Donne & giornalismo: un’importante dimensione della disuguaglianza di genere

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WHO MAKES THE NEWS. Risale ormai ad oltre quarant’anni fa la prima analisi mediatica mirata sul genere (Unesco, 1979, Mass media: the image, role and social conditions of women. A collection and analysis of research materials) da cui emerge una scarsa presenza femminile negli organigrammi dei mass media, ad ogni livello, nonché un’immagine sociale stereotipata delle donne che si percepivano e venivano percepite dalla collettività sostanzialmente come mogli e madri. Cosa è cambiato da allora? Considerando le posizioni di comando nelle redazioni a livello globale, risulta che oggi le donne ne ricoprono meno del 30 per cento (International Women’s Media Foundation, 2011, Global Report on The Status of Women in the News Media); inoltre, un’analisi dell’agenda mediatica di giornali, radio e televisione di 42 Paesi di Africa, America, Asia ed Europa (Global Media Monitoring Report, 2010, Who Makes the News) mostra che, nell’attribuzione dei ruoli, sono soprattutto gli uomini a realizzare la produzione delle notizie diffuse (65 per cento nei giornali, 73 per cento alla radio e 56 per cento in televisione); ad occuparsi come giornalisti di argomenti centrali come la politica, l’economia e la cronaca nera (nel 64-70 per cento dei casi); e ad essere chiamati ad esprimere le loro opinioni in qualità di esperti (81 per cento dei casi). La disparità di genere nel settore dunque esiste tuttora ed è più frequente nelle testate a stampa, dove l’analisi delle firme mostra che prevalgono gli articoli attribuiti ad agenzie rispetto a quelli a firmati dalle giornaliste (con l’unica eccezione del Portogallo, dove le firme femminili superano l’equivalente maschile di 11 punti percentuali). Duole constatare che tra paesi europei in cui la disparità di genere è maggiore si trova anche l’Italia, con il 63 per cento degli articoli firmati da giornalisti uomini (European Journalism Observatory, op. cit.). Non solo: le immagini utilizzate a corredo degli articoli solo nel 15 percento dei casi ritraggono una donna (European Journalism Observatory, 2018, Where Are the Women Journalists in Europe’s Media?) e risulta sostanzialmente squilibrato anche il modo in cui le donne sono rappresentate nelle informazioni diffuse dai media: solo nel 16 percento dei casi sono le protagoniste delle notizie e comunque vengono presentate attraverso stereotipi, per lo più riferendosi ad esse come moglie e madri (Global Media Monitoring Report, op. cit.).

COSA ACCADE IN ITALIA. All’interno del panorama descritto, per quantificare la considerazione attribuita alle donne nei mezzi di comunicazione in Italia, è stata realizzata una ricerca (Osservatorio di Pavia, 2019, I TG e la campagna. Le scelte comunicative dei Telegiornali delle sette reti generaliste in campagna elettorale), dalla quale risulta che la rappresentanza femminile supera il 50 per cento solo quando è componente del pubblico, perché, su un campione di 700 programmi trasmessi da reti pubbliche, le giornaliste, conduttrici o presentatrici sono solo il 41 per cento e le opinion maker donne sono solo il 32 per cento del totale. Inoltre, su 2.000 esperti ingaggiati per i talk show d’informazione, le donne sono solo il 24% e vengono interpellate principalmente su temi sociali (nel 22 per cento dei casi). La loro presenza quando si tratta di questioni politiche o economiche è irrisoria (solo nel 6 e nel 7 per cento dei casi, rispettivamente).

Per cercare di colmare questo gender gap, l’associazione GiULiA – Giornaliste Unite Libere Autonome dal 2016 procede a compilare un database europeo (100esperte) che raccoglie i nominativi di esperte in diversi campi della conoscenza (STEM, economia e politica internazionale) e che i media possono liberamente consultare. Ad oggi il database comprende 130 esperte sui temi STEM e 60 in ambito economico, selezionate secondo rigorosi criteri di selezione (attualità e contenuto innovativo dei temi trattati e rilevanza delle pubblicazioni) e ha concorso all’aumento del 1,5 per cento nelle interviste a donne da parte dei giornali italiani e a oltre 400 nuove interviste in TV e alla radio.

