ENNESIMO COLPO DELLA BANDA DRAGHI!
Ancora non si era spenta l’eco per la prima medaglia d’oro conquistata dall’Italia alle Olimpiadi al tempo della pandemia, che la banda Draghi, a sostegno e conferma del principio secondo il quale “Alla flessibilità non ci sono limiti”, metteva a segno l’ennesimo “colpo” a danno dei lavoratori italiani!
Risale, infatti, al 23 luglio scorso la conversione in legge (nr. 106), con modificazioni, del decreto legge 25 maggio 2021 nr. 73 (c.d. Sostegni-bis), che recava misure urgenti connesse all’emergenza da Covid-19.
La grande novità – per chi ancora nutriva qualche dubbio rispetto alla natura “di classe” dell’Esecutivo presieduto da Mario Draghi – è tutta in due emendamenti (accolti all’unanimità) che apportano sostanziali innovazioni all’art. 19 del decreto legislativo 15 giugno 2015, nr. 81 (come riformulato dal c.d. decreto “dignità”, del 12/07/2018, nr. 87) in materia di rapporti di lavoro a termine.
Al riguardo, come credo qualcuno ricorderà, è opportuno rilevare che il decreto 87/2018 aveva sancito (1) che il contratto a termine non potesse avere – di norma – una durata superiore ai 12 mesi (pena la trasformazione in rapporto di lavoro a tempo indeterminato) e che solo in presenza di particolari condizioni potesse superare tale limite; ferma restando una durata massima non superiore ai 24 mesi, rispetto ai 36 già previsti dal decreto 81/2015.
Si trattò, in effetti, di una norma che, sebbene continuasse a lasciare ampi spazi per il ricorso ai contratti a termine – senza inserire particolari limitazioni alle preesistenti disposizioni – rappresentò un primo, timidissimo, tentativo per arginare una deregolamentazione del mercato del lavoro che appariva ormai irreversibile.
Non a caso, fu platealmente osteggiata da Confindustria, contestata da Fi e Fdi e “mal digerita” dalla Lega, all’epoca alleata di governo del M5S.
Ci ha pensato allora la V Commissione della Camera a rasserenare Viale dell’Astronomia!
Ne fa motivo di vanto su Twitter Antonio Viscomi, capogruppo(2) Pd della Commissione Bilancio: ““Abbiamo appena approvato un emendamento al decreto Sostegni bis per consentire alla contrattazione collettiva di individuare le ipotesi in cui è possibile apporre un termine al contratto. Emendamento a firma mia e del gruppo Pd in commissione Lavoro”.
Si deve, infatti, al Pd e al suo coerente e costante impegno – in continuità al percorso avviato (3) con il superamento dell’art. 18 dello Statuto e la sostanziale cancellazione dell’ex rapporto di lavoro a tempo indeterminato, attraverso il c.d. “Contratto di lavoro a tutele crescenti” – se in Confindustria si torna a sorridere.
Quindi, grazie all’emendamento del Pd, in aggiunta alle ipotesi già previste (decreto 81/2015):
– esigenze temporanee e oggettive, estranee all’ordinaria attività, ovvero esigenze di sostituzione di altri lavoratori,
– esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili, dell’attività ordinaria,
ci sarà la possibilità di stipulare contratti a termine, della durata non superiore a 12 mesi e sempre nel limite massimo dei 24 mesi, “a fronte di specifiche esigenze previste dai contratti collettivi” (di qualsiasi livello).
Ciò significherà, in termini pratici, che ogni esigenza che si vorrà individuare – tra le parti -sarà considerata legittima (e non più necessariamente dettata da circostanze oggettive).
Tra l’altro, ad aggravare il quadro, nulla impedirà che – alla luce della nuova previsione – anche le proroghe e i rinnovi siano disposti in ossequio a specifiche esigenze. Così come sarà possibile – ricorrendo a chissà quante e quali “specifiche esigenze” – prorogare o rinnovare contratti già stipulati secondo le causali originariamente previste ai punti a e b.
Più di ogni altro commento alla sciagurata iniziativa del Pd, rende bene l’idea della situazione creatasi, il contenuto di una nota dei vertici di Viale dell’Astronomia – datata 26 luglio – inviata alle rappresentanze territoriali e settoriali in cui rivendicano che “il legislatore (grazie, evidentemente, all’opera dell’ineffabile Pd) ha accolto una proposta avanzata da lungo tempo da Confindustria”.
Sarà ora sufficiente un accordo di carattere aziendale – con rappresentanze sindacali spesso costrette ad accettare prolungamenti dei contratti a termine oppure, sotto la minaccia di “tagli” all’organico, comunque consenzienti – per porre in essere ulteriore precarietà!
Eppure, credo, qualcuno ricorderà che, all’epoca del Jobs-act e della nascita del c.d. “Contratto a tutele crescenti”, fummo letteralmente “bombardati” dalla (dis)informazione secondo la quale il nuovo modello di contratto a tempo indeterminato – ormai privo dei “lacci e lacciuoli” rappresentati dall’ex art. 18 dello Statuto – avrebbe contribuito a svolgere una vasta azione di contenimento del ricorso ai rapporti a termine, favorendo occupazione stabile.
