Ecco perché non ci sarà una guerra mondiale per il Medio Oriente

Di Timofey Bordachev, direttore del programma del Valdai Club –  5 agosto 2024. (Da ComeDonChisciotte.org).

L’elaborato assassinio di un leader di Hamas a Teheran porterà inevitabilmente a un’altra serie di acute tensioni internazionali in Medio Oriente. Non conosciamo ancora l’esatta natura della rappresaglia che la leadership iraniana ha promesso a Israele ma è probabile che segua nel prossimo futuro. Molti osservatori sono sinceramente preoccupati per le implicazioni più ampie nella regione e nel mondo.

Da quasi un anno assistiamo a un grave deterioramento delle relazioni tra Israele e i suoi vicini. L’Iran, nella cui capitale è avvenuto l’attacco terroristico, è tradizionalmente in prima linea nella lotta contro gli israeliani e i loro alleati occidentali. Allo stesso tempo, dobbiamo tenere conto di due peculiarità di quanto sta accadendo. In primo luogo, non ci sono ragioni oggettive per una guerra interstatale su larga scala nella regione. In secondo luogo, un conflitto avrebbe un effetto limitato sugli affari mondiali nel loro complesso.

Non c’è dubbio che i sogni di un equilibrio relativamente pacifico in Medio Oriente dovranno essere abbandonati, se non per sempre, per molto tempo. La riduzione della capacità di intervento dell’America nella politica mediorientale ha fatto nascere l’idea che i Paesi della regione sarebbero stati in grado di trovare il modo di convivere da soli, senza che Washington li tenesse per mano. Ma ora quelle aspettative sembrano molto premature.

I problemi interni di Israele hanno creato le condizioni perché il suo governo scegliesse la strada tradizionale del conflitto piuttosto che della cooperazione con i suoi vicini. Gli altri Stati hanno reagito in base alle loro capacità.

Tuttavia, è troppo presto per pensare che il risultato potrebbe essere una grande guerra regionale. In ogni caso, non ci sono evidenti prerequisiti per una guerra. Questo, ovviamente, rispetto a tutti i precedenti conflitti su larga scala intorno a Israele nella seconda metà del XX secolo. Ciò che sembra più probabile al momento è che i suoi vicini e avversari mostrino moderazione.

In primo luogo, perché nessuno di loro sta attualmente perseguendo una politica estera rivoluzionaria. Fino alla metà degli anni ’70, la maggior parte dei Paesi arabi della regione era attanagliata da un nazionalismo radicale, causa della maggior parte delle guerre. Anche Israele, da parte sua, era in ascesa e i grandi scontri con i suoi vicini erano una continuazione delle sue dinamiche interne.

Oggi la situazione è un po’ diversa. Tutti i vicini di Israele sono Stati consolidati o stanno affrontando gravi difficoltà interne. Persino l’Iran, che sembra il più determinato, non è più l’entità rivoluzionaria che è stata nei primi 10-15 anni dopo la caduta del regime dello Scià e l’istituzione della Repubblica islamica nel 1979. In altre parole, i vicini di Israele non hanno motivo di correre i rischi che una guerra importante comporterebbe. E comunque bisogna essere in due per ballare il tango. In particolare, nessuno dei vicini di Israele in grado di scatenare una guerra importante ha dispute territoriali con il Paese. E non sembrano esserci ragioni di politica interna che giustifichino un conflitto, al momento.

Pertanto, un conflitto armato relativamente serio è possibile solo nel caso di un attacco massiccio di Israele a uno dei suoi vicini. Tale prospettiva non è ancora in vista.

Ma anche se accettiamo la possibilità teorica di una grande guerra, il potenziale impatto sulla politica e sulle economie mondiali è tutt’altro che scontato. È molto probabile che tali effetti si limitino alle questioni interne. In altre parole, la guerra influenzerebbe l’equilibrio tra le maggiori potenze, presentando loro ulteriori vantaggi o problemi. Ma non cambierebbe la loro posizione in misura tale da costringerle a problemi esistenziali.

