Epatite C, AIFA e Licenza Obbligatoria

 

 

 

Quando Saluteinternazionale.info lanciò l’idea – con un articolo di Adriano Cattaneo del 4 luglio  2016  – di applicare la licenza obbligatoria ai farmaci contro l’epatite C per porre fine allo scandaloso razionamento deciso dall’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco) che negava il diritto alla cura a centinaia di migliaia di pazienti, ce ne dissero di tutti i colori (ingenui utopisti, provocatori, tornate con i piedi per terra, etc).

Otto mesi dopo – in un’intervista a La Stampa del 17 febbraio – il Direttore generale dell’AIFA Mario Melazzini ha affermato:

“Se non prevarrà l’etica del buon senso eradicheremo il virus lo stesso, ricorrendo a tutte le soluzioni possibili. (…) Se non accetteranno di ridurre i prezzi potremmo arrivare a chiedere al governo come estrema ratio l’applicazione degli accordi internazionali Trips del 2006, che in caso di emergenze di salute pubblica consentono agli Stati il ricorso alla licenza obbligatoria”. (…) Chiediamo alle aziende un prezzo etico perché intendiamo estendere anche ai pazienti meno gravi il diritto alla cura, altrimenti il virus continuerà ad infettare altre persone. E non dimentichiamo che l’Italia è uno dei Paesi con più alta presenza di Hcv”.

Sono trascorsi otto mesi dalla pubblicazione del nostro articolo sulla licenza obbligatoria e anche dalla decadenza del contratto tra AIFA e Gilead (avviato alla fine del 2014 e scaduto, appunto, nel giugno 2016) che aveva fissato il prezzo per un ciclo di trattamento (84 compresse) a circa 41 mila euro, a carico del SSN, a cui poteva accedere solo un numero ristretto di pazienti, quelli affetti dalle forme più gravi della malattia: al momento attuale ne sono stati trattati 67 mila, rispetto a una stima di 900 mila malati (Figura 1).

Figura 1.  Sieroprevalenza Epatite C in Italia[1].

Fonte: Agenzia Regionale di Sanità, Regione Toscana (dati presentati nel settembre 2016).

Un contratto “secretato” (vedi post Nuovi farmaci contro l’epatite C ) di cui sono stati resi noti i dettagli solo alla sua scadenza: il contratto prevedeva infatti una progressiva riduzione del prezzo – sotto forma di rimborsi alle ASL – in relazione al volume di farmaci erogati (“più consumi meno spendi”). Così il prezzo effettivo del trattamento per l’ultimo scaglione di pazienti è stato di circa 4 mila euro. Il prezzo medio effettivo – per tutti i 67 mila pazienti finora trattati – è stato calcolato in 15 mila euro per trattamento. Il tira-e-molla che va avanti da (troppi) mesi tra AIFA e Gilead riguarda il prezzo da scrivere nel nuovo contratto (si spera non più secretato): AIFA – si legge nell’intervista – non è disposta a sborsare più di 4 mila euro a trattamento (ancora tantissimo rispetto alle tariffe di 700-800 dollari in paesi come India e Egitto). Se no – extrema ratio –  licenza obbligatoria con produzione dei generici presso lo stabilimento farmaceutico militare di Firenze.

La nostra battaglia

La nostra battaglia è iniziata col citato post di A. Cattaneo del 4 luglio 2016 ed è proseguita incessantemente (vedi Dossier Epatite) per denunciare la cinica e tracotante operazione finanziaria e speculativa  portata avanti dall’industria farmaceutica – Gilead capofila, come documentato da una serie di inchieste internazionali, non ultima quella del Senato americano (vedi post “Il profitto sopra tutto” del 5 settembre 2016).

Il prezzo dei nuovi farmaci anti epatite C – sostiene Roberto Satolli in un post del 26 settembre 2016 -,   è imposto per ogni paese al livello più alto possibile per la ricchezza nazionale, in modo che risulti sostenibile solo a patto di curare una minoranza dei malati. In questo modo s’ingiunge un razionamento senza precedenti, che non solo viola l’uguaglianza davanti alla salute, ma costringe a usare i farmaci nei malati più gravi, che ne possono trarre poco beneficio; e aspettare che si aggravino quelli che potrebbero evitare i danni irreversibili al fegato. E non è un effetto indesiderato, ma voluto”.

Il 20 luglio 2016 – con il post “Epatite C. Il Diritto alla Cura”  – viene lanciata la petizione per consentire a tutti i pazienti di accedere a terapie efficaci, a carico del servizio sanitario nazionale.“Produrre i farmaci anti-epatite C sotto forma di generici, a un prezzo ragionevole e accessibile, è consentito dallo stesso trattato che regola i brevetti attraverso il meccanismo della licenza obbligatoria, a cui si può ricorrere quando si verifichi un’emergenza nazionale di sanità pubblica. Per ottenere ciò è necessaria una forte spinta dal basso.”

