Ecco cosa si rischia con il Ceta. Il 5 luglio mobilitazione per dire no

Ecco cosa si rischia con il Ceta. Il 5 luglio mobilitazione per dire no

Monica Di Sisto, vice presidente di “Fair Watch” e portavoce della campagna “Stop TTIP”, segue passo passo, insieme allo staff della Campagna, l’evoluzione del Ceta, trattato analogo al Ttip, che minaccia la sovranità di cittadini e Stati su temi importantissimi che riguardano l’ambiente, l’alimentazione e la salute. E, così come per il Ttip, organizza la protesta in tutta Italia insieme ai tantissimi attivisti che hanno deciso di condividere questa battaglia.

Monica, può spiegarci in cosa consiste esattamente l’accordo?

L’EU–Canada Comprehensive Economic and Trade Agreement (CETA) è un accordo commerciale tra il Canada e l’Unione Europea che, come tutti i trattati di nuova generazione, trae i suoi maggiori vantaggi non dall’abbattimento delle barriere tariffarie che rallentano gli scambi tra le due sponde dell’Atlantico, ma di quelle non tariffarie: ossia regole, standard di prodotto, di processo, che spesso e volentieri difendono la nostra sicurezza e la nostra salute, pur generando costi aggiuntivi per le imprese. Per queste stesse ragioni ci siamo mobilitati contro il TTIP, e il 5 luglio saremo in piazza a Montecitorio con Coldiretti, Cgil, Greenpeace, Slow food, i consumatori e molte altre associazioni: il CETA non deve essere ratificato dal parlamento italiano e va riaperta una discussione in Europa su come si può accompagnare con le regole adatte un commercio libero e giusto senza danneggiare l’occupazione, l’ambiente, i diritti.

Qual è il vero impatto dell’accordo CETA sugli scambi commerciali?

La Commissione europea sostiene che il CETA aumenterà l’interscambio UE-Canada di merci e servizi del 23% e il prodotto interno lordo dell’UE di circa 12 miliardi di € l’anno. Questo perché rimuoverà il 99% circa delle tariffe nel commercio UE-Canada permettendo un maggiore accesso al mercato da parte delle imprese di entrambi i blocchi. Peccato che la base di dati sulla quale sono calcolate queste stime non tiene conto della Brexit, cioè nei presunti ‘vantaggi’ sono ancora tenuti in conto quelli che avrebbe portato a casa la Gran Bretagna. Senza considerare che altri studi d’impatto dimostrano che il trattato porterà a un incremento dello 0,09% annuo del Pil europeo dopo non meno di sette anni dalla sua entrata in vigore. E che secondo la Tuft university americana nella sola Italia sono a rischio fino a 30mila posti di lavoro per la concorrenza dei prodotti e servizi canadesi.

Molti sostengono che si tratti di una grande opportunità per il nostro paese. Che cosa non appare evidente a queste persone?

Quello che è parso evidente a ben 106 Parlamentari francesi che hanno presentato contro il trattato un ricorso alla Corte costituzionale. Innanzitutto con il CETA i governi dei Paesi membri non sono solo impegnati a limitare la portata della propria libertà legislativa così da facilitare l’accesso al proprio mercato a “investitori canadesi”, ma anche di associare strettamente il Canada e i suoi cittadini e le imprese nel processo di sviluppo norme nazionali. Cioè quando vorremo legiferare toccando i confini del trattato, dovremo avvisare la controparte prima di farlo e attendere osservazioni. Il CETA costituisce anche comitati estranei all’ordinamento giuridico nazionale ed europeo e in cui gli Stati membri non sono rappresentati, che si occuperanno, tra l’altro, di servizi, agricoltura, misure sanitarie, in grado di imporre obblighi agli Stati membri nelle aree di applicazione del Trattato e di influenzare gli standard nazionali. Il CETA, inoltre, istituisce un sistema di regolazione delle controversie chiamato Investment Court System – ICS, composto da 15 membri, nominati da uno dei comitati creati dal CETA stesso, il Comitato misto, che stabilisce un regime speciale di responsabilità dello Stato e dell’Unione davanti a un tribunale speciale ad esclusivo beneficio degli”investitori canadesi “. Se gli effetti del trattato o di alcune delle nostre regole danneggiano i loro affari, gli investitori canadesi possono citare i nostri stati nell’ICS e chiedere la rimozione della regola o di essere risarciti. E’ chiaro che l’ICS mette in discussione vari principi costituzionali, compresi i requisiti essenziali dell’esercizio della sovranità nazionale e il principio di indipendenza e l’imparzialità dei giudici.