EMANCIPAZIONE, INDIPENDENZA ECONOMICA E MOLESTIE. Nonostante siano trascorsi 40 anni da quando si è iniziato a riflettere sul tema (Unesco, op.cit.) e nonostante vi siano delle iniziative in merito, i dati di cui disponiamo dimostrano che occorre ancora molto lavoro per convincere che anche le donne sono competenti. Infatti, secondo le rilevazioni del Global media monitoring project, tra il 1995 e il 2015, la presenza di donne come fonti o soggetti di notizie è incrementata di poco in alcuni Paesi (ad esempio solo del +9 per cento in America del Nord) e per nulla in altri (come in Africa). Ma il lavoro necessario non riguarda solo la parità nei ruoli, perché vi è anche un altro capitolo dolente, ovvero le molestie nell’esercizio della professione giornalistica. Un fenomeno tanto diffuso che per la difesa dei giornalisti attaccati è stata istituita un’organizzazione ad hoc (il CPJ Committee to Protect Journalists), secondo la quale nel caso delle giornaliste gli attacchi diventano più frequenti quando trattano di argomenti sportivi o sono parte di minoranze. D’altro canto, Amnesty International (Amnesty International, 2018, Rapporto annuale sullo stato dei diritti umani nel mondo), sostiene che le campagne di odio on line colpiscono le giornaliste bianche con una probabilità del 34 per cento contro l’84 per cento dell’equivalente per le colleghe nere. Tutto ciò richiama anche gli studi che analizzano la relazione tra indipendenza finanziaria ed esposizione alla violenza (European Union Agency for Fundamental Rights, 2014, Violence against women: an EU-wide survey. Main results report) e allertano sui rischi susseguenti all’emancipazione economica e correlati allo spostamento della violenza dallo spazio privato a quello pubblico. Sostanzialmente risulta che una donna che lavora è più esposta al rischio di subire violenza da uomini diversi dal coniuge, ma la violenza subita in casa resta immutata perché una donna che guadagna più del marito con maggior probabilità subirà abusi sessuali, mentre se guadagna meno sarà crescente l’esposizione a violenze di tipo psicologico.

SPERIMENTAZIONI PER IL CAMBIAMENTO. In conclusione di questa panoramica su quanto avviene nel settore dei media, va ricordato che assicurare la pluralità nell’informazione non è un obiettivo speculativo, ma si tratta di uno strumento necessario per evitare che storie e reportage importanti non vengano raccontati e diffusi e per fare in modo che informazioni rilevanti siano rese disponibili, arricchendo così il dibattito politico e culturale. Si pensi a questioni come il difficile accesso femminile al mondo del lavoro o al gender pay gap.

I dati disponibili illustrati in queste note ci parlano di molto lavoro evidentemente ancora necessario, tuttavia un cambiamento positivo è certamente possibile, come testimoniano molte sperimentazioni sul tema: dal progetto Newsmavens lanciato nel 2017 da 12 redazioni per raccogliere notizie curate e consigliate esclusivamente da donne, all’Annuario delle esperte del digitale per proporre donne come professioniste da consultare riguardo alle nuove tecnologie; dal manuale promosso per contrastare le molestie nel settore (World Association of News Pubblishers’, 2018, Sexual Harassment in the Media) alla call action contro il sessismo con 14 principi per riformare la comunità globale dell’informazione verso la piena parità. Cambiare si può, come i risultati raggiunti dall’associazione GiULiA citati in queste note mostrano.

Eleonora Maglia

17/2/2020 www.eticaeconomia.it

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