Donne al centro della ripartenza
Contrariamente a quanto sembrano suggerire le statistiche, non ci sono dati certi che supportino l’ipotesi che le donne siano state meno colpite degli uomini dal virus Covid19. Il dato statistico, vero, secondo cui le vittime del virus fossero principalmente uomini anziani con patologie pregresse ha alimentato l’erronea – o, almeno, non del tutto corretta – convinzione che le donne e i bambini sarebbero stati meno colpiti dalla malattia. In realtà, i dati devono sempre essere interpretati e letti alla luce di un determinato contesto, altrimenti la loro interpretazione può risultare fuorviante.
Nei fatti, non solo il Covid19 ha colpito duramente le donne influenzando in modo diretto la loro salute, ma ha avuto molte conseguenze indirette. Prima tra tutte quella di limitare l’accesso e i servizi – come ad esempio le vaccinazioni – erogati normalmente dal sistema sanitario a favore di questa categoria soprattutto nei paesi in via di sviluppo.
Situazione analoga si era verificata dopo l’epidemia di Ebola nel 2015, nei paesi dell’Africa sub-sahariana, dove si è registrato un aumento della mortalità materna e infantile non legato direttamente all’epidemia, ma dovuto al fatto che l’accesso alle strutture sanitarie è stato limitato per ragioni di prevenzione e le donne stesse non si sono rivolte agli ospedali, identificandoli come epicentro della malattia. Quindi un problema legato non solo alle misure di prevenzione messe in atto dai vari governi e ma anche alla percezione del rischio da parte delle donne. Inoltre, la mancanza di medicine e vaccini, ha comportato un aumento di altre malattie croniche e infettive, altrimenti prevenibili e curabili, come il morbillo.
Secondo le proiezioni attuali di Oms e Unicef, nel breve/medio periodo si stima un possibile incremento della mortalità materna e infantile non dovuta direttamente a Covid19, ma legata ad altre malattie come avvenuto per la SARS.[1] Importante dire che questo aumento non sarà immediato, ma verrà registrato in anni. Le stime dell’Unicef parlano già di 6.000 bambini sotto i cinque anni deceduti durante il periodo del Covid19 che potrebbero arrivare a 1,2 milioni in un anno. L’aumento della mortalità nei bambini è stimato al 9,3% mentre quello della mortalità materna al 8,3%.
Violenza domestica, la pandemia ombra
Inoltre, la pandemia ha avuto altre ripercussioni sulla salute di donne e bambini. Secondo l’ultimo report di UNWomen, le misure di lockdown e distanziamento sociale hanno aumentato gli episodi di violenza domestica. Richieste di aiuto sono aumentate esponenzialmente in tutti i paesi – da quelli più sviluppati come Stati Uniti e Australia a quelli più poveri come Brasile e Messico – e i rifugi per le vittime – quelli rimasti aperti nonostante il lockdown – hanno raggiunto la capienza massima.
Per far fronte a questo problema, alcuni paesi come la Francia hanno offerto rifugio alle donne presso le stanze d’albergo o altre strutture attualmente non in uso – come suggerito anche dalla Hawaii State Commission nel Feminist Economic Recovery Plan. Paesi come l’Argentina e l’Uruguay hanno posto in essere misure preventive per le vittime di violenza sin dall’inizio del lockdown, come la creazione del programma Barbijo Rojo che consente alle donne di entrare in farmacia e chiedere per una mascherina rossa, un messaggio in codice, per lanciare l’allerta. Brasile e Colombia si sono mobilitati per rafforzare l’accesso per le donne a supporti di assistenza legale, psicologica, e di accesso alla giustizia tramite servizi virtuali.
Da sottolineare che questi episodi di violenza, secondo i dati raccolti dalla Banca Mondiale, hanno interessato anche le donne impiegate in prima linea, quale il personale sanitario, che durante l’emergenza sono risultate facilmente attaccabili come effetto indiretto della situazione di confinamento sociale e crisi economica.
Per quanto riguarda i bambini, oltre alle difficoltà create dal clima di violenza, la chiusura delle scuole ha rappresentato un ulteriore problema, privando i bambini dell’essenziale dimensione della socialità e di una routine fondamentale per l’equilibrio mentale.[2] Secondo un primo studio pubblicato dal The Lancet effettuato a Whuan, epicentro del contagio e primo paese a sperimentare il lockdown, circa il 30% degli adolescenti riporta sintomi simili a disturbo post-traumatico. Quindi gli effetti sociali ed economici sono molto importanti da considerare, soprattutto nel lungo periodo.
