Disoccupazione tecnologica. C’è chi ne gode. > Un articolo su La Stampa di Torino magnifica un futuro di ulteriore disoccupazione per milioni di persone fuori dai progetti di impiego senza manodopera umana. Che fine faranno le persone di scarsa specializzazione, magari anche over-30 o 40enni, impossibili da “reinventare” come “creativi” dell’informazione o della finanza? Che fine faranno i loro figli? A lorsignori e ai loro pennivendoli non importa, può e deve importare solo ai diretti interessati solo se saranno protagonisti di una lotta di classe, ad oggi dichiarata unilateralmente solo dai capitalisti e dai loro governi.
L’evoluzione è inarrestabile. E chi prova a contrastarla cercando di fermare il tempo è destinato a essere travolto. Lo spiegava benissimo Marx a gente come Ned Ludd, che pensava – in buona fede – che il problema fossero le macchine e non il capitalismo.
Ma il problema resta sempre quello: chi governa l’evoluzione ne trae anche i vantaggi. Se questo avviene secondo le regole dell’appropriazione privata, ci saranno ricchi più ricchi e più disoccupazione. Se avvenisse secondo le regole dell’organizzazione sociale partitaria – o socialista che di si vuole – avremmo una diminuzione del tempo di lavoro pro capite.
Ideologia? No, una semplice constatazione che si può fare con le tabelline aritmetiche. Ma se vogliamo parlare di ideologia come dovremmo definire questo titolo del giornale della Fiat, La Stampa?
Buona notizia: i robot ci rubano il lavoro
Ricerca inglese, solo in quel Paese 10 milioni di posti in meno. Ma sono quelli meno pagati e più ripetitivi
L’articolo di Vittorio Sabadini spiega al lettore preoccupato che “In un paese che ha 30 milioni di persone occupate sembra a prima vista una brutta notizia, ma non è così”. Senza voler togliere credibilità a mr. Sabadini, la sua rassicurazione non ci può (e non vi deve) bastare.
Spiega che un rapporto elaborato dalla prestigiosa università di Oxford e dalla società di consulenza contabile Deloitte è arrivato all’esame del governo Cameron, convincendo l’esecutivo a predisporre adeguati piani formazione scolastica perché “i giovani” possano essere preparati ai mestieri del futuro.
Si parte dalla constatazione che “I vecchi lavori più a rischio sono quelli oggi pagati peggio, che danno un reddito omgeriore alle 30mila sterline (38mila euro) annue. I posti più sicuri sono quelli retribuiti oltre le 100mila sterline, quelli cioè che richiedono competenze creative e specializzate: le macchine non replicano ancora il pensiero umano, anche se spesso sono molto più vicine a farlo di quanto si creda”. Il regno di Bengodi del futuro è servito! Basta con quei lavori puzzolenti e faticosi per quattro soldi! Preparatevi a guadagnare molto di più…
Un ragazzo – inglese o italiano o tedesco – che si sta guardando oggi intorno vede un panorama assai diverso. E anche chi può vantare “competenze creative e specializzate” (dall’informatica all’ingegneria, dalla chimica alla medicina) si aggira tra isole di precarietà dove un salario decente è un miraggio. C’è puzza quindi di presa per il culo, o quantomeno di eccessivo entusiasmo di mr. Sabadini per la fonte che gli va spiegando la ricerca. Fossimo in lui, guarderemmo invece con preoccupazione a quello che sta avvenendo nel suo stesso mestiere – il gornalismo – dove gli “assunti davvero” diminuiscono velocemente di numero e i nuovi collaboratori sono pagfati a cottimo, pochi euro al pezzo…
Proseguiamo, comunque. “A essere cancellati saranno i lavori più ripetitivi: chi lavora nei trasporti, nelle costruzioni, alle vendite, nelle aministrazioni, nelle miniere e nel settore dell’energia”. L’elenco è ovviamente incompleto (un articolo di giornale ha uno spazio limitato), ma sufficiente a far capire che il lavoro manuale e quello tecnico-amministrativo seriali sono morti e sepolti. Pochi giorni fa a Roma è stata aperta la linea C della metropolitana, che viaggia senza più i macchinisti. Gli impiegati-ragionieri esperti nell’elaborazione delle buste-paga sono stati da tempo ridotti al minimo, “grazie” al software dedicato. Potremmo andare avanti all’infinito.
Chi potrà invece mantenere una prospettiva lavorativa positiva? “Chi è impiegato nella progettazione e gestione del computer, nell’arte, nei media, nella legge, nell’educazione, nella sanità e nella finanza”, risponde mr. Sabadini seguendo le indicazioni del rapporto. Anche qui noi vediamo un panorama, presente e futuro prossimo, un po’ diverso. Molta gente esperta di computer fatica a sbarcare il lunario, e molti negozi – e addirittra catene commerciali nazionali – vanno chiudendo i battenti. Nella sanità i tagli all’area pubblica sono tali (e progressivi) da far escludere qualsaisi aumento dell’occupazione; mentre quella privata offre servizi a prezzi tali che ben pochi “clienti” possono permettersi di ricorrervi. E poi: chi non conosce legioni di artisti squattrinati si faccia avanti; così come chi non conosce eserciti di laureati in “scienza della comunciazione” che non vadano inutilmente questuando per le redazioni dei giornali (si rivolgono persino a Contropiano!).
Ma ammettiamo pure che l’elenco “positivo” di mr. Sabadini sia corrispondente al futuro vero. E che quindi si possa paragonare l’attuale fase di “rivoluzionamento” dell’organizzazione del lavoro industriale (compresa ovviamente tutta la parte tecnica, amministrativa e informativa) a quella che ha fatto spostare l’80% della popolazione dalle campagne alla città. Qui mr. Sabadini fa parlare tale Wim Worstall, di Forbes, che con altrettanto entusiasmo fa il paragone e spiega che “quei posti di lavoro (nell’agricoltura, ndr) non sono andati persi, ma se ne sono creati ancora di più in settori completamente nuovi. Ha ancora senso impiegare esseri umani per scavare buche nelle starde, piantare patate e mietereil grano? Meglio fare cose più interessanti”. Certamente. Per esempio, lavorare a Forbes…
La domanda che ci punge la lingua è semplice: quanti posti di lavoro sono effettivamente creabili in questi settori “completamente nuovi”? E in quanti anni? Quei dieci milioni di persone che nei prossimi dieci anni perderanno il lavoro (solo in Gran Bretagna, alcune centinaia nel mondo), dunque la possibilità di sopravvivere in un mondo competitivo, che fine faranno? Sono certamente persone di scarsa specializzazione, magari anche over-30 o 40enni, impossibili da “reinventare” come “creativi” dell’informazione o della finanza. Che fine faranno i loro figli, che certo non potranno essere mandati nelle università che preparano a quei “mestieri del futuro” (le rette aumentao dappertutto, specie in Gran Bretagna, sollevando proteste e manifestazioni studentesche)?
Mr. Sabadini, pudicamente, non ne parla. Perché non lo sa; e neanche il rapporto oxfordiano, tantomeno i suoi interlocutori.
E’ facile disegnare scenari disneyani parlando di numeri, un po’ meno spostando persone in carne e ossa. La disoccupazione tecnologica è qui, e aumenterà a dismisura. I “nuovi lavori” non potranno coprire la disoccupazione crescente per due motivi sostanziali.
Il salto reso possibile dalla “informatizzazione integrale della produzione” non è neppure paragonabile, per quantità di lavoro umano risparmiato, alla “meccanizzazione dell’agricoltura” (che è fenomeno di questo dopoguerra, non di “due secoli fa”). Le dimensioni della “liberazione dal lavoro” sono perciò di dimensioni colossali. E non ci sembra realistico un futuro fatto di decine di milioni di informatici, avvocati, artisti, finanzieri, infermieri, ecc.
La seconda ragione è più immediata. Se anche questa “sostituzione” fosse realistica sui tempi medio-lunghi, in ogni caso gli addetti ai “vecchi mestieri” – che non sono affatto, in genere, anche “lavoratori anziani” – non saranno riciclabili nei nuovi. E l’arco della vita umana è indubbiamente più lungo dei tempi di applicazione della tecnologia alla produzione.
Tutto ciò, almeno, finché vivremo all’interno di un modo di produzione “privatistico”. E quindi diventa un’ottima ragione reale per parlare di socialismo possibile. O di catastrofe umanitaria “secolare”…
Dante Barontini
12/11/2014 www.contropiano.org
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