Donne lavoratrici immigrate tra oppressioni e resistenze: generare percorsi di trasformazione sociale
Quali cambiamenti e processi di trasformazione possono essere messi in moto dall’intraprendere un percorso collettivo e autorganizzato di lotta sindacale sul luogo di lavoro, sia per le soggettività che vi prendono parte, sia per la collettività e i territori in cui queste lotte avvengono?
È questa la domanda da cui ha preso avvio una ricerca empirica qualitativa che mi ha portato tra i mesi di maggio e ottobre 2021 a conoscere e intervistare svariate lavoratrici immigrate e attivisti/e di diverse realtà politico-sociali coinvolte in due percorsi di lotta dentro e fuori i rispettivi luoghi di lavoro dal 2018 ad oggi. I due casi studio analizzati si trovano in Emilia-Romagna, crocevia strategico per l’attività logistica di tutto il paese, e rappresentano due eccellenze del made in Italy conosciute a livello internazionale: lo stabilimento produttivo di un’azienda alimentare famosa per l’esportazione di prodotti di qualità e i magazzini di imballaggio e spedizione di un colosso dell’e-commerce nell’ambito della moda di lusso.
Diversi luoghi di impiego, comuni condizioni: essere donne immigrate nel mercato del lavoro italiano
Al 1 gennaio 2020 (ISTAT) si registrano in Italia 2.607.959 donne straniere, circa il 51,7% della popolazione immigrata europea ed extraeuropea regolarmente residente con un tasso di occupazione che si attesta attorno al 50,7% (in linea con il tasso di occupazione delle donne italiane, 50,2%), rappresentando circa il 43% della manodopera straniera totale, che nel 2019 risultava essere di 2.505.186 persone straniere con un’incidenza di quasi l’11% sulla forza lavoro complessiva del paese (Direzione Generale dell’Immigrazione e delle Politiche Sociali, 2020). È necessario precisare che questi dati non comprendono le stime del lavoro sommerso, ampiamente diffuso in tutta la penisola e che interessa un’importante fetta della popolazione immigrata (per approfondimenti: Fondazione Leone Moressa, 2020).
Le occupazioni in cui si trovano maggiormente impiegate le donne immigrate sono caratterizzate da un’alta intensità lavorativa in settori che difficilmente possono essere delocalizzati all’estero e che necessitano di un abbattimento dei costi del lavoro vivo per mantenere un’alta competitività nel mercato o per renderli accessibili alla massa della popolazione (Cvajner, 2018). Questa segregazione lavorativa verso impieghi squalificati e spesso squalificanti determina che se la metà dei lavoratori italiani copre almeno 44 diverse professioni, il 50% degli occupati stranieri si concentra in solo 13 professioni. Se si restringe lo sguardo sulle donne, emerge che la metà delle lavoratrici italiane ricopre circa 20 professioni, mentre il 50% delle lavoratrici immigrate appena 3 ambiti occupazionali: servizi domestici, cura alla persona, pulizie (IDOS, 2020).
Vi sono altri due settori in cui per specifiche mansioni si concentra un alto numero di manodopera straniera femminile e anch’essi sono caratterizzati da alta intensità di lavoro e dalla necessità di una forza lavoro flessibile, adattabile, attivabile al bisogno e disponibile ad orari anomali: i settori agricolo e logistico. In riferimento a quest’ultimo, i principi logistici di efficienza, tempestività, flessibilità, affidabilità e economicità che influenzano l’organizzazione del lavoro lungo tutta la filiera produttiva inserita in un sistema economico sempre più improntato alle modalità pull di produzione snella, Just in Time e toyotista, riscontrano nella manodopera immigrata femminile quelle vulnerabilità situazionali e sistemiche che la rendono facilmente sfruttabile.
È all’interno di questa cornice che si ritrovano le donne protagoniste di questa ricerca, le quali ricoprono una posizione lavorativa regolata dai principi logistici sopra brevemente descritti e alle quali vengono imposte condizioni comunemente segnate da: sottoinquadramenti sistemici e conseguenti sottoretribuzioni; rapporti contrattuali esternalizzati e appaltati; ritmi frenetici, flessibili e mala gestione degli orari di lavoro; precarietà contrattuale dovuta ad un utilizzo scorretto dello strumento della “cooperativa” e della prassi diffusa del “cambio appalto”; clima e atteggiamenti antisindacali e violenze verbali e simboliche dal carattere sessista e razzista (SI Cobas, 2017).
Per comprendere le ampie cause strutturali alla base di queste condizioni lavorative e di vita e, allo stesso modo, delle motivazioni che hanno spinto a mobilitarsi, è necessaria una prospettiva d’analisi intersezionale (Crenshaw, 1989) capace di riconoscere e tenere assieme i molteplici assi lungo cui scorrono simultaneamente discriminazioni e oppressioni. In questo caso, analizzando la condizione delle sette lavoratrici intervistate, gli assi intersecati dal loro locus sociale (Ribeiro, 2020) sono: il genere femminile; la classe sociale lavoratrice operaia; il background migratorio; lo status giuridico (cittadinanza straniera-permesso di soggiorno); la nazionalità/etnia (Marocco, Tunisia, Ucraina, Moldavia, Filippine); il ruolo familiare di madre.
Queste donne, quindi, intersecano vulnerabilità e subalternità legate non solo alle necessità economiche. Tutte hanno infatti raccontato di come siano consapevoli di essere manodopera facilmente ricattabile e di come vengano quotidianamente poste di fronte a scelte escludenti e peggiorative per sé stesse e per la propria famiglia: per garantire il proprio permesso di soggiorno e quello dei figli minorenni, nati e cresciuti in Italia, necessitano di mantenere un contratto di lavoro in occupazioni che non rispettano i loro diritti e che non lasciano la possibilità di conciliare i compiti di cura e di riproduzione sociale, trovandosi per di più impossibilitate nel mettere in discussione questi ruoli familiari dato che anche i loro partners sono soggetti a simili condizioni lavorative. Usando le parole di una delle lavoratrici, non resta altra scelta che attivarsi e reclamare giustizia:
«Si inizia ad iscriversi e a lottare innanzitutto per la disperazione, per come ci trattano i padroni: se no un’altra ragione non c’è per cui delle lavoratrici escano fuori a fare sciopero.»
Ecco che, come afferma Anna Tsing, l’analisi del sistema della logistica è necessaria per capire i dilemmi della condizione umana odierna: le diseguaglianze e le differenze preesistenti sono più che mai reali e sfruttate, rivitalizzate e usate a proprio favore anche dal supply chains capitalism, agendo così un supersfruttamento (Tsing, 2009).
Lo spazio sociale occupato da queste donne non deve però essere inteso in modo deterministico o passivizzante: come dimostrano i due casi studio, può rappresentare un luogo dal quale si costruiscono percorsi di lotta e rivendicazioni dal carattere plurale, inclusivo, reticolare.
Generare processi di trasformazione e cambiamenti individuali e collettivi
Grazie alla prospettiva intersezionale che ha permesso di considerare le ampie cause alla base di questi sfruttamenti, ho potuto allo stesso modo cogliere come queste mobilitazioni siano indispensabilmente e intrinsecamente coinvolte con altre cause sociali, ad esempio quelle per la revisione del sistema dei permessi di soggiorno e contro la violenza di genere, e come abbiano fin da subito intrecciato altre realtà politiche (dal basso e istituzionali) travalicando i confini della fabbrica e andando oltre le rivendicazioni più prettamente sindacali.
I risultati emersi dalla ricerca evidenziano pertanto diversi cambiamenti che hanno influito sulle singole lavoratrici e sulla collettività tutta.
Per quanto riguarda le lavoratrici, sono stati registrati cambiamenti a livello di:
- adeguamento contrattuale, salariale e di gestione dei tempi di lavoro: miglioramenti che hanno influito anche sulla qualità della vita extra-lavorativa della donna e di tutto il nucleo familiare;
- apprendimento e sviluppo di sapere esperto utile per affrontare situazioni di difficoltà, diventando un punto di riferimento anche per familiari e conoscenti;
- coscientizzazione e nuova percezione del sé, delle proprie possibilità e capacità di agency, sia ai propri occhi che a quelli delle persone esterne, determinando prese di parola e processi di autodeterminazione importanti;
- rafforzamento e ampliamento delle reti sociali e di supporto formali e informali;
- socializzazione ai movimenti sociali e alle realtà politiche presenti sul territorio, anche per i propri partners e figli/e: queste donne si sono fatte soggetti politici attivi ponendosi come cittadine attiviste (Montagna, 2017) capaci di atti di cittadinanza e di richieste di giustizia forzando il concetto formale di cittadinanza. (Cherubini, 2018; Isin, 2008).
Gli impatti sulle comunità coinvolte si possono riassumere nei seguenti punti:
- la diffusione di presidi di giustizia e legalità, richiamando i vari attori sociali alle loro responsabilità, diffondendo tra la cittadinanza consapevolezza in merito a queste tematiche e impedendo che alcune prassi corrotte possano replicarsi facilmente in altre fabbriche e in altri territori;
- una rivitalizzazione delle reti sociali e delle realtà sindacali e di movimento che ha permesso contaminazioni e intersezioni delle lotte, maggiore coesione comunitaria e la costruzione di nuovi spazi e reti cittadine che trattano varie questioni politico-sociali di interesse comune;
- costruzione di solidarietà e un contributo al processo di ricomposizione di classe.
Conclusioni
Ciò che emerge da questa ricerca a livello locale in riferimento ai risvolti positivi riscontrati, è che questi percorsi collettivi autorganizzati hanno generato importanti processi di cambiamento, di auto- emancipazione e trasformazione in senso migliorativo tanto per le singole soggettività quanto a livello comunitario e sociale verso la costruzione di una classe per sé combattendo pregiudizi, sfiducia, isolamento e individualismo che caratterizzano i luoghi di lavoro e la società intera. Come ha detto una lavoratrice:
«Se noi prendiamo un frutto, sarà per tutti. È una lotta che è sempre per tutti. […] l’importante è che l’abbiamo fatta, l’importante è che si fa. E si fa per le nostre generazioni: magari un domani un’altra italiana che ha visto la nostra lotta, ce la fa anche lei!».
Bibliografia
Cherubini Daniela
2018 Nuove cittadine, nuove cittadinanze? Donne migranti e pratiche di partecipazione, Milano, Maltemi Linee.
Crenshaw Kimberlè
1989 Demarginalizing the Intersection of Race and Sex: A Black Feminist Critique of Antidiscrimination Doctrine, Feminist Theory and Antiracist Policies, «The University of Chicago Legal Forum», 1.
Cvajner Martina
2018 Sociologia delle migrazioni femminili. L’esperienza delle donne post-sovietiche, Bologna, Il Mulino.
Direzione Generale dell’Immigrazione e delle Politiche di Integrazione (a cura di)
2020 X Rapporto annuale. Gli stranieri nel mercato del lavoro in Italia. Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.
Fondazione Leone Moressa
2020 Immigrazione e lavoro nero, Economia dell’immigrazione, http://www.fondazioneleonemoressa.org/2020/05/26/immigrazione-e-lavoro-nero/
IDOS Centro Studi e Ricerche
2020 Dossier statistico Immigrazione 2020, Roma, IDOS.
Isin Engin
2008 Theorizing acts of citizenship, in Acts of citizen ship, a cura di E. Isin e G. Nielsen, London-New York, Zed Books.
ISTAT, Stranieri residenti al 1 gennaio: http://dati.istat.it/viewhtml.aspx?il=blank&vh=0000&vf=0&vcq=1100&graph=0&viewmetadata=1&lang=it&QueryId= 19103&metadata=DCIS_POPSTRRES1
Montagna Nicola
2017 Dominant or subordinate? The relational dynamics in a protest cycle for undocumented migrant rights, «Ethnic and Racial Studies».
Ribeiro Djamila
2020 Il luogo della parola, Alessandria, Capovolte.
SI Cobas
2017 Carne da macello. Le lotte degli operai della logistica e il teorema repressivo contro il SI COBAS e le conquiste dei lavoratori e delle lavoratrici in Italia, Roma, Red Star Press.
Tsing Anna
2009 Supply chains and the human condition, «Rethinking Marxism», 21(2).
Silvia Bertoldi, neo-laureata presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia – Laurea Magistrale “Lavoro, cittadinanza sociale, interculturalità”, è la vincitrice del Concorso di idee 2022 promosso dalla Fondazione Leone Moressa. Il Concorso di idee rientra tra le attività del progetto Testa, Cuore, Mani, finanziato dall’UNAR – Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali – nell’ambito della XVIII Settimana di azione contro il razzismo.
L’articolo sarà pubblicato nel Rapporto 2022 sull’economia dell’immigrazione a cura della Fondazione Leone Moressa.
29/4/2022 https://www.meltingpot.org
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