Misure per il rilancio
L’attenzione sollevata a livello internazionale sugli impatti sproporzionati che la pandemia rischia di produrre nei confronti di donne e bambini ha avuto sicuramente il merito di sottolineare il ruolo chiave che le politiche pubbliche devono assumere nella fase di ripartenza.
La situazione italiana, come rilevato dal comitato di esperti guidato da Vittorio Colao, ha messo in luce il persistere di un “elevato livello di diseguaglianze di genere, sociali e territoriali” unitamente a un “basso tasso di partecipazione femminile al mercato del lavoro” tra le fragilità strutturali che si perpetuano intaccando la capacità di resilienza del nostro paese. Analisi che non può esimersi dall’includere il progressivo disinvestimento della politica istituzionale degli ultimi decenni, come illustrato dal progressivo svuotamento della funzione delle consigliere di parità, unitamente al persistere di una ingiustificata e ingiustificabile disparità di genere nei ruoli istituzionali e dirigenziali. Assenza femminile resa inesorabilmente visibile dalla composizione delle compagini istituzionali che si sono alternate nella fase emergenziale.
Spiccano dunque nel piano per la ripartenza delineato dal comitato una serie di raccomandazioni che mirano a definire una strategia volta a promuovere la “parità di genere e l’inclusione” tra gli “assi di rafforzamento” per il futuro del nostro paese.
Attraverso un approccio di implementazione graduale le iniziative mirano a diminuire le discriminazioni e le diseguaglianze attraverso lo sviluppo di un welfare inclusivo e il sostegno del benessere degli individui e delle famiglie, con strumenti mirati per la protezione dei minori. Nello specifico, per quanto riguarda bambini, ragazzi e giovani, il comitato ha concentrato l’attenzione sulle fasce maggiormente esposte, formulando interventi puntuali per proteggere i minori in condizioni di povertà e/o vittime di violenza. Le misure includono la creazione della l’istituzione della “dote educativa” – da utilizzare all’interno di un piano educativo di sostegno personalizzato – unitamente a molteplici misure di carattere generale che invocano il moltiplicarsi di programmi per il supporto psicologico per le famiglie e le persone vulnerabili.
Per le donne vittime di violenza nello specifico viene suggerito: l’istituzione del reddito di libertà, l’accompagnamento all’inserimento nel mondo del lavoro ed il rafforzamento del numero dei centri anti-violenza.
Il ruolo delle donne nella ripartenza
Una peculiare attenzione merita il capitolo sulla promozione della parità di genere che declina specifiche misure per incrementare l’occupazione femminile “nel settore dei servizi di cura e sanitari”, unitamente a riproporre tradizionali meccanismi di inclusione, quali le “quote di genere”, per assicurare la presenza femminile a livelli dirigenziali. Infine, specifiche misure tentano di conciliare lavoro e cura, incrementando per esempio l’accesso agli asili nido o la formulazione di servizi di welfare aziendale o pubblico.
A una prima lettura, le misure formulate seppur significative, sembrano non avere colto a pieno l’occasione di far scaturire un reale cambio di passo che consenta di superare la tendenza a relegare le politiche “di genere” al ruolo secondario di politiche “per le donne”.
Come sottolineato dal rapporto del Joint Research Center presso la Commissione europea, questa crisi dovrebbe rappresentare l’occasione per assicurare una concreta complementarietà di ruolo tra donne e uomini attraverso l’adozione di politiche di “riequilibrio” volte a garantire la coesione della società nella sua complessità. Questo non può scaturire senza una rilettura dei ruoli tradizionali di cura. Per esempio unitamente a potenziare l’accesso agli asili nido, sarebbe opportuno individuare come la distribuzione dei carichi di cura e occupazione lavorativa possa assumere una dimensione “gender-neutral”, attraverso una progressiva affermazione di ruoli di genere liberi dagli stereotipi.
Ora che il lavoro del comitato si è concluso molti, troppi interrogativi rimangono su come andare oltre e rendere la parità di genere, come sottolineato dal comitato, “per la prima volta” una priorità del nostro governo. Restiamo dunque in attesa delle deliberazioni finali, sperando che gli stati generali abbiano raccolto alcune delle istanze qui presentate.
Note
[1] Early estimates of the indirect effects of the Covid19 pandemic on maternal and child mortality in low-income and middle-income countries: a modelling study, The Lancet
[2] Mental health effects of school closures during Covid-19, The Lancet
Flavia Bustreo, Elisa Fornalè
27/8/2020 http://www.ingenere.it
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