Donne e cancro, esperienze collettive

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V.I.T.A. è un acronimo che sta per “Vivere il tumore attivamente” ed è il nome di una Associazione nata nel 1998, che opera nel Chierese (sede a Chieri e sportello a Montaldo torinese e a Castelnuovo Don Bosco). E’ rivolta alle donne operate di tumore (prevalentemente al seno ma non solo), però non esclude altre donne anche non affette da patologie oncologiche e uomini che intendano dare un supporto all’Associazione.
A mio avviso, è importante conoscere questa Associazione perché opera in vari ambiti: non solo fornisce sostegno psicologico alle socie, svolge anche opera di informazione, di prevenzione, di accompagnamento durante il “follow up”, il periodo delicato che segue l’intervento e le cure successive.
Ma non solo: organizza momenti vari di attività creative e ricreative, produttive, di socializzazione, di solidarietà.
Ho diviso pertanto questo mio articolo in tre fasi: nella prima la Presidente dell’Associazione Valeria Martano risponde alle domande di una mia breve intervista. Nella seconda, riporto sinteticamente le testimonianze di tre socie, due delle quali operate di tumore al seno. Infine, riporto la sintesi di un intervento della Presidente a un convegno, dove tratta il rapporto tra il decorso della malattia e la continuazione dell’attività per donne ancora in età lavorativa.

Prima parte: intervista

Valeria, quando è nata questa Associazione?

E’ nata nel 1998, per iniziativa di sette donne, tutte operate al seno. L’atto legale della sua costituzione risale a Luglio del 1998, quindi quest’anno l’Associazione compie 25 anni. In tutto questo tempo ha fatto un percorso sostanzioso e di tutto rispetto.
E’ nata per iniziativa di donne affette da malattia oncologica, tuttavia chiunque si può tesserare, purché ne condivida la mission. Possono tesserarsi anche uomini, non necessariamente portatori di patologie oncologiche. Bisogna dire che anche gli uomini possono essere colpiti di tumore al seno, per quanto questa eventualità si verifichi molto più di rado. Fra le donne invece la patologia ne colpisce una su otto,
per quanto siano in questi ultimi tempi di molto diminuiti gli esiti infausti, anche grazie al miglioramento delle terapie.

Quante socie attive comprende attualmente?

Comprende circa 80 persone, tra cui tre uomini, due dei quali insegnanti del laboratorio di pittura.

Quali sono le sue finalità?

La mission principale è l’accoglienza e il sostegno alle donne ammalate e alle loro famiglie. Ma si svolgono anche attività sul territorio: di promozione della salute e di prevenzione. Inoltre, si svolgono attività di educazione alla salute nelle scuole, attraverso incontri con studenti durante i quali si illustrano le dodici raccomandazioni del Codice europeo contro il cancro.
Si organizzano anche eventi per la cittadinanza, come conferenze scientifiche sull’alimentazione corretta, la prevenzione e gli stili di vita sani. Oppure eventi di intrattenimento, come concerti e spettacoli teatrali, durante i quali si diffonde materiale informativo.

Quali attività svolgete, con quale tempistica?

Le socie svolgono diverse attività. Alcune prettamente fisiche, con fisioterapiste ed esperte di scienze motorie, con ginnastica mirata appositamente per loro, per aiutarle a tenere il fisico in efficienza.
Si organizzano poi attività laboratoriali: di manualità, di pittura, di biodanza, quest’ultima molto coinvolgente. Si tengono corsi di scrittura creativa, da cui trarre poi il materiale per pubblicazioni o spettacoli teatrali. Si organizzano gite e camminate all’aperto, naturalmente rispettando i ritmi e le possibilità di ciascuna partecipante. Molto spazio si dà anche all’informazione corretta, anche per confutare la diffusione di fake news. Riguardo all’alimentazione, ci avvaliamo di esperti nutrizionisti, senza tuttavia mai imporre una qualsiasi filosofia alimentare di tipo dogmatico.
Le socie si incontrano solitamente ogni settimana, alcune attività programmate hanno invece cadenza quindicinale.

Avete rilevato dei benefici sul piano della salute?

I benefici rilevati sono molto notevoli, anzitutto sul piano fisico, per chi naturalmente può attivarsi su questo piano. Sicuri benefici anche sul piano della socialità, perché l’operare in comune e la condivisione di un progetto danno un senso molto diverso all’attività in se stessa. La motivazione ad operare cresce se si aggiunge uno scopo di solidarietà. Molte socie producono lavori all’uncinetto come scialli, sciarpe ecc. che poi saranno destinate ad altre donne ancora in cura chemioterapica, come un caldo abbraccio d’incoraggiamento.

Qual è il vostro rapporto con l’istituzione sanitaria? Soddisfacente oppure problematica?

Il rapporto con le Istituzioni sanitarie in genere è soddisfacente. Tuttavia la struttura sanitaria non può essere presente in tutte le fasi del percorso. Per esempio, il momento più delicato per queste donne è il “follow up”, cioè il momento del “dopo”, quando, effettuato l’intervento, terminata la degenza in ospedale e completato eventualmente il ciclo più immediato di cure chemioterapiche o d’altro tipo, le pazienti si trovano a dover affrontare il “dopo”. E’ qui che può subentrare il periodo del timore e dell’angoscia. La domanda interiore, che può diventare un assillo, è: sono davvero guarita? Mi capiterà ancora? Ecco, a questo punto il senso di solitudine e di vuoto può diventare tremendo. La socializzazione, la condivisione di progetti aiuta non poco a superare l’angoscia.
L’Associazione a questo punto fa da trait d’union tra le “nuove malate” ancora in follow up e le donne che ormai da tempo hanno superato il problema. Perché chi ha ricevuto, a sua volta vuole donare sostegno, consigli utili o anche solo un rapporto di vicinanza e di empatia. Si stabilisce così un circolo virtuoso. Importante però è che a questo punto l’Istituzione sanitaria legittimi l’operato della Associazione. In genere, i sanitari si fidano dell’Associazione e danno alle donne in cura il suo dépliant. Talvolta possono crearsi dei problemi di intesa reciproca e di sinergia di intervento. In genere il rapporto funziona anche se tutto è migliorabile.

Avete notato ritardi o disfunzioni del servizio nel periodo del covid?

In effetti, vi sono stati problemi di ritardi e di inadempienze. Per questo si sono attivate tre Associazioni simili che operano sul territorio: oltre alla nostra, la ANDOS (Associazione Nazionale Donne Operate Seno) di Carmagnola e l’ APS (Associazione Promozione Sociale) Donnatea di Moncalieri. Queste tre Associazioni, perseguendo gli stessi fini, si sono organizzate collegandosi insieme e hanno inviato sia alla Asl To5, sia alla Rete Oncologica lettere di pressione e di sollecitazione, in base alle segnalazioni ricevute da pazienti per controlli urgenti troppo dilazionati e per le disfunzioni relative allo screening mammografico di Prevenzione Serena. Con alcuni funzionari vi sono state anche discussioni serrate. Possiamo dire che al momento si collabora meglio. Il periodo del covid è servito per rafforzare i legami tra di noi, ovviamente per essere più interattivi e anche più insistenti con l’Istituzione sanitaria. Abbiamo, in un certo senso, imposto la nostra autorevolezza. Adesso i rapporti sono migliorati, i servizi funzionano meglio.

Seconda parte. Testimonianze

La prima testimonianza è di Andreina Rocco. Dice testualmente “Il mio è il caso più complicato. Il cancro mi è tornato per ben cinque volte. Il periodo del follow up è quello in cui si è più fuori di testa”. Poi riferisce di essere socia dell’Associazione dal 2018 e che attualmente collabora con il laboratorio di manualità. Si confezionano borse con la macchina da cucire che a lei è stata regalata per Natale.

Nel 2018 ha scritto con un’amica un libro “La borsa rossa” che racconta la vita con il cancro. Valeria ne ha corretto le bozze e tra loro è stato amore a prima vista! E’ entrata nell’Associazione. “Però – puntualizza – non fatevi un’idea sbagliata! Non è affatto un insieme di povere donne malate che se la contano sui loro guai! Certo, ci sono anche le confidenze sulle proprie emozioni, ma non è affatto un ambiente di tristezza. Io piuttosto lo definirei un alveare di persone che si danno da fare per costruire. Ci dedichiamo a tante attività. La maggior parte di noi ha sconfitto il cancro, a me è tornato per ben cinque volte. Eppure sono ancora qui, a lottare, a produrre, a chiacchierare, ma anche a divertirmi”!
Le faccio notare che, secondo me, lei è un magnifico esempio di lotta e di resistenza, un punto di riferimento fondamentale per tutte (e tutti) le altre. “Eh, certo – aggiunge sorridendo – e che vuoi fare? O piangi o dici alla bestia: vaffanculo!”.
Però aggiunge: “In ogni caso, sei sempre sulle montagne russe”.
A suo avviso, importantissimo è il laboratorio di scrittura, anche come terapia, non solo per scaricare, ma anche per fare chiarezza dentro di sé, riguardo alle proprie emozioni. Per esempio, il libro “La borsa rossa” è pieno di rabbia e di dolore, ma anche di riflessioni. Scrivere aiuta molto. Quando se ne parla, del male, fa meno paura. Però non credere, si ride anche tanto”. Poi lei stessa scoppia in una risata mentre esclama “Sembravamo l’Anonima Alcoolisti!”
E conclude: “Abbiamo continuato la nostra attività anche durante il lock down, collegandoci da remoto!”.

La seconda testimonianza è di Elena Raggio.

Lei è la referente del laboratorio di manualità. Prima della malattia, aveva un banco di frutta e verdura, ora è in attesa di pensione. “Perché – racconta – durante la malattia sono stata consigliata male dal medico che mi seguiva, così, pur dovendo necessariamente interrompere il lavoro, non ho potuto beneficiare di nessun sussidio. Purtroppo noi lavoratori autonomi
sulla salute non siamo tutelati. Però ho cercato di non abbattermi. Anche durante la chemio, passati quei due o tre giorni di malessere, tornavo a lavorare. Fino al successivo trattamento chemioterapico. Per fortuna, avevo mio marito e mio figlio che mi sostenevano, altrimenti non so come avrei fatto. Adesso mi sto pagando personalmente i contributi per la pensione, in modo da arrivare a 41 anni di servizio. Ecco, se non fossi stata consigliata male, almeno avrei potuto ottenere dei contributi per la pensione. Il fatto è che poi anche mio marito si è dovuto fermare con il lavoro, per motivi di salute. E anche in questo caso non abbiamo ricevuto nessun aiuto, siamo andati avanti con i nostri risparmi”.

Alla domanda di come sia stata seguita durante il decoroso della malattia, risponde di essere stata seguita bene, ma all’inizio ha avuto delle difficoltà. “Sentivo una massa dura al seno, ma gli esami della Prevenzione Serena dicevano che andava tutto bene. Non mi hanno convinto e a settembre ho rifatto il controllo, al Sant’Anna di Torino. Il tumore era cresciuto. Da allora sono stata seguita bene ma mi hanno detto che il tumore poteva essere nato dopo l’accertamento con Prevenzione Serena. Io ne dubito”.

Poi mi parla della sua esperienza in Associazione. “Sono venuta qui per curiosità, avendo ormai superato la malattia. Non volevo rassicurazioni superflue, però
l’Associazione mi ha gratificata perché ci occupiamo di altro, mettiamo in atto le nostre capacità. Io, come referente della manualità, ho ottenuto riconoscimenti e gratificazioni personali.
Abbiamo in progetto una collaborazione in presenza
all’ospedale di Carmagnola con donne che sono sottoposte a cure chemioterapiche. Ora portiamo loro
periodicamente omaggi confezionati da noi: sciarpe, scialli, cappellini, anche da uomo, e copertine.
La pensione dovrebbe arrivare ad agosto del 2024, ancora un annetto di contributi volontari. Però ripeto, se sei una lavoratrice autonoma durante la malattia rimani senza garanzie. Mi chiedo: e se una donna è sola, come fa a tirare avanti?”

Le terza testimonianza è di Maria Luisa Fasano.

E’ stata operata nel 1991, di lavoro faceva l’infermiera. Tramite una sua collega, infermiera di sala operatoria, anche lei ammalata di tumore e operata nel 1996, ha conosciuto l’Associazione VITA. E’ entrata a farne parte dopo essere andata in pensione. Riferisce “A quei tempi le donne che morivano di tumore erano di più. La mortalità ora si è ridotta, le cure sono notevolmente migliorate. Io sono stata fortunata perché la mia malattia è stata diagnosticata in tempo. Successivamente all’intervento, ho avuto la fortuna di non dover fare la chemio e ai controlli sono sempre risultata negativa. Quando sono stata operata, avevo 42 anni, dopo ho fatto solo controlli e mi sono rifiutata di fare la plastica ricostruttiva, che poi ho fatto solo dopo essere andata in pensione. Sono tornata a lavorare un mese dopo l’intervento e, una volta in pensione, ho continuato a lavorare da infermiera come libera professionista, ma mai in nero.
Mi piace molto questa Associazione non solo per la socialità amicale che vi si trova, conoscendo molte persone, ma anche perché dà degli stimoli molto interessanti per continuare a operare e a mettersi alla prova”.
Insomma, concludo io, il “brutto male” è ormai alle spalle, ma la vita continua e si scoprono anche nuove e inedite modalità per trascorrere il tempo, in un clima di gioiosa e fruttuosa amicizia. Grazie all’Associazione VITA!

Terza parte

Intervento di Valeria Martano su malattie tumorali e lavoro all’Istituto “Rosmini” di Torino (sede di corsi universitari di Medicina Triennale) tenuto il 12/12/2022

L’intervento si riferisce al “dopo”. Una volta effettuato l’intervento e le prime necessarie cure, che cosa succede per le donne ancora in età lavorativa?

“Il cancro al seno spesso viene diagnosticato in un tempo di vita in cui le donne ancora lavorano. Le terapie oggi permettono buone diagnosi di sopravvivenza sia a 5 che a 10 anni dalla diagnosi. E’ una malattia controllabile nella maggior parte dei casi . Ma :
a) non è facile gestire una patologia oncologica. Occorre conciliare le cure con le esigenze e le relazioni della vita quotidiana, come famiglia, lavoro, affetti, tempo libero…
b) E tuttavia la maggior parte delle donne che lavoravano prima del tumore riprendono a lavorare, quasi senza interruzioni o con pochissime.
c) Quale lavoro? la malattia spesso modifica il significato che viene attribuito al lavoro. Se prima occupava uno spazio grande, per lo più dopo la diagnosi si tende a ridimensionarlo, perché si elabora un nuovo concetto di tempo. La percezione che il tempo di vita non è più “ illimitato”, il confronto con la sofferenza e la possibilità di morire cambiano anche il significato che viene attribuito al lavoro.
d) Si aspira ad un lavoro “ sostenibile”, che non “ consumi” la vita che è data da vivere. Si comprende la necessità di un equilibrio tra lavoro e vita privata.
e) Molte esperienze mettono in luce quante difficoltà ci sono per lavorare durante e dopo il tumore, si va da demansionamenti a rinunce a licenziamenti, soprattutto per le aziende più piccole. C’è maggior tutela nel settore pubblico. C’è anche chi si è inventata un nuovo lavoro (ma poche riescono a permetterselo).
Importante è l’alleanza tra i “curanti” e le associazioni di volontariato. V.I.T.A. partecipa agli incontri del GIC (Gruppo Interdisciplinare Cure, aderente alla Rete Oncologica Piemonte) con le donne operate di recente: è l’occasione per proporre attività e percorsi di rielaborazione del vissuto, condivisione di esperienze, mutuo aiuto. Chi cura può “affidare” la donna operata all’associazione del territorio, che è valido supporto in tutto il percorso di follow up.
Il “ dopo” per una donna che ha incontrato il cancro al seno è uscire dallo tsunami che l’ha travolta e riprendere tra le mani la sua vita. La nostra associazione offre incontri- conferenze sullo stile di vita (alimentazione e movimento fisico), attività fisiche e di rilassamento, biodanza, camminate attraverso la natura della collina torinese, laboratori di manualità, di pittura, di scrittura, di lettura espressiva. Molte donne scoprono, dopo il cancro, di avere risorse e doti che ignoravano. Con il confronto con volontarie e socie nascono nuovi progetti e nuove amicizie. E, paradossalmente, anche il cancro può diventare un’opportunità di “ rinascita”.

N. B. Per chi volesse saperne di più sull’Associazione V.I.T.A. o prenderne contatti può fare riferimento al Sito http://www.associazionevitachieri.it/ o alla Pagina FaceBook VITA – Vivere il Tumore Attivamente.

Rita Clemente

Scrittrice. Collaboratrice redazionale di Lavoro e Salute

con la collaborazione di Valeria Martano, Andreina Rocco, Elena Raggio, Maria Luisa Fasano.

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