Enti locali, la mercificazione del lavoratore pubblico. Facciamo chiarezza sulla direttiva Aran

Cancellare diritti

I dipendenti del comparto delle funzioni locali ( regioni, comuni, quel che resta delle province, altri enti territoriali), come tutto il restante personale della Pa, dovrebbero “stare sereni” stando ai contenuti delle direttive del comitato di settore all’ Aran per il rinnovo dei contratti nazionali del comparto? Pensiano di NO! La direttiva del Governo all’Aran sul rinnovo dei contratti è avvolta nel mistero e pensiamo che invece vada letta con attenzione perchè ci sono contenuti alquanto pericolosi per i dipendenti pubblici.

Chi sogna il rinnovo del contratto con il recupero degli arretrati ignora il primo presupposto e principio guida della direttiva: il contenimento della spesa di personale , la revisione degli ordinamenti professionali per accrescere le mansioni esigibili e spremere sempre piu’ la forza lavoro.

Occorre quindi guardare alla sostanza del problema. La rassegnazione e la passività hanno chiuso i nostri cervelli in una gabbia, non vediamo il sempre piu’ forte controllo economico finanziario centralistico, le autonomie locali hanno sempre meno risorse per garantire servizi e salari dignitosi (inutile che i sindaci piangano a legge di stabilità approvata), i costi dei nuovi contratti vengono integralmente scaricati sugli enti stessi in un quadro di forti limitazioni di spesa.

Rigida alimentazione dei fondi decentrati, tetti imposti per legge alla spesa destinata alle risorse integrative per i salari accessori, limiti alla contrattazione nazionale e a quella di secondo livello, uso strumentale di quest’ultima per dividere i lavoratori e differenziarne il salario, questi sono gli obiettivi delle direttive per il rinnovo dei contratti del pubblico impiego.

Infatti nelle direttive mai si parla di recupero dei livelli salariali dovuti dopo quasi un decennio di blocchi contrattuali (illegittimo il blocco per la Consulta), e si gettano le basi, nel nuovo contratto, per il potenziamento degli strumenti di flessibilizzazione della prestazione lavorativa e dell’orario di lavoro. La flessibilità e la precarietà diventano cosi’ sinonimo di innovazione e modernità.

Siamo ormai di fronte alla mercificazione del lavoratore pubblico in rapporto a quanto mai indefinite esigenze organizzative, perché nel corso degli anni hanno prevalso tutte quelle esigenze di finanza pubblica che hanno “ fortemente inciso sul reclutamento di personale, inducendo il forte ridimensionamento degli organici e il sensibile incremento dell’età media del personale impiegato negli Enti territoriali”. In sostanza, i blocchi sistematici del turn over hanno prodotto l’innalzamento dell’ età media dei lavoratori pubblici (siamo i più vecchi d’Europa), in fase poi di rinnovo dei contratti avremo da un lato qualche miglioramento di diritti “civili” individuali ma a discapito dei diritti collettivi (per esempio una quattordicesima) dentro un assetto organizzativo fatto di precarietà e incertezza. Da anni non si investe nel personale e della formazione, i lavoratori e le lavoratrici sono per lo piu’ considerati\e solo come “voci di costo”.

Le direttive in maniera “sotterranea “ mirano a ridurre scientemente i costi attraverso il disconoscimento sistematico del rapporto (fino ad oggi esistente) tra inquadramento giuridico, in relazione al profilo professionale, e il livello retributivo tabellare ad esso connesso. Gli accorpamenti dei livelli in categorie, già iniziati con la revisione dell’ ordinamento dei CCNL del comparto autonomie locali alla fine degli anni novanta, verranno utilizzati per affermare una sorta di “esigibilità generalizzata delle mansioni” disconoscendo il fatto che a maggiori contenuti in termini di complessità professionale richiesti al singolo dipendente corrisponda un adeguato inquadramento contrattuale .

Nel caso infatti delle funzioni locali, è evidente che l’ ipotizzata previsione di accesso esclusivamente dalla posizione economica iniziale B1 e D1, e il mantenimento fino ad esaurimento, per il personale inquadrato inizialmente nelle posizioni B3 e D3, si pone in linea con logiche gestionali padronali che hanno già caratterizzato diversi settori privati determinando l’ ingresso nelle categorie più basse . E’ così che abbassano il costo del lavoro e riducono i nostri salari, si disconoscono qualifiche e profili professionali attraverso la creazione di categorie uniche.