In breve tempo abbiamo raccolto un numero altissimo di adesioni: associazioni professionali, società scientifiche, organizzazioni di volontariato, alcuni parlamentari e tantissimi cittadini e pazienti, molti dei quali ci hanno scritto per ringraziarci e incoraggiarci a proseguire l’iniziativa (l’elenco completo delle adesioni si trova in calce al citato post “Epatite C. Il Diritto alla Cura”).

Ma la petizione sulla licenza obbligatoria non avrebbe raggiunto la necessaria risonanza se non fosse stata accompagnata e sostenuta da altre due fondamentali iniziative:

  1. Interrogazioni e proposte da parte di alcuni parlamentari, in particolare di Nerina Dirindin e Maurizio Romani al Senato e di Marisa Nicchi alla Camera.
  2. La presa di posizione prima di alcuni Ordini dei medici – Firenze, Genova e Torino – e poi, decisiva, quella della Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri (FNOMCeO). “Epatite C, la FNOMCeO al Governo: Rendiamo i nuovi farmaci disponibili per tutti i malati“, questo il titolo della mozione approvata il 16 settembre 2016, dove si legge, fra l’altro: “Questa condizione di profonda ingiustizia sociale e disequità nell’accesso alle cure è eticamente non tollerabile soprattutto quando è in gioco il diritto alla tutela della salute come previsto dalla nostra Costituzione. Non è tollerabile che la determinazione del costo delle innovazioni sia lasciato esclusivamente all’economia di mercato. (…) La FNOMCeO esprime la propria disponibilità ad una raccolta di firme a sostegno di una campagna di pubblica utilità per l’affermazione di quanto previsto dall’accordo TRIPS del 1994 e dalla dichiarazione di DOHA del 2001 (licenza obbligatoria)”.

Noi siamo soddisfatti che AIFA abbia pronunciato la parola tabù “Licenza obbligatoria” e ci auguriamo – anche per le casse esauste della sanità nazionale – che questa sia la strada che verrà intrapresa per garantire a tutti il diritto di essere curati. Ma bisogna fare in fretta. Perché sta avvenendo un fatto paradossale: il mancato rinnovo del contratto con Gilead blocca anche l’estensione dei criteri di accesso alla terapia, cioè ai pazienti meno gravi, con la conseguenza (paradossale, appunto) che il relativo basso costo del trattamento negli ultimi scaglioni (4 mila euro) va a favore delle casse delle ASL, ma non dei pazienti in coda.

Quali numeri?

Infine una nota su un passo importante dell’intervista: “Obiettivo dell’AIFA è eradicare in 3 anni il virus, curando 298mila persone con viremia accertata”.  L’eradicazione dell’epatite C è un obiettivo fondamentale dell’OMS (vedi qui) ed è positivo che AIFA ne parli, ma non è certo un compito dell’AIFA – bensì del Ministero della Salute – organizzare l’impresa. E non sarà una impresa semplice, a cominciare dal fare chiarezza sui numeri.  Nell’intervista si parla di “curare 298 mila persone con viremia accertata”.  Le stime di sieroprevalenza presentate nella Figura 1 parlano di 900 mila casi, una parte consistente dei quali non ancora diagnosticati, ma che in un programma di eradicazione vanno fatti emergere con appropriati interventi di screening rivolti alle categorie a maggiore rischio.

Questo dato è confermato dallo studio svolto dall’Agenzia Regionale di Sanità (ARS) della Regione Toscana che ha rilevato – attraverso lo studio di varie fonti (esenzioni, ricoveri ospedalieri, uso di farmaci) –  i casi di Epatite C noti al Servizio sanitario toscano e anche quelli non noti[2]:

  • Casi noti: 20.266
  • Casi non noti: 23.497
  • Totale Casi: 43.763, con una prevalenza di 12 x 1000.

Proiettando la prevalenza di 12 x 1000 sull’intera popolazione italiana si ricava il dato nazionale di720 mila casi, un dato inferiore alla stima di 900 mila di Ansaldi, che trova però una giustificazione nel fatto che la prevalenza dell’Epatite C in Toscana, ovvero nel Centro-Italia, è inferiore rispetto a quella del Sud-Italia.

Bibliografia

  1. Ansaldi F. Different seroprevalence and molecular epidemiology patterns of hepatitis C virus infection in Italy. J Med Virol 2005;76(3):327-32.
  2. Comunicazione “I dati dell’ARS. F. Cipriani” al convegno “Malattia HCV. La gestione in una vittoria terapeutica epocale”. Firenze, 16.09.2016.

Gavino Maciocco

20/2/2017  www.saluteinternazionale.info

0 commenti

Lascia un Commento

Vuoi partecipare alla discussione?
Sentitevi liberi di contribuire!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *