Donne acrobate tra lavoro e famiglia: costrette al part time e non tutelate
I dati del Censis: Boom del part time involontario per le donne: +91,6% dal 2008. Sfatato il mito del part time come libera scelta delle donne che vogliono dedicare più tempo alla famiglia. In Italia sono 3.105.000 le donne che hanno un lavoro a tempo parziale, il 32,6% delle occupate. Ma per 1.817.000 di loro (più della metà: il 58,5%) si tratta di un part time involontario, che hanno dovuto accettare per la mancanza di offerte di lavoro a tempo pieno. Più in generale, dal 2008 a oggi le donne che hanno scelto liberamente il part time sono diminuite del 20,9%, mentre il part time involontario ha registrato un incremento del 91,6%. Ad evidenziarlo è il Censis, che ha pubblicato il 7 marzo un report sulla situazione femminile nel nostro paese, in occasione dell’8 marzo.
Quella del lavoro part time, tra l’altro, è una situazione che ci differenzia dagli altri grandi Paesi europei: siamo al terz’ultimo posto in Europa, seguiti solo da Cipro e Grecia. In Germania le donne costrette al part time per mancanza di alternative full time sono solo il 12,1% e nel Regno Unito il 13,3%. È anche per questo motivo che il 23% delle donne occupate italiane ha come priorità quella di cambiare lavoro e il 27,6% dichiara di avere bisogno di integrare il proprio reddito con un secondo lavoro o con qualche lavoretto.
L’accesso delle donne al mercato del lavoro: ultimi in Europa. Con un tasso di attività femminile fermo al 55% l’Italia si colloca all’ultimo posto nella graduatoria dei Paesi europei. Al primo posto c’è la Svezia, con l’80,5%. In Germania il tasso di attività femminile (la somma delle donne occupate e di quelle che cercano lavoro) arriva al 73,5%, nel Regno Unito al 72,2%, in Spagna al 69,2%, in Francia al 67,6% e la media europea si attesta al 67,3%. Siamo penultimi in Europa per il tasso di occupazione femminile, che in Italia è pari al 48%, migliore solo di quello della Grecia (43,4%) e lontanissimo dal primo Paese, la Svezia (74,9%). In Germania il tasso di occupazione femminile è al 70,6%, nel Regno Unito al 68,6%, in Francia al 61%, in Spagna al 54,1% e la media europea è del 61,2%. Nel nostro Paese si registra quindi un forte “gender gap” nell’accesso al mercato del lavoro: la differenza tra il tasso di occupazione maschile e quello femminile è di 18,4 punti percentuali. Peggio di noi solo Malta, con 25,6 punti, e siamo ancora lontanissimi da Paesi come la Finlandia, dove la differenza è di appena 2,8 punti, e la Svezia, con 2,7 punti. In Francia la differenza di genere tra i tassi di occupazione è solo del 6,6%, in Germania del 7,7%, nel Regno Unito del 9,6%, in Spagna del 10,5%, con una media europea del 10,5%.
Il tasso di disoccupazione femminile in Italia è del 12,6%, ancora lontano dalla media europea (8,8%) e soprattutto dal 3,9% della Germania e dal 4,8% del Regno Unito. Colpisce ancora di più la percezione che le donne italiane hanno della loro condizione lavorativa: sono quelle che in Europa avvertono le minori possibilità di ascesa professionale. Solo il 23% pensa che il proprio lavoro offra concrete opportunità di fare carriera (siamo all’ultimo posto in Europa).
Tutta colpa del Mezzogiorno. Nelle regioni del Centro-Nord tutti i dati riferiti al mercato del lavoro non sono distanti da quelli dei Paesi europei più avanzati. Nel Mezzogiorno invece la disoccupazione femminile è al 21,7%, le donne attive arrivano appena al 40,6% e il tasso di occupazione è solo del 31,7%. Le 10 province italiane più virtuose, che offrono maggiori opportunità lavorative alle donne, sono tutte nel Centro-Nord. Al primo posto si trova Bolzano, con un tasso di occupazione al 64,3%, poi Bologna (63,5%), Firenze (62,5%), Belluno (62,0%) e Pisa (61,7%). Chiudono la graduatoria le province di Caltanissetta, dove il tasso di occupazione femminile precipita al 22,5%, Caserta (24,1%), Barletta-Andria-Trani (24,3%), Agrigento (24,4%) e Napoli (24,9%).
Donne acrobate tra lavoro e famiglia. In una giornata media, la durata del lavoro retribuito nel caso degli uomini è di 4 ore e 39 minuti, corrispondenti al 19,4% del tempo totale disponibile, mentre per le donne è di 2 ore e 23 minuti, pari al 9,9%. La cura personale è la stessa (il 46,4% del tempo per le femmine, il 46,2% per i maschi). Gli uomini hanno più tempo libero: il 19,9% della giornata, il 16,1% per le donne. Mentre al lavoro familiare ogni donna dedica una media di 5 ore e 13 minuti al giorno (il 21,7% del totale), cioè il triplo degli uomini (solo 1 ora e 50 minuti, cioè il 7,6% del totale). In altre parole, se si somma il tempo dedicato al lavoro a quello preso dalle attività familiari, le donne sono impegnate per una media di 7 ore e 36 minuti al giorno: ben più delle 6 ore e 29 minuti degli uomini. Le più impegnate? Le donne con più di 50 anni, quelle che alla cura dei figli ancora piccoli aggiungono la necessità di accudire genitori anziani sempre meno autosufficienti.
Un lungo percorso di emancipazione, ma non basta. Molto è stato fatto nel nostro Paese per promuovere le pari opportunità. Nel 1951, all’indomani dell’approvazione della Costituzione, che all’art. 3 sancisce il principio della parità di genere, le donne rappresentavano solo il 31,5% dei laureati nell’anno. Dieci anni dopo, nel 1961, non si registrava nessun progresso (31,6%). Ma poi è iniziato il lungo percorso di emancipazione femminile, che ha portato il numero delle laureate a superare abbondantemente quello dei laureati: nel 2016 le donne rappresentano il 55,6% del totale. E i progressi ci sono stati anche sul fronte del lavoro. Nel 1977, l’anno dell’approvazione della normativa sulla parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro, il tasso di occupazione femminile era del 33,5% e quello maschile del 74,6%.
Per le donne lavori meno qualificati e stipendi più bassi. Ancora oggi però le donne continuano ad avere difficoltà a conquistare le posizioni professionali più qualificate e remunerative. Soprattutto nel settore privato il “gender pay gap” è elevato: a parità di ruolo percepiscono stipendi inferiori a quelli degli uomini. Nelle strutture pubbliche, dove lo stipendio orario lordo di una donna è di 19,8 euro e quello di un uomo di 20,6 euro, il divario è solo del 3,7%. Nel privato invece lo stipendio delle donne è mediamente di 11,8 euro lordi l’ora contro i 14,7 euro degli uomini, con un gap salariale pari al 19,6%. Al crescere della qualifica professionale aumenta la retribuzione, ma aumenta anche il gap retributivo: tra i dirigenti il differenziale tra uomini e donne arriva al 38,7%.
Agenzia Redattore Sociale
8/3/2017
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