E che strage impunita sia!

Versione interattiva http://www.blog-lavoroesalute.org/lavoro-e-salute-aprile-2021/

Archivio sito http://www.lavoroesalute.org

Di fronte all’ipocrisia delle dichiarazioni in politichese, accompagnate da assordanti silenzi, ricordiamo una sincera affermazione, l’unica di tanti ministri dei governi fotocopia degli ultimi quarant’anni, del ministro Tremonti in uno dei governi Berlusconi “La 626 è un lusso che non possiamo permetterci”. La Legge 626 del 1994 venne poi modificata con la legge 81/2008 e un anno dopo integrata dal D.Lgs. 3 agosto 2009, n. 106, ma quelle parole di Tremonti hanno continuato ad essere il faro di ogni Governo, compreso questo di Draghi. Il faro è sempre stato indirizzato verso gli interessi delle imprese, private in primo luogo ma a traino anche di quelle pubbliche.

Questo faro oscura tutto il mondo attorno. con i suoi oltre 1200 assassini sul lavoro all’anno, con le 200.000 invalidità permanenti, per il 1.000.000 di infortuni e per le 30000 malattie professionali che ogni anno affliggono i lavoratori (italiani e migranti) di ogni categoria. Ovviamente sono dati ufficiali e quindi difettano in altre migliaia di numeri, causa la progressiva debilitazione degli organismi di controllo sui luoghi di lavoro sempre più diversificati e clandestini in ossequio istituzionale verso la totale discrezionalità delle imprese, delegate allo schiavismo e al potere implicito di vita insalubre e di morte delle lavoratrici e lavoratori.

Chi, per lavoro e/o per impegno sindacale e politico, è impegnato sull’individuazione delle cause e dei responsabili, è sempre più isolato e represso con tutti i mezzi a disposizione dall’ignavia istituzionale, che dovrebbe costituzionalmente difendere la salute di tutti i cittadini compresa quella nel mondo del lavoro. Questa repressione coglie ormai quotidianamente vittime anche per l’inettitudine delle organizzazioni sindacali, pur con lodevoli eccezioni di singoli delegati sui luoghi di lavoro o di pezzi delle maggiori OSS come dei piccoli sindacati extra confederali. La scelta politica è quella di un ritorno ai rapporti di forza pre civiltà del lavoro e per perseguirlo bisogna criminalizzare il conflitto.

Il conflitto sindacale è derubricato a condotta criminale, lo si legge in tante ordinanze di giudici, a quanto pare privi di costituzionale memoria dell’insubordinazione operaia del secolo scorso, del conflitto di classe, della lotta per la difesa dei propri diritti individuali e collettivi.
Il rapporto di lavoro, in tutte le sue articolazioni, legali e quelle indotte dalla discrezionalità fuori dalle normative, deve regolarsi sulla insindacabile relazione mercificata a prescinder dalle condizioni della parte debole della relazione, in tal modo essa può essere privata da ogni tutela sia sui livelli salariali e sulle condizioni di lavoro.

E la recente sentenza della Corte costituzionale che ha cancellato la modifica dell’art. 18 voluta dal governo Monti nel 2012, su mandato della BCE di Trichet e Draghi, seppur fatto positivo dopo nove anni di massacri nel mondo del lavoro che hanno prodotto imbarbarimento delle condizioni di lavoro con conseguente aumento degli infortuni e delle malattie professionali, costituisce solo un piccolo passo perchè per gli assunti dopo il 7 luglio 2015 non esiste più il diritto alla reintegra in tutti i casi, sia per i licenziamenti individuali che collettivi per effetto del Jobs ACT di Renzi. Ma al padronato non basta mai aver raggiunto un’obiettivo legislativo, ha bisogno anche della repressione della parola e delle azioni degli sfruttati.
Emblematica l’azione della ArcelorMittal di Taranto che ha licenziato un operaio perchè aveva invitato sui Facebook a vedere una fiction televisiva che faceva riferimento a fatti relativi alla passata gestione Riva dello stabilimento siderurgico sugli effetti acclarati, dell’attività industriale in ambito sanitario e ambientale. Quindi siamo al reato di opinione, dopo il delitto di sciopero in difesa dei diritti e della vita sul lavoro.

E’ la loro logica: produrre, consumare e morire, in silenzio.

L’armamentario desiderato è quello degli anni ’50 con la polizia che scioglie brutalmente i presidi dei lavoratori in sciopero e un pubblico ministero e un gip che contestano agli scioperanti reati gravissimi con misure cautelari, perquisizioni e minacce di espulsioni. Un caso emblematico è accaduto a Piacenza, nel marzo 2021.

Se si crede di fermare con la repressione le ancora sporadiche proteste sociali, ma ancor di più quelle organizzate dai sindacati extra confederali, si compie una valutazione fuori dal tempo, e pericolosa.