La posizione unica delle superpotenze nucleari è che solo i pari possono rappresentare un vero pericolo per loro. Solo un’azione diretta alla sicurezza dell’altro potrebbe portare gli Stati Uniti o la Russia a concludere che una minaccia vale un rischio così mostruoso come un appello alle loro capacità militari uniche.

Il possesso di armi nucleari comporta un’enorme responsabilità per i leader di queste due grandi potenze. E tale responsabilità è solo nei confronti dei loro cittadini e del loro Stato. Sembra quindi estremamente improbabile che un conflitto regionale li porti a impegnarsi in uno scontro diretto, anche se sono indirettamente coinvolti.

La storia ci insegna che, durante la Guerra Fredda, l’URSS e gli Stati Uniti hanno sostenuto apertamente i loro principali avversari in Medio Oriente. Mosca, come sappiamo, inviò persino un numero significativo di consiglieri, insieme ad armi, ai Paesi arabi. Washington, da parte sua, sostenne Israele con tutte le sue forze. Ma questo non ha creato nelle relazioni tra URSS e USA una situazione simile alla crisi dei missili di Cuba del 1962, quando eravamo davvero sull’orlo di una guerra mondiale. Semplicemente perché in quel momento la minaccia era reciproca e rivolta al territorio dell’URSS e degli USA. Gli altri conflitti regionali, persino la Corea del 1950-1953, dove i piloti sovietici hanno combattuto, non hanno creato crisi di questa portata.

Naturalmente, potremmo sbagliarci, soprattutto se le élite politiche dell’Occidente non danno prova di un buon pensiero strategico. Ma è assiomatico che le relazioni tra le superpotenze nucleari si svolgano su un piano diverso rispetto al resto della politica internazionale. Tutti i conflitti regionali, anche quelli più violenti, si collocano nell’ambito della politica convenzionale e quindi non rappresentano una minaccia diretta e immediata per la sopravvivenza di queste potenze.

Pertanto, esse mantengono la capacità di rimanere distaccate da eventuali cambiamenti negli equilibri di potere causati da conflitti tra i loro alleati.

In linea puramente teorica, la probabilità che anche una grande guerra in Medio Oriente – Dio non voglia – possa minacciare la sopravvivenza dell’intera umanità è minima.

E non solo: anche un probabile scontro tra Stati Uniti e Cina su Taiwan avrebbe buone probabilità di rimanere al livello di un normale conflitto maggiore. Questo potrebbe essere uno dei motivi per cui la leadership cinese ha reagito con moderazione ed equanimità a tutte le buffonate ostili degli americani.

La situazione in Medio Oriente, purtroppo, sarà sempre fonte di notizie inquietanti e molto tristi. Dovremo abituarci al fatto che, finché Israele esisterà, le sue interazioni con i vicini rimarranno complesse e, in alcuni casi, sanguinose. Ma anche se lo Stato ebraico dovesse alla fine scomparire, non è detto che altre fonti di tensione regionale ne seguano l’esempio. Non dimentichiamo che anche l’Iran ha dispute territoriali con i suoi vicini del Golfo.

Il peso delle vittime civili e le flagranti violazioni del diritto internazionale dovrebbero suscitare la condanna e l’azione diplomatica della Russia e di tutti i Paesi impegnati nella risoluzione pacifica dei conflitti. Ma l’eventuale riduzione delle tensioni nella regione rimarrà, ovviamente, una questione di competenza degli stessi Stati interessati.

Questo articolo è stato pubblicato per la prima volta dalla rivista Vzglyad ed è stato tradotto e revisionato dal team di RT.

Link: https://www.rt.com/news/602208-iran-israel-world-war/

Timofey Bordachev, laureato in Scienze politiche – Università Nazionale di Ricerca – Scuola Superiore di Economia, Mosca, è professore presso la Facoltà di Economia mondiale e Affari internazionali, supervisore accademico Centro di studi europei e internazionali completi, Valdai Discussion Club, Mosca, Russia

Traduzione di CptHook per ComeDonChisciotte.

10/8/2024 https://www.infopal.it/

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