Tutte balle, tese unicamente a raggirare la buona fede di coloro che vi si opponevano.
In definitiva, l’inedita alleanza Pd-Confindustria, pone oggi un altro tassello per la sostanziale liberalizzazione dei rapporti a termine; rendendoli sempre più acausali!
Tra l’altro, come già anticipato da un ex dirigente di alcuni importanti Centri per l’impiego e grande esperto della materia (4), è appena il caso di rilevare che le “specifiche esigenze”, dettate dall’autonomina collettiva, potrebbero avere anche un’applicazione più lunga , se l’accordo collettivo dovesse ipotizzare, ad esempio, una durata di 36 mesi (o anche maggiore, in caso di sommatoria tra tempo determinato e somministrazione). Ciò era già possibile, ma la difficoltà di inserire nel contratto le cause legali (vedi precedenti lettere a e b) ha fatto si che il termine ulteriore non fosse, praticamente, utilizzato”.
In futuro, grazie all’emendamento proposto dal Pd, le imprese avranno margini di manovra ancora più ampi!
Purtroppo, non finisce qui.
Con l’evidente intenzione di circoscrivere nel tempo gli effetti delle suddette “specifiche esigenze”, Buompane Giuseppe e Massimo Bitonci, rispettivamente del M5S e Lega, avevano presentato un subemendamento attraverso il quale prevedevano la possibilità per le imprese – sempre sulla scorta di accordi previsti dai contratti collettivi – di sottoscrivere, fino al 30 settembre 2022, rapporti di lavoro a termine di durata superiore ai 12 mesi e fino a un massimo di 24.
Fine lodevole che ha prodotto, però, ben altre conseguenze.
Complici la fretta, forse l’improvvisazione o, più probabilmente, la semplice ignoranza e la scarsa dimestichezza con la materia del contendere, il loro subemendamento, senza esercitare alcuna influenza “temporale” sull’ulteriore possibilità prevista dal precedente emendamento del Pd, ha finito con il rappresentare una norma aggiuntiva alla regolamentazione dei rapporti a termine.
Ciò significa che la possibilità di ricorrere, in futuro, alle “specifiche esigenze”, in aggiunta alle ipotesi a e b, resta di tipo strutturale – non limitata al 30 settembre 2022 – e, grazie al M5S e Lega, è stata, addirittura, delineata una nuova ipotesi di contratto di lavoro a termine: un contratto, sempre sulla base di contratti collettivi o aziendali, di durata pari ad almeno 12 mesi più un giorno, ma comunque inferiore ai 24 mesi.
“Un contratto a termine a durata minima garantita”, come lo ha definito Arturo Maresca, Professore ordinario di Diritto del lavoro alla Sapienza di Roma e consulente Confindustria.
In definitiva, il combinato disposto del vergognoso emendamento Pd e dell’improvvido tentativo (di renderne temporaneo il ricorso) del M5S e Lega, ha prodotto la sostanziale possibilità di stipulare e prorogare i rapporti di lavoro a termine senza – necessariamente -indicare una causale e, fino al 30 settembre 2022, di stipulare nuovi contratti a tempo determinato – di durata superiore a 12 mesi – anche con lavoratori che la stessa azienda abbia già impiegato a termine per due anni!
In questo senso, il Piano di ripresa e resilienza avrà senso solo a favore delle imprese perché, tra l’altro, piuttosto che alla creazione di lavoro stabile, si è spalancata la strada alla sostituzione dei lavoratori licenziati (dopo il contemporaneo sblocco dei licenziamenti) con precari “di lungo corso”.
Confindustria incassa e ringrazia: non Draghi, questa volta, ma l’ineffabile Pd e gli sprovveduti M5S e Lega!
Resta da registrare la definitiva deriva liberista degli indegni eredi di quel Pci che pure pretendeva di rappresentare la sinistra in modo esclusivo e la totalità dei lavoratori italiani.
In questo quadro, quindi, risulta oltremodo difficile riuscire ad immaginare una possibile inversione di tendenza da parte di una politica governativa sin troppo spudoratamente tesa a privilegiare gli interessi di “una sola parte”.
Un padronato che diventa sempre più “donatore di lavoro”: alle sue esclusive condizioni e nelle sue unilaterali formule.
Fino a quando i lavoratori saranno disponibili a sopportare e consentire tutto ciò?
P.S. Duole anche rilevare che, anche in questa occasione, con la lodevole eccezione de “Il Fatto Quotidiano”, nessuno tra i maggiori quotidiani – ormai palesemente assurti a vera e propria “stampa di regime” – ha ritenuto doveroso informare i lettori rispetto a un provvedimento che concorre ad aumentare il livello di flessibilità e, con essa, di precarietà, cui milioni di lavoratori sono obbligati a soggiacere.
NOTE
1– Norma fortemente sostenuta da Luigi Di Maio, Ministro del lavoro del governo Conte I.
2– Fonte: “Politica news”, dell’8 luglio 2021.
3– Nel corso del governo Renzi.
4– Fonte: “Il contratto a tempo determinato e la somministrazione a termine”, del 5 agosto 2021, di Eufranio Massi.
di Renato Fioretti
Esperto Diritti del lavoro. Collaboratore redazionale del mensile Lavoro e Salute
20/9/2021
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