Parliamo dei due maxi processi che vedono imputati centinaia di lavoratori protagonisti di due importanti vertenze, alla Alcar Uno di Castelnuovo Rangone e ad Italpizza di Modena. Sono lotte lunghe e faticose che hanno messo in luce la condizione di sfruttamento una condizione lavorativa e di vita insostenibile, alimentata dalla precarietà, dai cambi appalto, dalla presenza spesso di cooperative spurie che abusavano di contratti di lavoro a dir poco penalizzanti. Sotto processo ci sono centinaia di lavoratori\trici ai quali si contestano i reati di piazza, dalla resistenza all’ oltraggio fino alle lesioni con all’aggravante delle pene previste dai decreti Sicurezza in merito al reato di blocco della produzione ai cancelli delle aziende. Oltre 200 rinviati a giudizio in due maxi processi a seguito di indagini durate mesi e lunghe operazioni di intelligence giudiziaria costate ai contribuenti centinaia di migliaia di euro. Altre centinaia di lavoratori\trici sono rinviati a giudizio per processi legati a vertenze territoriali, i reati contestati sono sempre gli stessi a dimostrazione che il Pacchetto sicurezza era stato pensato non solo per colpire i migranti ma anche le opposizioni sindacali e sociali.

Questo quadro di sofferenze e morte quotidiane, già drammatico fino a all’inizio della pandemia, va risposto come non più interamente confacente con la realtà che stiamo vivendo. Con il coronavirus la condizione delle lavoratrici e dei lavoratori costretti alla presenza sui luoghi di lavoro, quelli noti, quelli poco noti del precariato e quelli nei gironi dell’inferno dello schiavismo a livelli ottocenteschi, è declinabile solo come genocidio!

Oggi – più di ieri e dell’altro ieri- mentre si licenzia impunemente senza tutela nè sindacale né giuridica, (aspettando la prossima libertà di licenziamento che sarà decretata dal governo Draghi) è diventato un obbligo essere sottoposti a ritmi massacranti, a fare straordinari con turni anche di 12 ore al giorno in fabbrica, nella logistica, negli ospedali, e la soluzione pandemica dello smartworking non farà che accrescere le forme di sfruttamento, pur con la diminuzione degli infortuni sostituita dalle patologie di stress correlato. Tutto questo non è una sceneggiatura di un film sull’800 ma è la modernità del capitalismo.

Quella modernità che, nonostante tanti luoghi di lavoro dimezzati anche dal lavoro a distanza, ci regala l’aumento del 25% dei morti sui luoghi di lavoro nei primi tre mesi del 2021 rispetto ai primi tre del 2020, anno in cui abbiamo avuto 574 lavoratori morti sui luoghi di lavoro, 1172 complessivi con i morti sulle strade e in itinere. Più 525 morti per coronavirus fra cui oltre 350 operatori sanitari.
E che strage sia, tanto l’impunità per lor signori è assicurata.

SICUREZZA SUL LAVORO. LA STORIA NELLE LEGGI E LA SUA NEGAZIONE NEI FATTI

La prima legge organica sulla sicurezza sul lavoro risale alla seconda metà degli anni ’50 ma la sua applicazione rimase sostanzialmente sulla carta agli impari rapporti di forza tra padronato e forze sindacali. Si è dovuto attendere, dal punto di vista legislativo, gli inzi degli anni 70, dopo migliaia di infortuni e morti, per conquistare lo Statuto dei Lavoratori, nel cui art. 9 i lavoratori sono “chiamati a controllare l’applicazione delle norme per la prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali”. A “promuovere la ricerca, l’elaborazione e l’attuazione di tutte le misure idonee a tutelare la loro salute, la loro sicurezza e la loro integrità fisica”.
Gli anni 70 e 80 hanno visto fiorire organismi sociali e di intervento sindacale che hanno spostato gli equilibri nelle relazioni tra imprese lavoratori che hanno permesso – comunque con una serie innterrotta di infortuni, malattie professionali e morti ma con una maggiore capacità di denuncia politica e interventi della magistratura – una grande sensibilizzazione anche istituzionale che hanno portato al Decreto Legislativo 626/1994 e quindi al D.Lgs. 81-2008.

Il Testo Unico 81/08 si avvale esplicitamente di alcuni principi della Costituzione come quello sancito dall’art. 32 secondo cui il diritto alla salute e all’integrità fisica è un diritto fondamentale dell’uomo e nell’art. 41 si sostiene come l’iniziativa economica privata, “non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale e in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”.

Nel DLgs 81/08 si menzionano ad altri riferimenti legislativi come quello dell’art. 2050 del Codice civile, che introduce la responsabilità per l’esercizio delle attività pericolose, quando non vengano adottate adeguate misure che proteggano la salute e la sicurezza del lavoro, mentre all’art. 2087, si impone all’imprenditore di adottare tutte le misure necessarie “a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale” dei lavoratori. Altro importante riferimento lo troviamo nell’art. 40 del Codice penale che chiarisce le conseguenze penali per le figure aziendali, quando non asservono all’obbligo di intervenire per tutelare i lavoratori vanno incontro a sanzioni amministrative e penali.

Questo sulla carta, purtroppo la Legge non contempla i rapporti di forza politici e sindacali che determinano lìapplicazione o meno delle sue disposizioni.

Franco Cilenti

Articolo pubblicato sul numero di aprile del mensile Lavoro e Salute

Versione interattiva http://www.blog-lavoroesalute.org/lavoro-e-salute-aprile-2021/

Archivio sito http://www.lavoroesalute.org

0 commenti

Lascia un Commento

Vuoi partecipare alla discussione?
Sentitevi liberi di contribuire!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *