Droghe, ripartiamo da 7: le priorità del Cartello di Genova per le legislative del 4 marzo
Il testo della piattaforma, intitolata “Droghe,ripartiamo da 7“, è pubblicato su Fuoriluogo, ed è stato inviato a quasi tutte le forze politiche che si candidano a governare il paese. Tra i politici intervenuti Monica Cirinnà eSergio Lo Giudice, senatori gruppo Pd e Matteo Mainardi, di “+ Europa”.I contenuti della piattaforma riprendono le richieste e le proposte elaborate e condivise già con il “Manifesto di Genova” 2014 e poi con la “Carta di Milano” del 2015. Si tratta di sette punti sui quali è necessario intervenire con urgenza per offrire al paese politiche sulle droghe adeguate alla società in cui viviamo, frutto di dialogo con la società civile e che garantiscano i servizi e le risorse necessarie ad essere applicate.
“Nel primo punto il nostro documento ripropone la necessità di un radicale cambiamento dell’impianto legislativo sulle droghe oggi vigente in Italia –ha spiegato Hassan Bassi segretario nazionale di Fuoriluogo– chiediamo pertanto una completa revisione della L 309/90, una legge vecchia, dall’impianto proibizionista e fallimentare perché ha favorito solo la criminalizzazione del fenomeno e la clandestinità dei consumatori invece di facilitarne l’incontro con i servizi. Il punto centrale è depenalizzare il consumo, e anche la cessione in piccole quantità, di qualsiasi sostanza”.
A quantificare i numeri del fallimento di oltre vent’anni anni di proibizionismo e di normative tutte sbilanciate sulla repressione, è stata Paola Bevere, presidente di Antigone Lazio: “Il costo della lotta alle droghe per violazioni della 309/90 tra carcere, operazioni di polizia e procedimenti penaliammonta ad un miliardo e mezzo l’anno – ha spiegato– oltre il 91% dei sequestri di droga ha riguardato hashish e marijuana“. La repressione ha dunque mobilitato risorse ingentissime sottraendole alle politiche sociali e colpendo soprattutto il consumo e il traffico di droghe leggere, basti pensare come, dal 1990 a oggi, si siano registrati oltre un milione e mezzo di fermi per uso personale di cannabinoidi. Inevitabile il contraccolpo sulla popolazione carceraria. Ricorda ancora Antigone come, delle quasi ventimila persone detenute al dicembre 2017, ben il 33% si trovi in carcere per violazioni della 309/90. Tra queste il 25% ha problemi di dipendenza ma solo il 10% ha accesso a percorsi di cura. L’Italia detiene inoltre il primato europeo di condanne per reati connessi alla legislazione sulle droghe.
“Questa cattiva legge aggrava e incancrenisce, da troppi annii, aspetti centrali della nostra convivenza civile: dai temi della legalità, al sovraffollamento carcerario, all’immigrazione” ha detto il Senatore Sergio Lo Giudice che, nel corso della legislatura in scadenza, ha presentato a Palazzo Madama la proposta di legge sulle droghe elaborata dalla associazioni del cartello di Genova: “Quel testo –ha spiegato– non è mai stato discusso e nemmeno calendarizzato. Si è trattata di una sottovalutazione grave che speriamo possa essere recuperata nel corso della prossima legislatura con la ricostituzione dell’intergruppo droghe”.
Il secondo punto del documento invoca una rapida messa a regime della cannabis terapeutica ad oggi garantita solo formalmente alle migliaia di pazienti che traggono dall’uso di questa sostanza sollievo e cura. La disponibilità del prodotto è, infatti, assolutamente insufficiente e troppo difforme sul territorio nazionale. “La responsabilità è del Ministero della Salute che fa stime al ribasso sulle importazioni e delle Regioni che hanno richiesto quantitativi bassissimi di prodotto –ha detto Leonardo Fiorentini, Società della Ragione e Direttore di Fuoriluogo- ci sono tre farmacie in Emilia Romagna che servono mezza Italia. Il risultato è che i malati che si curano con la cannabis, con il supporto di documentate evidenze scientifiche, non si vedono assicurata una disponibilità continua e adeguata di farmaci mentre sul territorio nazionale si è configurata una inaccettabile discontinuità nell’acceso a un diritto di salute”. Anche Viola Tofani, dell’associazione Luca Coscioni, ha sottolineato l’emergenza costituita dalloscarso approvvigionamento della cannabis terapeutica: “forse –ha detto- sarebbe il caso di superare il regime di monopolio che lo Stato rivendica sulla produzione e l’importazione di queste sostanze”.
Terzo punto riguarda la convocazione urgente della Conferenza Nazionale sulle Droghe che non viene convocata da ben nove anni mentre per legge si dovrebbe svolgere ogni tre anni. Per questo le associazioni lo scorso luglio avevano anche presentato una formale diffida al governo.
Al prossimo esecutivo le associazioni, nel quarto punto della piattaforma, ricordano dunque in via prioritaria anche questa incombenza, necessaria all’elaborazione di un Piano d’azione nazionale sulle droghe che segni una netta discontinuità rispetto alle politiche punitive fin qui adottate. “Occorre un piano d’azione aggiornato secondo le ultime rilevazioni, secondo le evidenze scientifiche e secondo le migliori pratiche applicate nel mondo –ha spiegato ancora Hassan Bassi– in particolare per quanto riguarda le pratiche di riduzione del danno”. Tale piano dovrà raccordarsi con quanto previsto dal Piano Nazionale Aids e dal Piano d’azione Europeo 2017-2020.
Il rilancio dei servizi e della riduzione del danno costituisce il quinto punto degli impegni che vengono chiesti ai futuri decisori politici. Il riconoscimento delle azioni e dei servizi innovativi già realizzati, il loro adeguamento, non più rinviabile, ai nuovi stili di consumo sono prioritari -sostiene il documento del cartello di Genova- così come l’innovazione ed il potenziamento dei luoghi di cura, della socio-riabilitazione, dellaprevenzione e della presa in carico precoce. La riduzione del danno (RdD) è necessaria e trasversale a tutti questi obiettivi e costituisce un pilastro del sistema di interventi, come sancito dalla strategia UE. Nel recepire le indicazioni Ue, L’Italia ha dovuto inserire la RdD nei LEA (livelli essenziali d’assistenza) ma a questa svolta importante non sono seguite le necessarie determinazioni per renderla operativa, a partire dall’elaborazione di linee guida nazionali allo stanziamento di risorse adeguate al livello regionale.
Giuseppe Bortone, responsabile Nazionale del settore Tossicodipendenze della Cgil, ha ricordato come si manifesti in merito anche un aspetto di mancato riconoscimento della qualità del lavoro: “I settemila lavoratori impegnati nei SerD e le altre migliaia del privato sociale, sia pur in condizioni difficilissime, senza risorse e senza una legislazione adeguata hanno prodotto sulla riduzione del danno esperienze all’avanguardia in Europa. Il mancato riconoscimento della RdD è anche una loro umiliazione professionale e culturale”.
Il dialogo tra istituzioni e società civile, che comprenda lavoratori del settore, associazioni e gli stessi consumatori di droghe costituisce l’oggetto delsesto punto della piattaforma “Droghe, ripartiamo da sette”. E’ fondamentale, si afferma, il ripristino di tutte le sedi di dialogo sulle politiche sulle droghe, non più attive a livello nazionale dal 2008 e l’adozione di processi partecipativi che rispettino e rendano effettive le indicazioni del Piano d’azione europeo sul coinvolgimento della società civile, con particolare riguardo al coinvolgimento delle persone che usano sostanze.
Il settimo e ultimo punto, “Verso Vienna 2019”, chiede una chiara posizione dell’Italia nel contesto internazionale, in vista dell’appuntamento ONU che si terrà, per l’appunto, a Vienna, il prossimo anno e che deciderà il nuovo corso delle strategie internazionali su mercato delle sostanze, approccio sociale, diritti umani e civili dei consumatori. L’Italia, nel ventennio della guerra alle droghe, con il uso impianto fortemente proibizionista, è stata finora un elemento divisivo in Europa. “In passato il duo Serpelloni-Giovanardi ha impedito l’adozione di posizioni europee unitarie in grado di segnare un cambiamento di rotta nelle azioni globali sulle droghe –ha spiegato Leonardo Fiorentini, di Fuoriluogo– in occasione di Ungass 2016, le aperture del ministro della Giustizia Orlando ad approcci basati sulle evidenze scientifiche avevano suscitato grandi speranze ma non hanno poi avuto alcun seguito pratico: in questi ultimi cinque anni la politica è stata la grande assente”. “La legalizzazione delle sostanze, soprattutto leggere, si va diffondendo in tutto il mondo –ha ricordato Viola Tofani– speriamo che anche l’Italia sappia sostenere questo cambiamento globale di strategia”.
“L’approccio proibizionista ha mostrato in questi vent’anni un fallimento totale e così la legge 309/90 che ne è derivata –dice anche Massimo Oldrini, presidente della LILA, Lega Italiana per la lotta all’AIDS– proibire e punire è servito solo ad aggravare di costi e compiti impropri gli apparati della giustizia e della sicurezza, ad alimentare gli affari della criminalità e causare dolore e tragedie tra i consumatori di sostanze”. Secondo Oldrini il proibizionismo e la mancata adozione di politiche di riduzione del danno costituiscono inoltre un grave problema di salute pubblica: “la criminalizzazione dei consumatori favorisce comportamenti a rischio come lo scambio di siringhe e ostacola un’adeguata promozione dei test per l’HIV ed epatiti –ha spiegato– con ricadute gravissime sulla salute, le aspettative di vita e i diritti delle persone, basti pensare che, ad oggi, i consumatori di sostanze entrati in programmi di trattamento per l’HIV e per l’eradicazione dell’epatite C sono davvero pochissimi”.
La piattaforma “Droghe, ripartiamo da 7” è promossa da Associazione Antigone, Associazione Luca Coscioni, CGIL, Comunità di San Benedetto al Porto, CNCA– Coordinamento Nazionale Comunità d’Accoglienza, Forum Droghe, Gruppo Abele, ITARDD, la Società della Ragione, LegacoopSociali,LILA –Lega Italiana per la Lotta contro l’AIDS.
24/2/2018 www.lila.it
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