una specie di Lucignolo. A un certo punto, questi monelli non sono più stati tollerati, non tanto sotto il profilo disciplinare, ma sotto un altro profilo: il loro comportamento “trasgressivo” non è più stato considerato un disturbo all’attività scolastica, ma un disturbo in quanto tale, ossia una malattia, altrimenti detta “disturbo neuropsichiatrico”. Ribaltando quindi la percezione del bambino da “alunno che disturba” ad “alunno che ha un disturbo”.

Ed ecco che tanti genitori si sentono raggiungere dalla frase “Fatelo vedere…”. E non si tratta di farlo vedere dal pediatra, bensì dal neuropsichiatra infantile, ovvero da colui che studia, cerca e cura le malattie mentali.

Ritengo che sarebbe molto più utile indagare quale educazione ricevono questi alunni. I genitori devono prendere in continuazione decisioni educative: andrebbero preparati, andrebbero date loro informazioni al riguardo, meglio se appena escono dai reparti di maternità. La mancanza di informazioni pedagogiche attendibili sta compromettendo l’educazione dei nostri figli e la situazione viene risolta stabilendo che sono malati.

Daniele Novara

18/9/2002 https://comune-info.net

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