Perché è stato firmato secondo lei? Esistono dei vantaggi?

Ormai i grandi gruppi operano attraverso i confini, e tutti guadagnano da un allentamento delle regole, soprattutto se lo si fa senza passare per il Parlamento, ma in discrete commissioni tecniche istituite da un trattato commerciale. Le pressioni sono fortissime: oltre 40mila corporation americane, tra le quali Walmart, Chevron, Coca Cola e ConAgra, hanno controllate canadesi, e il CETA potrebbe permettere loro di operare nei mercati dell’Ue in condizioni più favorevoli rispetto gli altri concorrenti e utilizzare l’ICS anche in assenza  del TTIP. Poi ci sono i furbetti di casa nostra: quelli che pensano di poter allentare regole e controlli anche in Italia buttando la colpa sui trattati internazionali. Peccato che abbiano fatto male i conti: il trattato è fatto male e ci sono già tre nodi importanti che ne bloccano anche l’entrata in vigore provvisoria, che riguardava le sole misure tariffarie, e che si prevedeva scattasse con il 1 luglio. La quota aggiuntiva di diciottomila tonnellate annue di export di formaggio europeo verso il Canada, che il Quebec ha bloccato ritenendola troppo impattante sui produttori locali. Il fatto che il Quebec non approverà prima dell’autunno la revisione dell’accordo nazionale della circolazione delle merci, e che dunque non potrà circolare in Canada nessun prodotto in più prima che questo atto sia ratificato. Ci sono problemi per la circolazione dei farmaci generici europei in Canada, che costituivano una parte dei presunti “guadagni”, e si parla del prossimo autunno prima di spicciare questa serrata matassa. Prima che questi tre problemi non saranno risolti nessuno guadagnerà una spilla in più, e quindi non si capisce perché l’Italia debba affrettare la sua ratifica.

Glifosato e pesticidi in generale in agricoltura: l’accordo ha un impatto sulla regolamentazione relativa all’uso di quelle sostanze?

Il Canada impiega in agricoltura 99 principi attivi proibiti in Unione europea. Il più noto è il glifosato, contro l’utilizzo del quale è stata lanciata di recente una raccolta di firme verso un’Iniziativa dei cittadini europei (ICE) che ha già superato il milione di adesioni. Ma non è il più tossico. Prodotto dalla multinazionale svizzera Syngenta (tra i più grandi produttori al mondo di pesticidi) il paraquat è considerato, oggi, l’erbicida più tossico in circolazione. Bandito da oltre 40 Paesi, tra i quali i paesi Ue e la stessa Confederazione elvetica dove la Syngenta ha sede, è tuttavia usato su larga scala nei paesi in via di sviluppo ma anche in Canada, dove Syngenta ha una sede sussidiaria in Ontario. Decine di migliaia di lavoratori impiegati nelle piantagioni e agricoltori di tutto il mondo si ammalano ogni anno a causa del paraquat: dalle lesioni cutanee più leggere, tipo dermatiti e bruciature, si passa a più gravi lesioni agli occhi e ai polmoni, sino a casi, tutt’altro che rari, di intossicazione cronica che conduce al decesso. Paradossalmente, ancor prima della sua entrata in vigore, il CETA ha già indebolito almeno una norma UE: in vista della sua introduzione e della formulazione specifica in esso contenuta, il divieto di importazione di carcasse bovine pulite con acido lattico è stato già rimosso. In una email del 2014 a Tonio Borg della Commissione europea, il ministro canadese dell’Agricoltura Gerry Ritz del 2016 riconosce alla Commissione di aver già provveduto con il CETA a ottenere l’approvazione di questa procedura  e gli chiede di fare altrettanto per spingere il riconoscimento dell’uso dell’acqua calda riciclata come decontaminante della carne, sempre in virtù del dialogo in corso sui dettagli del CETA. In Europa prima era consentito il solo uso dell’acqua potabile. La Commissione arriverà diligentemente come richiesto all’approvazione della pratica nell’agosto del 2015 nonostante un parere dell’EFSA del 2010 riconoscesse la presenza di possibili rischi, anche se gestibili, nel caso di contaminazioni da spore batteriche resistenti al calore (C. botulinum, C. perfringens, C. difficile e B. cereus)

In che modo l’accordo influisce sul nostro Made in Italy?

il CETA interviene anche per allineare tra Canada ed Europa le condizioni in base alle quali un prodotto possa essere qualificato come “Europeo” o “Canadese”. I prodotti che non sono interamente ottenuti si considerano oggetto di una “fabbricazione sufficiente” quando soddisfano alcuni requisiti, che noi giudichiamo largamente insufficiente. Non si considera “fabbricazione sufficiente”, ad esempio, per quello che riguarda l’alimentare la mondatura, la sbiancatura parziale o totale, la lucidatura o la brillatura di cereali o riso, le operazioni destinate a colorare o aromatizzare lo zucchero, la sbucciatura, la snocciolatura o la sgusciatura di ortaggi o legumi, le semplici operazioni di imballaggio quali l’inserimento in bottiglie, lattine, boccette, borse, casse o scatole. Ma nulla dice sulla trasformazione, sull’assemblaggio di parti, sulla meccanica che è il grosso del valore aggiunto e del valore del “Made in”. Certo: il CETA chiarisce che non basta apporre un’etichetta, un marchio, una finitura per definire il “Made in”, ma tutti gli sforzi che stiamo facendo in Italia per avere definizioni più stringenti e etichette parlanti, con la tracciatura della ‘strada’ fatta dal prodotto potrebbero essere vanificate del tutto dal CETA perché considerate distorsive del libero commercio davanti al tribunale da esso istituito, l’ICS. Ma c’è dell’altro! Solo poche indicazioni geografiche (IG) italiane sono riconosciute nel CETA (41 su 811).  Chi è rimasto fuori non avrà la possibilità neanche in futuro di entrarvi, dal momento che l’aggiornamento dell’elenco sarà ammesso solo per sottrazione, o per aggiungere nuovi prodotti IG riconosciuti “ex-novo” da ora in avanti. Sarà ancora possibile usare la denominazione “Parmesan”, insieme a formaggi “Asiago” o “Fontina Style”, e addirittura un prosciutto canadese denominato “Parma”, perché da tempo già registrato in quel Paese! Altro che lotta all’italian sounding!

In che modo gli effetti di questo accordo si sentiranno sulla nostra vita quotidiana, sui nostri acquisti, il nostro stile di vita e sulla nostra salute?

