E allora il MES?
Nell’assistere all’insediamento del neonato Governo Draghi, un esecutivo che si appresta ad amministrare l’austerità per i prossimi anni e a mettere i tre soldi del Recovery Fund al servizio delle richieste di Confindustria, una domanda ci viene spontanea: ma che fine ha fatto il famigerato Meccanismo Europeo di Stabilità (altrimenti detto MES)? La lettura dei giornali di questi giorni è disorientante: fino ad un paio di settimane fa il ricorso al MES era considerato una priorità e l’unico argine al definitivo collasso del sistema sanitario nazionale. Oggi, invece, il tema sembra sbiadito sullo sfondo, trattato alla stregua di un elemento marginale o, addirittura, un’operazione non più conveniente. Viene dunque da chiedersi come mai, in così poco tempo, politici e commentatori abbiano fatto scomparire dalla scena un elemento che si era preso il centro del palcoscenico.
Riavvolgendo il nastro, di MES si è iniziato a parlare in maniera insistente fin dai primi mesi della pandemia, nel marzo del 2020, quando questo prestito capestro sembrava essere, nelle dichiarazioni di molti, l’unica via per ottenere le risorse utili ad arginare la pandemia e a uscire dalla crisi. Abbiamo già visto come ricorrere a questo prestito non avrebbe portato a nessuno dei benefici millantati in quanto accedere al MES 1) non avrebbe effettivamente aumentato le spese sanitarie (parola dell’ex Ministro Gualtieri), 2) avrebbe fornito un risparmio trascurabile in termini di interessi, al prezzo molto più salato di 3) un rigido dispositivo di controllo e disciplina sui conti pubblici per gli anni a venire, una volta sgomberato il campo dal mito del ‘MES senza condizioni’.
Il Governo Conte-bis, come d’altronde tutti gli altri Governi dell’area euro, non si è avvalso della possibilità di ricorrere a questo prestito istituzionale. Ciò è stato possibile grazie all’opportunità di finanziarsi sul mercato, attraverso l’emissione di titoli di stato, a tassi ragionevolmente bassi, beneficiando dell’ombrello della Banca Centrale Europea. Tutto questo non ha impedito a Matteo Renzi, tra un elogio della schiavitù in Arabia Saudita e l’altro, di usare l’attivazione del MES da parte dell’Italia come la conditio sine qua non per non staccare la spina all’esecutivo. Il resto, ormai, è cronaca e vede la nascita del Governo dei competenti alfieri dell’austerità, guidato da Mario Draghi. Da questo istante, come per magia, la parola MES scompare e, d’improvviso, si torna a cenare senza che i politici intervistati dai telegiornali menzionino più la parola MES.
Il fatto che nessun esponente o commentatore politico stia più agitando questo tema deve farci riflettere sulla vera natura del ricorso a quel prestito. Accedere alle risorse del MES avrebbe significato realizzare le condizioni ottimali per un controllo pervasivo e soffocante sui nostri conti pubblici per gli anni a venire: un po’ di ossigeno oggi, in cambio di dosi da cavallo di rigore domani. Il neonato esecutivo, però, fornisce già tutte le garanzie del caso sul fatto che l’Italia non devierà neanche di un centimetro dal sentiero dell’austerità. La compagine governativa, e in particolare il Presidente del Consiglio, sono la personificazione stessa del progetto politico dell’austerità di matrice europea. Sono la condizionalità del MES, senza bisogno del MES.
L’insediamento del Governo Draghi ha portato anche lo spread ai minimi da cinque anni, contribuendo a rendere ancora più trascurabile il risparmio in termini di tassi di interesse rappresentato dal MES. È bastato, di fatto, il solo annuncio del Governo Draghi a tranquillizzare ‘i mercati’ sul fatto che l’Italia farà i compiti per gli anni a venire. Una rassicurazione, questa, che va oltre l’investitura di Mario Draghi e dei suoi Ministri e che il Governo metterà per iscritto, nero su bianco, per accedere alle risorse del Recovery Fund, che saranno concesse solo in cambio dell’adozione di misure atte a ‘correggere il disavanzo eccessivo’, altrimenti detto, in cambio di austerità.
Una volta messo a fuoco il vero significato del ricorso al MES, la sua scomparsa dal novero delle urgenze vuol dire che, ad oggi, è già in campo un’altra forza in grado di assicurare l’attuazione del progetto politico dell’austerità. E a garantire questo ossequio è proprio il neonato Governo Draghi che, comodamente protetto dalla coltre della propaganda a reti unificate, assicurerà la disciplina di bilancio tanto cara alle istituzioni europee e alle classi dominanti. Con Mario Draghi al Governo assistiamo ad un vero e proprio cambio di passo nella gestione dell’austerità in Italia: nessuna necessità di ricorrere al MES, nessun Memorandum da firmare come invece accadde alla Grecia qualche anno fa ma, come scrivevamo già a marzo scorso, ‘la continuazione del MES con altri mezzi, la condizionalità fatta persona, incarnata da una figura perfetta per garantire il rispetto di quell’impegno a restare sul tracciato dell’austerità’. Nonostante i 400 mila posti di lavoro persi e la più alta perdita di PIL mai registrata in tempi di pace, nonostante il mancato ricorso al MES, sempre di lacrime e sangue si tratterà, ma imbandite a puntino da un fuoriclasse.
CONIARE RIVOLTA
Collettivo di economisti
16/2/2021 https://coniarerivolta.org
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