Disabilità. Lettera (mai scritta) al marito che ha scelto la “dedizione dell’essere indispensabili”
“Uomo mio, la gente non sa cosa vuol dire vivere con una donna che ha sempre bisogno di te”: inizia così la lettera di Barbara Garlaschelli al marito: una lettera che è una dichiarazione d’amore oltre ogni limite e difficoltà, forse scritta di getto e pubblicata, poche ore fa, sulla pagina Facebook della scrittrice. Una donna che “ha bisogno”, appunto, “non solo perché è innamorata – spiega – ma perché non può compiere la maggior parte delle azioni da sola”. E’ la condizione che la stessa scrittrice vive e che il suo uomo ha scelto di condividere, senza per questo diventare un santo, né un eroe, né un badante.
“La gente non sa cosa vuol dire vivere con una donna così – continua Garlaschelli – che di mestiere fa la scrittrice e, quindi, è mossa da venti contrari e impetuosi che la portano a essere un giorno felice come una bambina e un altro triste come un’orfana. Non lo sanno – e a te poco importa perché l’hai scelta e la ami. Ma a me importa, eccome”.
Così, questa particolare storia d’amore e di condivisione, Garlaschelli ha voluto ritrarla in poche efficaci pennellate, da consegnare ai suoi lettori, “perché spesso si pensa a chi ha una disabilità ma non a chi gli vive accanto. E se ci pensa lo trasforma in un santo, o in un infermiere, o in uno strano essere ossessionato da qualche turba mentale. Ma io so, io ti vedo e ti vivo ogni giorno. Io vedo i tuoi occhi che cambiano espressione quando sto male, o sono felice, o sono malinconica. Vedo le tue mani prendersi cura di me, in ogni piccolo gesto, in ogni piccola e grande esigenza”.
Innamorarsi è una “non scelta”, ma restare insieme è una scelta, per l’uno e per l’altra, che se “io non posso camminare per fato, tu non ti allontani per scelta. Ma non è un sacrificio, mi dici, è la mia vita con te. Mi hai sempre detto che il tuo innamorarti di me è stata una non scelta. E forse tutti gli amori lo sono, delle non scelte. Ci ritroviamo innamorati, e basta. Come un’infreddatura o una vincita al lotto. O un fiore che raccogliamo senza pensarci. O quando guardiamo il mare e ci sentiamo bene. Accade, nient’altro. Poi si diventa due, si perde l’unicità che ci ha reso indipendenti e forti fino a poco prima e abbiamo l’altro affiancato a noi, separato ma indispensabile”.
E c’è qualcos’altro che la “la gente non sa”: è la “dedizione dell’essere indispensabili, perché viviamo in un mondo in cui si ripete sempre la frase ‘tutti necessari ma nessuno indispensabile’. Sembra una frase vera e invece è solo cinica ed esprime il terrore del bisogno di un altro per sentirsi completi, qualunque cosa essere completi significhi e comporti. Ognuno lo è a modo suo. Io lo sono con te – assicura Garlaschelli – anche quando deraglio, o lo fai tu. Perché anche questo accade stando insieme, amandosi. Ma io i tuoi occhi su di me, sulle mie fragilità li sento sempre. Come sulle mie invincibili battaglie. Tu ci sei. E io ci sono, non perché non potrei fuggire – chi lo dice che non potrei farlo? Sono mille le vie di fuga e non richiedono gambe buone per essere percorse. Io ci sono perché ci sei tu. Siamo comici? Teneri? Ridicoli? – domanda e provoca, infine. Garlaschelli – E a noi che importa? Sono nostre le ore, il cielo, il mare, i segreti, le parole, i silenzi. Nostri, uomo mio. Teniamoci stretti”.
23/8/2018 www.redattoresociale.it
Foto: Paola Cominella |
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