Su quasi 1600 pagine di un accordo che è coinvolto in molti settori legati all’ambiente, alla salute e alla sicurezza alimentare, che contiene un capitolo su “commercio e ambiente” e stabilisce una Commissione competente per tali questioni, il CETA non una volta fa riferimento al principio di Precauzione, perla della legislazione europea, né riguardo agli obblighi delle parti o sotto le eccezioni ammissibili, o addirittura rispetto alle riserve dell’Unione europea e dei suoi Stati membri. Il principio di precauzione impone alle autorità pubbliche di garantire l’attuazione delle “Procedure di valutazione del rischio e l’adozione di provvedimenti provvisori proporzionati per escludere il verificarsi del danno ” ma l’articolo 24.8.2 del CETA prevede soltanto che una tale ipotesi “non sia usata come pretesto per rinviare l’adozione di misure efficaci per la prevenzione del degrado ambientale”. Non dice nulla sulla sicurezza alimentare, la salute pubblica, la sicurezza: ambiti invece coperti dal principio di Precauzione. L’articolo 24.8.2 per di più non impone alcun altro obbligo per le parti, anche in presenza di rischi gravi e irreversibili. Questa disposizione del Trattato non li obbliga a sospendere alcuni dei loro obblighi derivanti dal trattato, cioè l’accelerazione degli scambi, per prendere in considerazione il verificarsi di rischi gravi e irreversibili. Una mina sulla nostra salute.

In che modo accordi come il TTIP e il CETA interferiscono sulle nostre leggi e impattano sulla stessa democrazia?

Un caso esemplare è quello dei servizi, oltre a quanto già detto: L’approccio della lista negativa adottato nel CETA comporta che tutti i servizi pubblici, se non esplicitamente esclusi dai governi perché elencati esplicitamente nella lista allegata al trattato, sono potenzialmente aperti alla concorrenza degli operatori privati canadesi. Si tratta di una prima assoluta per un accordo commerciale dell’UE. L’UE ha negoziato delle esclusioni dall’area di applicazione del trattato per alcune aree dei servizi pubblici, compresa la sanità, l’istruzione e servizi sociali, anche se la definizione di ciò che un servizio pubblico sia non è ancora chiara. Riposando sull’ambigua definizione di “servizio pubblico” definita dal GATS, ad esempio, se il sistema educativo di un Paese è in parte fornito su base commerciale e in parte gratuitamente, o se ci sono scuole private attive in questo paese, l’educazione potrebbe non approfittare di questa esclusione generale. Stessa cosa per il servizio idrico come per il servizio sanitario. Per di più, non è prevista alcuna esclusione per i servizi pubblici dall’ arbitrato internazionale ICS. Il CETA include, infine, anche una clausola “standstill” per bloccare gli attuali livelli di privatizzazione e liberalizzazione e accrescere il ruolo del settore privato nel futuro. Se i governi canadesi o europei volessero tornare indietro rispetto ai livelli attuali di privatizzazione e liberalizzazione dei servizi, si troverebbero ad infrangere i termini dell’accordo.

Come possiamo difenderci a questo punto? Cosa si può fare?

Noi crediamo che sia importante informarsi e prendere la parola in Europa, fermando le ratifiche nazionali per lanciare un segnale di problematicità alla Commissione europea, che continuerebbe, altrimenti, imperterrita a moltiplicare questo tipo di accordi. Mercoledì 5 luglio dalle ore 10 Stop TTIP Italia sarà in piazza con Coldiretti, CGIL, Greenpeace, Slow Food e molte altre realtà della società civile che si oppongono alla ratifica dell’accordo con il Canada e chiedono un confronto ampio e pubblico con cittadini e parti sociali.

Chi non potrà partecipare direttamente, potrà fare tante cose anche da casa:

– diffondendo suoi suoi social e ai suoi contatti email il rapporto “Ceta: attacco al cuore dei diritti“;
– diffondendo suoi suoi social e ai suoi contatti email il libro bianco sul CETA, redatto a più mani da Coldiretti, Fairwatch, CGIL e molte altre realtà della società civile;
– partecipando al tweetstorm sui principali parlamentari interessati dalla ratifica (dalle ore 11.00 di mercoledì 5 luglio). Aderendo e partecipando alla campagna si potrà restare in contatto con la rete per tutte le altre iniziative. E fare la propria parte da cittadini responsabili e pensanti. Siamo già più di quanti si potesse immaginare, ma per fermare una macchina da interessi come questa ci vuole davvero l’aiuto di tutte e tutti.

Marica Spagnesi

3/7/2017 www.ilcambiamento.it

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