In sostanza i comitati di settore, attraverso il CCNL, intendono non solo favorire la flessibilità organizzativa e rimuovere impedimenti ai processi di mobilità di personale sia interna che esterna, ma mirano solo ad un riconoscimento individuale di generici contenuti professionali in termini di qualità della prestazione, senza un’ effettivo riconoscimento giuridico a partire dall’ assunzione in servizio. Per farla breve ci assumono ai livelli più bassi, così ci pagano meno e avremo pensioni più basse. Loro risparmiano e noi ci rimettiamo!

Tutto ciò è in linea con la individualizzazione dei percorsi salariali che finiscono per non dipendere più dagli inquadramenti e dai diritti dal contratto collettivo, ma bensì dal meccanismo di performance.

In questo modo si passerà da un sistema di tutele giuridiche a carico dei bilanci degli enti, a un altro che inciderà pesantemente sull’ utilizzo dei fondi, diminuendo ancora di più, stante le incertezze e le discrezionalità del sistema di valutazione, le opportunità di valorizzazione economico professionale attraverso le progressioni economiche orizzontali (saranno sempre meno). In futuro, con meno risorse e la performance individuale, pochi arriveranno alle ultime posizioni economiche di categoria.

In sostanza il meccanismo di articolazione contrattuale proposto dalla direttiva che opera per ridurre il numero delle posizioni giuridiche di ingresso e di assunzione in servizio del personale del comparto funzioni locali, per disconoscere i differenti contenuti di professionalità alla base del lavoro pubblico, per alimentare le divisioni tra lavoratori sempre piu’ esposti alla discrezionale e incerta valutazione da cui dipenderà una quota sempre maggiore del salario accessorio e anche la progressione economica.

Ma nella direttiva del comitato di settore tutto questo non è casuale! Da una parte si rende più difficile la progressione orizzontale e si inquadra il personale nei livelli più bassi, dall’altra ci si muove a vantaggio dell’ area delle posizioni organizzative con la “revisione profonda delle tipologie e dei sistemi di graduazione degli incarichi e delle funzioni con obiettivi di presidio di nuove aree di complessità tecnica e/o organizzativa non riservate alla funzione dirigenziale”.

Questi due approcci, peraltro ripresi anche nella ridefinizione del sistema indennizzante legati alle condizioni e modalità di espletamento della prestazione lavorativa, ripropongono la questione di fondo che sta caratterizzando sempre di più l’ impianto normativo contrattuale. E’ ormai evidente che la parte pubblica, attraverso i comitati di settore e le direttive all’ Aran, privilegia l’ erogazione di sempre più cospicue quote di salario derivante dai ccnl attraverso meccanismi individuali discrezionali per valutazione o attribuzione di incarichi. Peraltro è ormai noto a tutti che valutazioni e incarichi non sono spesso associati a regole di trasparenza e imparzialità finalizzate e in funzione di buon andamento dell’ amministrazione, ma sono frutto esclusivamente di scelte discrezionali o fiduciali di chiara connotazione politica, anche se per compierle utilizzano il compiacente e servizievole apparato dirigenziale e di posizioni organizzative.

Ecco cosa sta realmente architettando la controparte datoriale nelle segrete stanze del negoziato contrattuale, senza che dalla parte sindacale confederale emerga alcuna forma di contrasto a questo disegno. Sono convinti e assuefatti ormai alle logiche di supina sudditanza agli interessi di governo, che non sentono neppure il bisogno di informare lavoratrici e lavoratori, impauriti che noi tutti prendiamo coscienza della effettiva portata del nuovo ccnl e della incapacità sindacale a sostenere autentiche rivendicazioni salariali per recuperare anni di incostituzionale blocco dei contratti pubblici.

Ma dopo l’ illusione di qualche soldo di arretrati e di modesti aumenti salariali che non compenseranno quanto è stato perso, il disegno di graduale smantellamento del servizio pubblico e del disinteresse verso chi in esso opera emergerà nella sua cruda realtà.

Prendere coscienza di tutto questo, e il primo passo per opporsi e reagire!

Federico Giusti  – delegati e lavoratori indipendenti

Roberto Cerratini – sindacato generale di base pisa

15/11/2017 www.controlacrisi.org

0 commenti

Lascia un Commento

Vuoi partecipare alla discussione?
Sentitevi liberi di contribuire!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *